Arte e Intelligenza Artificiale

Posted in Filosofia dell'arte, Tecnica Vs Concetto on aprile 29th, 2023 by Francesco

di Francesco Campoli

Come succede oramai costantemente da qualche anno, l’Informazione “Mainstream“, ogni tanto si satura di un particolare argomento, questa volta sembra essere proprio l’ora dell’Intelligenza Artificiale.
Avrà colpito tutti che non esiste angolino della Comunicazione mediatica, dove non si richiami l’attenzione della Pubblica Opinione su questo argomento, l’Intelligenza Artificiale viene tirata in ballo anche se si tratta delle ricette dei Tagliolini al Tartufo.
Quando questo fenomeno accade, normalmente è facile sospettare una strategia comunicativa coordinata, ma siccome non amo essere annoverato tra i complottisti, cercherò di chiarire meglio alcuni aspetti, tanto per aiutare me stesso e i lettori a decrittare eventuali “Fake news“.
Per non cadere io stesso nel “Mainstream“, avrei dovuto specificare meglio: “La cosiddetta“, Intelligenza Artificiale o addirittura, “Le Intelligenze Artificiali”.
La definizione di “Intelligenza artificiale”, infatti è molto diversa a seconda delle varie declinazioni della stessa, prendiamo il caso della definizione dell’enciclopedia “Treccani”:
“Si chiama Intelligenza Artificiale (A.I.) quel settore dell’Informatica che studia la possibilità di costruire computer che siano in grado di riprodurre il funzionamento di alcune capacità della mente umana o, nel caso della cosiddetta “Intelligenza Artificiale Forte”, dell’intero pensiero umano”.

Occhio di HAL9000

"Occhio di HAL9000" nel Film 2001 Odissea nello Spazio

L’enormità di ciò che troviamo scritto nella definizione sulla Enciclopedia “Treccani“, di solito molto circostanziata e prudente, deve farci pensare sull’impreparazione di chi scrive sull’argomento:
Se fosse possibile una tale tecnologia, saremmo veramente molto più avanti di quanto in realtà siamo, ma quello che mi ha spinto ad affrontare l’argomento su “Sculturaecultura“, è che nella Comunicazione, si parla disinvoltamente e in tutte le salse, di “Intelligenza artificiale” in grado di produrre “Opere d’Arte”.
Qualche zelante “Pennivendolo“, più sensazionalista degli altri, si spinge addirittura a sostenere che la Intelligenza Artificiale, molto presto sostituirà completamente gli Artisti.
Sparare corbellerie più grosse di quelle che sarebbe “comunemente civile”, ormai sembra diventata pratica comune, chi afferma cose del genere, evidentemente o vuole veramente esagerare o non è consapevole della sua ignoranza, sino al sospetto di malafede.
Io come sempre non potevo esimermi dal proporre la mia solida e ragionevole “via Maieutica” su questa “Vexata quaestio“.
Il tema centrale, tanto per sintetizzare, è assolutamente il solito e si riassume nella domanda: “Cos’è Arte ?” il Focus dal quale origina tutto questo mio Blog.
Gli affezionati lettori di Sculturaecultura, sanno bene che la risposta non può che essere sempre piuttosto articolata e complessa, praticamente, ogni Articolo presente qui su “Sculturaecultura“, si prefigge di fare luce su questo controverso argomento.
Definire l’Arte è sempre molto complicato e, come più volte ho accennato, il Concetto di Arte, ad esempio, è sempre legato alla Cultura di riferimento e soprattutto ha una sua evoluzione in senso “Storico”, cambia cioè col passare dei secoli, ma avrei anche potuto dire “dei giorni”, visto che procede di pari passo con la Coscienza Sociale e Antropologica delle Comunità.

mirò

Arte la rappresentazione secondo Joan Mirò

Tutte le riflessioni e i resoconti storici che ho proposto negli anni, in tanti articoli precedenti, in origine servivano prima di tutti a me stesso, per capire come col mio lavoro di Artista, avrei potuto contribuire realmente al movimento Artistico dare un apporto che potesse essere veramente mio.
In questo concitato periodo storico, ha contribuito moltissimo ad ingigantire la già grande confusione generale sull’Arte, l’evoluzione avuta da “Midjourney“, che è una Applicazione che, come tante altre, poggia su una complessa architettura di “Algoritmi” tra i quali, alcuni, di originati dagli studi sull’Intelligenza Artificiale.
A differenza di “Chat Gpt“, applicazione anch’essa molto nota in questo campo, invece di rispondere all’ interlocutore con un Testo (che spesso si rivela abbastanza cervellotico), produce immagini (anche Iperrealistiche) apparentemente coerenti con il “Prompt“, cioè la domanda che viene inserita dall’utente nell’Interfaccia.

Midjourney

Midjourney l'Interfaccia

Ma andiamo per ordine, ogni volta che ci troviamo di fronte ad un Computer, dobbiamo sempre tenere presenti le moltissime persone che sono state coinvolte nella “Programmazione” del codice che li fa funzionare, che in genere sono Team più o meno numerosi e multidisciplinari.
Alcune delle “Software house” che fanno questo genere di lavoro le conosciamo bene, anche perchè i titolari, hanno ormai una pervasività mediatica tale, da essere ogni giorno sui giornali di tutto il mondo.
Microsoft, Google, Apple, IBM, Adobe, Oracle, ecc, hanno in mano i dati presenti nei nostri P.C.
Dall’avvento del cosiddetto Web 2.0, cioè da quando gli “applicativi” si sono trasformati in Web service sul web, le “Web application“, gli E- Mail service, i vari Cloud, ecc. gli risparmiano anche la briga di doverli copiare in giro con i cosiddetti “Bot”.

Cloud computing

Schema del Cloud computing

Elon Musk

Il Nostro Garante per la Privacy, nei giorni scorsi ha prodotto un comunicato piuttosto minaccioso, puntando il dito verso il servizio “Chat GPT“, che aveva addirittura portato al blocco di questa applicazione di Intelligenza Artificiale dal territorio Italiano.
Chat GPT è una delle A.I. di nuova generazione, ad oggi tra le più famose, è un progetto/Brand di  “Open A.I.” (Società Fondata da Elon Musk e attualmente nelle mani di Microsoft), che dietro compilazione di una richiesta testuale (i “Prompt” appunto) elabora risposte, sotto forma di testo ad essi coerente, riferendosi ad una enorme base di dati.
La questione sollevata dal “Garante per la tutela dei dati personali“, riguardava principalmente  la mancanza di chiarezza nella gestione dei “Dati sensibili“, che la piattaforma acquisisce, ma ad oggi sembra ormai tutto chiarito, visto che l’applicazione è tornata tranquillamente a funzionare anche per gli utenti italiani.
Sopra ho citato “En passant” il supercalcolatore “HAL 9000“, inquietante protagonista cibernetico del profetico film “2001 Odissea nello spazio” del 1968, del regista cult “Stanley Kubrick“, genio creativo prestato alla filmografia, che fu l’assoluto antesignano della questione Intelligenza Artificiale.

2001 odissea nello spazio

2001 odissea nello spazio di Stanley Kubrick

L’intelligenza Artificiale nei Computer, già al tempo generava grandi inquietudini, non mi soffermo sul livello di questo film, che meritatamente entrò da subito nella storia del cinema (come diversi altri capolavori di Kubrick), vincendo anche un Premio Oscar.
Lo consiglio a chiunque non lo avesse mai visto, anche solo per la fantastica colonna sonora, “2001 Odissea nello Spazio“, è fondamentale per rendersi conto che questa ancestrale paura, di essere surclassati o addirittura resi schiavi delle Macchine cibernetiche non è nata certamente in questi giorni, parliamo di una narrazione catastrofistica che nel caso di specie, origina nel 1968, cioè più di 50 anni fa.

Stanley Kubrick

Stanley KubrickKubrick

Attraverso il film, Kubrick sollevò enormi interrogativi, che oggi ancora riecheggiano, si sente di nuovo parlare di “Emergenza Intelligenza Artificiale”, ma oggi, si ha la sensazione che quello che allora appariva piuttosto fantasioso, possa veramente accadere.
Puntando il dito verso i giganti dell’informatica dell’epoca (I.B.M. in testa), Stanley Kubrick prospettò scenari che troviamo riproposti oggi, ma siccome a dispetto di quello che si legge, un reale impatto socio/Antropologico sulla nostra Società è al di la di essere imminente, non foss’altro per i limiti tecnologici che sono ben al di la dall’essere superati, questa campagna comunicativa così battente e dai toni ansiogeni, io lo leggo come uno dei tanti tentativi per destabilizzare le già instabili masse.
Dall’alto della sua geniale creatività, Kubrick raccontò da par suo quell’ansia latente che ancora scopriamo più viva che mai, dando l’idea che sia un vulnus strutturale nella nostra struttura mentale.
Kubrick nonostante i limitati mezzi cinematografici dell’epoca, in un contesto evidentemente fantascientifico, con la poetica incalzante che lo ha sempre caratterizzato in tutta la carriera, raccontò una storia incredibile per l’epoca.
Il film vedeva protagonista una “Intelligenza Artificiale” ribelle, alla quale era delegata la gestione di una astronave in viaggio verso Marte, con una dinamica narrativa che all’epoca definirei praticamente profetica, visto che il semplice concetto di Intelligenza Artificiale  era veramente difficile da comprendere per il pubblico, dato lo sviluppo dell’Informatica era assolutamente agli albori.

Informatica, una nuova frontiera del pensiero umano

Informatica, una nuova frontiera del pensiero umano

Alla luce della piccola guerra del Garante italiano per la privacy, all’Intelligenza Artificiale, ci siamo resi nuovamente conto che la paura delle “Macchine da calcolo“, nonostante l’integrazione ormai cogente dell’Informatica nella nostra vita, non solo persiste, ma anzi, possiamo dire che inopinatamente è addirittura peggiorata.
Nella coscienza di massa, certe paure, purtroppo albergano maggiormente dove l’ignoranza e la superficialità regnano  incontrastate.
Manca la consapevolezza della nostra forza Spirituale e dei mezzi intellettivi, bagaglio essenziale del nostro intelletto e della nostra Anima.
Una narrazione fondata sulla Menzogna, come quella alla quale stiamo assistendo in questi giorni, caparbiamente mirata contro L’Arte e gli Artisti, ha tutto l’aspetto di una macchinazione diabolica.
Il mood dei vari articoli sull’ Intelligenza Artificiale, apparsi praticamente ovunque in questo periodo, ha quasi sempre lo stesso tenore, una comunicazione concertata per essere usata in modo ingannevole, ha l’evidente impronta di Arimane, una comunicazione sempre più vicina alla cultura materialistica, che sta dilaniando la società dei nostri giorni.

San Giovanni Paolo II

San Giovanni Paolo II

San Giovanni Paolo II ci ha sempre messi in guardia dal sottovalutare gli artifici del male, dalla visione semplicistica nella quale  il diavolo non esiste e il semplice pensarlo sarebbe da creduloni.
Escludere a priori che il maligno possa tessere oscure, sofisticate, strategie, per fare il suo “mestiere”, può essere molto pericoloso.
Non sono qui a trattare un argomento così complesso e controverso, tra l’altro non ne ho alcun titolo, a parte alcune passate esperienze personali, voglio solo ricordare che certe manifestazioni, che apparentemente sembrerebbero da attribuire solo alla “cattiveria umana” (come ad esempio il Nazismo), potrebbero aver avuto origini ben più complesse di quelle che a prima vista possono apparire.
Il maligno si può presentare sotto varie forme, possessioni, incarnazioni, ma anche semplicemente tramite la sollecitazione di devianze latenti della natura umana.
Tutti conosciamo bene le attività “Luciferiche”, dove il male lavora prevalentemente sulle dinamiche distorte dell’Ego umano, ma le attività diaboliche di estrazione Arimanica, invece, hanno a che fare con il Materialismo e l’avidità che caratterizzano la Società attuale ovunque nel Mondo, un vero veleno spirituale per l’Essere Umano.
Ci sono uomini nelle cui mani si concentrano enormi risorse finanziarie, potere e controllo, qualcosa che in questo senso assomiglia molto al “lavoro” del malefico.
Possiamo dire che le trame di Arimane, sembrano proprio ciò che ogni giorno di più si va delineando nella nostra Società proprio a partire dal mondo dell’Informatica.
Le inquietanti persone delle quali stiamo parlando, hanno conquistato un potere pervasivo e tracotante, molto rapidamente, perché supportato dagli enormi guadagni che le Web Technologies gli hanno consentito di accumulare.
Questi personaggi, dei quali non voglio nemmeno pronunciare i nomi, senza nessun titolo, pontificano su tesi e scenari futuri, atteggiandosi a guide del nuovo corso mondiale, cosa che per ruolo non gli compete affatto.
Ho già detto che di solito non mi annovero tra i “Complottisti, ma credo di possedere una ottima capacità deduttiva, oltretutto, i ripetuti Alert, che nel tempo ci sono arrivati dalle grandi anime, anche del mondo li considero messaggi da non trascurare e non mi riferisco solo a San Francesco, che comunque Papa Bergoglio ha voluto rievocare con la scelta del suo nome Pontificale.
Da sempre l’Arte è stata una grande alleata dello Spirituale, sin anche evidenziando una stretta commistione nei ruoli, tanti Artisti furono religiosi al contempo lavorando sempre con Dio nel cuore.

Beato Angelico patrono internazionale degli Artisti

Beato Angelico, Frate Domenicano, Artista, Patrono Universale degli Artisti

Basta fare un giro per la nostra Italia, nelle sue chiese, nei suoi musei, tantissime delle Opere d’Arte esposte, sono testimonianze preziose di questa millenaria Alleanza.
Per non ripetermi circa Vasilij Kandinski, o Piet Mondrian, voglio ricordare la famiglia Bach nel mondo della Musica o,  Wolfgang Amadeus MozartPierluigi da Palestrina, ecc. come ripeto sempre, l’Arte è in ogni Arte, non serve citare solo artisti plastici e visuali.

Pierluigi-da-Palestrina

Pierluigi da Palestrina

Vaticinare una imminente fine degli Artisti e dell’Arte, sostenendo che essi possano essere sostituiti equalitariamente dall’azione meccanica di un Computer, è la vera negazione dell’Arte, della sua valenza spirituale, un altro di quegli indizi dello sfrontato “Mentire” che ci dovrebbe immediatamente far aprire gli occhi.
Cercare di neutralizzare l’Arte, strumento da sempre al servizio del Bene, è un’altra mossa subdola per indebolire la presenza salvifica dello Spirito nel mondo, preparando il terreno a Scenari “alternativi”.

Piet Mondrian

Piet Mondrian

Il primario indizio di una azione concertata del mondo del male, è il costante ricorso alla menzogna, il parametro più evidente, presentare come ineluttabili verità, cose che palesemente non hanno ne capo e ne coda, ha lo scopo di forzare la credulità popolare, il che purtroppo non è solo indice di una decadenza della Coscienza Sociale, ma l’evidenza dello sfruttamento strategico di carenze nella genesi del Pensiero.
Tra l’altro va detto che non è che parliamo di una invenzione comunicativa particolarmente innovativa, i Retori, usavano questo artificio già in epoca Ellenistica, in un discorso pieno di incontestabili ovvietà, inserivano la tesi che volevano sostenere, in modo che assumesse uno “Status di affidabilità” che gli derivasse dal contesto credibile che avevano preventivamente preparato.
Papa Francesco recentemente durante il suo Viaggio a Manila, ha puntato il dito sulle continue manifestazioni di presenza del maligno, anche lui lo definisce “Il padre della Menzogna“, richiamando da par suo la nostra attenzione sulla diabolica pratica del “Mentire”, è molto chiaro nel seguente Video.

Papa Francesco

Papa Francesco "Il maligno è il Padre della Menzogna"

La consapevolezza nell’opinione pubblica, che molti degli scenari preconizzati da Kubrick sembrano purtroppo concretizzarsi, contribuisce ad amplificare queste tristi fobie.
All’epoca del lancio del Film, si ipotizzò addirittura che l’acronimo “H.A.L.” derivasse dalla traslitterazione del Logo “I.B.M.” :
Prendendo le lettere precedenti (nell’ordine alfabetico) a quelle che compongono I.B.M. traslitterando (I → H,  B → A, e  M → L) si ottiene appunto H.A.L.
Arthur C. Clarke coautore della sceneggiatura insieme a Kubrick, smentì seccamente tale fantasiosa supposizione, ribadendo quanto già chiarito nel suo libro (“La sentinella“, quello dal quale in seguito nacque il film),  H.A.L. deriverebbe dall’abbreviazione di “Heuristically Algoritmic programmed computer”.
quasi 60 anni dopo, appare come una definizione praticamente divinatoria.

2001 Odissea nello Spazio

2001 Odissea nello Spazio

In realtà la tecnologia sulla quale si basa questa Intelligenza Artificiale (ma sarebbe più corretto chiamarla Machine Learning), è l’applicazione all’informatica delle Reti Neurali di tipo “Transformer” , che con l’ausilio di vari Algoritmi, sembrerebbe conferire alle Macchine la capacità di fare scelte autonome.
L’allocuzione Intelligenza Artificiale, per come è usata in questi giorni è più o meno una Etichetta di Marketing, estremamente generalista, in realtà di Reti Neurali, ne esistono una pletora, la “Transformer” è solo una di queste complesse strutture logiche.
Queste strutture logiche simulano “grosso modo” la risposta delle connessioni neuronali naturali, che proprio per questo, sono molto studiate nelle “Neuroscienze” e sono applicate nella ricerca in Pedagogia e in Neuropsichiatria.

neuroscienze

Le Neuroscienze, lo studio delle dinamiche psico-emotive del Cervello

La rete neurale “Transformer” è un tipo di Rete Neurale molto specifica (senza entrare nelle curve di questo argomento piuttosto complesso), nella versione “Transformer 3″ (Generative Pre-trained Transformer 3), è stata progettata per essere utilizzata in applicazioni inerenti il Linguaggio Naturale Umano (NLP, Natural Language Processing).
I nostri Navigatori satellitari (anche quelli dello Smartphone), applicano diffusamente questo genere di architetture (ad esempio quando calcolano i percorsi, come ci sono Reti Neurali utilizzate per definire i “Modelli previsionali” sui quali si basano le “Previsioni metereologiche“, Reti neurali molto diverse dalla “Transformer”, più adatte ad operare in “Sistemi Caotici” com’è l’Atmosfera del nostro Pianeta.
I nostri “Liners” più moderni, attraversano i mari e i cieli di tutto il mondo con l’aiuto delle moderne Previsioni meteorologiche.
L’applicazione messa a punto da “Open A.I.”, funziona basandosi appunto sul cosiddetto “Trasformatore pre-allenato”, il modo di “Ordinare” e di “Richiamare” l’immensa mole di informazioni disponibili, in modo da individuare quelle coerenti con una determinata frase di ricerca.
Non è affatto un caso che queste Applicazioni di “Intelligenza Artificiale”, abbiano una “interfaccia utente” che origina l’elaborazione a partire da una “descrizione testuale”.

chatgpt tecnologia apprendimento

Chat G.P.T. risponde anche su se stessa

Dalla frase che introduciamo nel box testuale, la Struttura Neurale cibernetica, applicando una serie di Algoritmi (in piccola parte anche Euristici), attua una scrematura statistica tra i vocaboli dei quali dispone, in base ad altri algoritmi, costruisce dei Testi, basandosi su regole statistiche messe a punto confrontando tutti i testi dei quali può disporre.
L’apparente successo di queste Applicazioni è funzione dell’immensa mole di dati che gli sono stati fatti “digerire”:
Testi, Libri, Email, Discorsi, Notiziari, Giornali, è questo il motivo per il quale, si cerca sempre di più di espandere le “Basi di dati”.
Dopo una robusta elaborazione “Chat G.P.T.”, produce un risultato testuale, talvolta estremamente suggestivo.
Uso la definizione “Suggestivo”, in quanto, è proprio la “vicinanza” della risposta, con la struttura del nostro linguaggio naturale (grazie alla Rete Neurale Transformer), riesce a suggestionarci a tal punto, da sollecitare la nostra percezione in modo estremamente emozionale, come avviene nella modalità alla quale siamo abituati dalla nascita.
La simulazione di “Intelligenza” nel testo di risposta, non è poi neanche troppo Artificiale, dato che nell’ultima versione, sembra sia stato introdotta nel processo una fase di validazione postuma, una sorta di “supervisione umana” che verificherebbe la coerenza del testo prodotto.

controllo A.I.

A.I. controllo umano

In realtà, come detto sopra, il testo che si riceve in risposta, ha basi essenzialmente statistiche derivanti da una approfondita analisi sulla consequenzialità e la ricorsività delle parole.
La “Rete Neurale Transformers”, in questa applicazione produce un testo di elevatissima attendibilità statistica, basata su enormi quantità di contenuti coerenti con l’argomento in oggetto.
Questa elevata “attendibilità statistica” sulle probabili sequenze di parole,  la loro interazione nella “Nuvola dei vocaboli” (words cloud), ci fa sembrare questo genere di testo assolutamente accettabile, coerente con ciò che abbiamo digitato e in accordo con le regole grammaticali e semantiche alle quali siamo abituati.
Il testo prodotto da Chat G.p.T, risulta particolarmente attendibile, con il maggior numero di informazioni inserite nella stringa che diamo in “pasto” all’Interfaccia.
Nelle specifiche applicazioni di elaborazione grafica, come  Midjourney, il processo è molto simile, solo che al Prompt testuale, con grande dispendio di potenza di calcolo (che richiede anche un discreto tempo),

Prompt Manager di Midjourney

Il Prompt Manager di Midjourney

l’applicazione produce quattro immagini, che risultano coerenti con la “descrizione testuale” inserita dall’Utente. Queste immagini possono essere ulteriormente rielaborate, in proprio con i classici programmi di grafica “Stand Alone”, come Photoshop, Gimp, Corel Draw, Illustrator ecc. oppure rimettendosi in coda nell’applicazione, cercando di adeguare meglio il “Prompt”, verificando che vengano prodotte immagini più vicine ai nostri desiderata.
Lungi da me la volontà di sminuire il grande lavoro di programmazione informatica, in se molto interessante, ma questa applicazione usa una serie di algoritmi per elaborare immagini, già presenti nei Database di riferimento, quindi le sue scelte, non sono per nulla creative, di conseguenza come possono essere minimamente paragonabili a quelle “Create” da un Artista.
Come accennato sopra, la “Rete neurale Transformers” riferisce circa immagini disponibili, coerenti con il Prompt digitato e che rispondono ai parametri statistici definiti, l’algoritmo farà il resto.
Alle immagini scelte, su indicazione dell’utente si può eventualmente applicare anche lo stile grafico di un Artista specifico.
Se ad un Prompt si aggiunge  “In style of Kandinsky”, si andrebbe ad attivere un Algoritmo che applicherebbe il “Modello grafico” del “Maestro dello Spirituale nell’Arte“, una sorta di sintesi Grafico/Statistico ad emulazione dello stile di Vasilij Kandinsky (o di qualsiasi altro pittore che si volesse ricalcare).

Fuga di Vasilij Kandinsky

"Fuga" di Vasilij Kandinsky

Non credo esista nulla di più meccanico e meno “artistico” del processo che ho appena descritto.
Chi cita le immagini prodotte con l’Ausilio di “Midjourney”, accostandogli l’aggettivo “Artistico”, proferisce una Blasfemia multipla:
Nella operazione Informatico/Statistica, ovviamente non vi è nulla di Creativo, ogni immagine elaborata deriva da qualcosa che è già presente nei Database che sono stati forniti all’Intelligenza Artificiale, questo è l’esatto opposto di ciò che fa un Artista.
Negli articoli che ho letto si  confonde l’Arte con la Pittura, come se fossero sinonimi, quando la Pittura è solo una delle  tecniche con le quali si può fare Arte, quando rileviamo questo errore, evidentemente chi scrive o parla o è un totale incompetente o la superficialità è la sua linea guida di elezione.
Molte volte in questo Blog ho citato le Muse, alle quali può essere ricondotta ogni specifica forma artistica, in ossequio al rispettivo mito e dalla specifica Genesi.

muse ispiratrici dell'Arte

"Muse dell'Arte" - Museo deriva proprio da Muse

Parlando di Arte in modo così superficiale e poco competente, si dimentica che la produzione artistica spazia dalla Poesia, alla Scultura, alla Musica, alla Danza, ecc. non vedo proprio come queste attività creative e interpretative, proprie dell’identità umana dalla notte dei tempi, possano essere declinate tramite degli Algoritmi statistico/informatici, è già complesso farlo se si dispone di una Intelligenza Vera, se non la si usa nella maniera corretta.
Un team di persone spesso assolutamente avulse dalla Storia dell’Arte, costruisce elaborazioni tramite un Computer, da sempre definito un “Cretino veloce”, perchè la sua funzione peculiare è l’enorme rapidità nell’esecuzione di calcoli e funzioni matematiche.
Attingendo ad una “Palette” di Opere visuali create da persone le più diverse, nelle epoche più diverse – che tra l’altro non tutte sono realmente realizzate da veri Artisti – al massimo è una pura operazione “grafica”.
Non mi sento di offendere i Grafici, che pure non sono Artisti, sono professionisti che per formazione sono vicini a degli Illustratori, quindi non hanno nulla a che vedere con l’Arte.
Chi scrive di questi argomenti e arriva a dire che si tratta di macchine (o web application), che producono Arte, usando l’Intelligenza Artificiale, si dovrebbe vergognare nel firmare il proprio pezzo, non solo perchè offende gli Artisti nel loro impegno di una vita, ma perchè offende l’Intelligenza (Quella vera che Dio ci ha donato), i Lettori/Spettatori, che non sono ignoranti e superficiali come questa gente crede, e comunque, per primario imprinting umano, di fronte ad ogni rappresentazione, le persone si aprono sempre emozionalmente, e questo deve essere imprescindibilmente rispettato.
Chi fa il giornalista di “professione” ha il dovere di informare correttamente, dovrebbe essere sempre dalla parte dei  lettori perchè gli conferiscono questa importantissima delega ad indagare, non ad ingannare.
Dopo aver scritto una baggianata così colossale, come minimo, deontologicamente si dovrebbe avere la creanza di rimettere il proprio tesserino all’Albo professionale.

Carta Stampata

La "Carta Stampata" i grandi Quotidiani

Il flusso di informazioni sul “Web”, purtroppo ormai comprende anche i grandi Quotidiani, la cosiddetta “Carta stampata”, che una volta rappresentava anche una sorta di garanzia di affidabilità della notizia, per inseguire le dinamiche “Acchiappaclick”, sempre più spesso ha completamente abdicato alla sua fondamentale funzione professionale.
Complice l’utilizzo superficiale degli Hastag nei “Social Media“, si è generato un grande “Fritto misto” informativo, che non è affatto sottoposto alla verifica della veridicità delle fonti, cosa che e sempre stata il segno distintivo della professione Giornalistica.
Io reputo che il mio lavoro Artistico abbia radici profonde nella Cultura del mio tempo, che risente in pieno della enorme eredità storica della quale sono assolutamente consapevole, come si può minimamente parlare d’Arte se a produrre immagini è un computer, per quanto guidato da algoritmi assolutamente ben ingegnerizzati.
Il movimento Artistico Contemporaneo, anche se talvolta può apparire, non genera mai contenuti svincolati dalla realtà, non foss’altro emotiva ed emozionale, senza poi trascurarne mai l’ apporto sociologico, che è componente fondante dell’Arte Contemporanea.
Non esiste nulla di più deleterio di un’Arte che si piega al flusso comunicativo generale, su “Sculturaecultura” ho più volte stigmatizzato addirittura la figura del “Committente“, proprio perchè cozza con il concetto di Artista nel quale mi riconosco.
Lavorare sotto precise direttive altrui, sottomette l’Arte al ruolo di mero artigianato, di una prestazione d’Opera manuale, magari anche di altissima qualità, ma che rappresenta una completa abdicazione a quel “Processo creativo” che invece è caratterizzazione dell’identità creativa dell’Artista, nel processo sopra ampiamente descritto, di “Processo Creativo” non si può minimamente parlare.
Il percorso creativo di un Artista, è sempre in continua evoluzione, in virtù della continua evoluzione del concetto di Arte.
Questa parola fondamentale è assolutamente sovrautilizzata, oserei dire abusata, violentata nel suo significato profondo e reale, figuriamoci se può anche essere riferito agli elaborati di un Computer.
Il “mood” ineludibilmente per praticare la nostra professione, è sicuramente la “Creatività” e quella non può essere in alcun modo standardizzata, sarebbe praticamente un ossimoro.
Nella mia concezione Arte è sinonimo di “Pensiero”, la forma più elevata del Pensare, più volte ho ribadito che l’Arte è  concettualmente vicina alla “Filosofia“, che sicuramente non è una scienza esatta, ma è il metodo migliore di esercitare la disciplina del “Pensiero”, il Pensiero è parte integrante del Processo Creativo.
Cartesio” ci assiste con la sua espressione più famosa: “Cogito ergo sum” (Penso! quindi sono!),  “Descartes” con lei riassume la caratteristica peculiare dell’Uomo.
Il Pensiero è atto Umano uno di quelli che più avvicina l’umano al Divino, come senza ombra di dubbio è l’Arte, entrambi sono funzione dell’Intelligenza, che per nessuna ragione può o potrà mai essere Artificiale.
Potrà succedere che i Computer arriveranno a produrre qualcosa di simile alla scelta logica, che magari sarà ottenuta con varie forme di Reti Neurali incrociate in tempo reale, ma questo non è neanche di la da venire, anche perchè non esiste una piattaforma tecnologica che lo tecnicamente lo consenta.
Fare questo necessita inoltre un incremento drastico delle capacità di calcolo, non sarà certamente in questo secolo, la Legge di Moore è piuttosto chiara in merito, ma come al solito, questo è tutto un’altro Articolo.

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Arte e Coronavirus

Posted in Estetica e Bellezza, Filosofia dell'arte, Il "Valore" dell'Arte on novembre 14th, 2020 by Francesco

di Francesco Campoli

In questo difficile momento in presenza della sussistente Pandemia, siamo tutti presi a difenderci dall’attacco del “Coronavirus“, non potevo non approfittare dell’intento introspettivo da molti dichiarato – spesso in forma assolutamente retorica – per scrivere finalmente un nuovo articolo su “Sculturaecultura“.
Questo evento da tutti percepito come epocale, e senz’altro lo è, però sembra avere effetti tra i più disparati (talvolta, purtroppo anche disperanti), a seconda della personale struttura emotiva.
Questo concetto piuttosto complesso, ai più è praticamente sconosciuto almeno nella sua accezione più tecnica, per noi gli operatori del mondo dell’Arte, è un concetto estremamente importante.
Tutto dipende dal “Valore” che si da all’Arte, come ormai tutti saprete, da sempre cerco di mettere in guardia dal leggere l’Arte solo nella sua dimensione estetica, personalmente all’Arte, attribuisco sempre una grande valenza Spirituale come tra l’altro era per Kandinskj e prima ancora di Goethe.

Lo spirituale nell,arte vasilij kandinskij

Lo spirituale nell'arte Vasilij Kandinskij

Per inquadrare meglio il microrganismo che in questi mesi si impone prepotentemente alle cronache, va detto che “Virus” in Latino significa “Veleno“.
Questo termine illustra fin troppo bene l’effetto di questi microrganismi sugli esseri che colpisce, per fortuna non sempre ci dobbiamo riferire a Virus letali, comunque, certamente questo genere di infezioni non sono mai una iniezione di salute e benessere.
Il vero nodo della situazione particolare che stiamo vivendo, sono le azioni che siamo costretti a mettere in atto per difenderci, perchè interagiscono moltissimo con la nostra psiche, con il nostro “Stato emozionale“.
Le specifiche percezioni sono assolutamente personali e ovviamente proporzionali alla nostra dimestichezza con le questioni filosofico/esistenziali.
Non bisogna essere certo dei luminari delle “Neuroscienze” per capire che, in casi come questi, avviene una sorta di “Rebound” emozionale.

neuroscienze

Le neuroscienze

All’inizio si vive una sorta di disorientamento, di immobilismo, come è stato evidente nel periodo di stretto “Lockdown” che abbiamo recentemente vissuto, scambiato da Analisti superficiali, come una straripante “Coscienza sociale” finalmente riconquistata dal Popolo italiano.
Questa valutazione cozza duramente con le manifestazioni vicine all’insubordinazione (talvolta con forti accenni di Insurrezione), ai quali invece abbiamo assistito soprattutto negli ultimi giorni, nell rischio incombente di un nuovo periodo di clausura generalizzata.
In realtà quella stasi sociale che appariva quasi prona, nascondeva invece un rifiuto della realtà oggettiva, in questi casi, come è noto, la mente reagisce appunto con un rimbalzo emotivo, sia nel singolo che a livello di “Organismo sociale” (vicino a quello concepito da Marx e Engel).
Al di la del concetto “Funzionalista“, sia nell’accezione sociologica che in quella antropologica, che inteso come mera allegoria è piuttosto intuitivo, al contrario è una teoria sociologica piuttosto complessa, ma non essendo questa una sede accademica di trattazione della scienza sociale, ci possiamo accontentare di comprendere semplicemente le dinamiche utili a comprendere meglio la nostra condizione animico-emozionale.

Curva Stress

La reazione all’evento stressante ha solo due possibili polarità: Una reazione a carattere positivo, ricca di stimoli creativi, di reazioni serene, felici, talvolta addirittura euforiche, oppure, al contrario, possono emergere reazioni negative, come nella Sindrome da Stress post-traumatico, infelicità, mestizia, tristezza e purtroppo, in casi estremi, anche manifestazioni conclamate di “Depressione“.
In situazioni eccezionalmente critiche, come può essere un Attacco Virale Globale, l’Essere umano è naturalmente portato ad interrogarsi sui perché, magari non sempre lo fa in modo totalmente lucido, ma è un comportamento “naturale”, oserei dire una “Caratteristica evolutiva“, un modo per cercare di acquisire strumenti utili all’Evoluzione della specie e in particolare alla sua conservazione.
Ed è proprio la disponibilità di “Strumenti” di comprensione, che determina la direzione del “Rebound emozionale” sopra descritto, che è evidentemente funzione delle conoscenze specifiche e limiti culturali o funzionali sussistenti, reagire ad una sollecitazione emozionale così invasiva non è cosa semplice, soprattutto perché facilmente sfugge all’elaborazione razionale e soprattutto perchè non esiste possibilità di un “Problem Solving” individuale.
Non avendo particolari chances di mettere in atto delle efficaci contromisure personali, sarebbe d’aiuto un cosiddetto “Compito di realtà“, ma al di fuori di un mero esercizio teorico, mancano i presupposti sociologici per poterlo progettare, essendo di fronte ad un evento praticamente sconosciuto dovendo risalire alla “Spagnola” del 1918 per trovare un evento paragonabile a livello emozionale.

Coronavirus

Coronavirus

Ragionare per “Convenzioni” più che una semplificazione, di fatto, è sempre un “ossimoro“, è certamente più chiarificante ragionare sul valore reale delle parole, ed è sempre una opportunità preziosa per guardare le cose da un diverso punto di vista.

Affrontare un problema da diverse ottiche, serve sempre a comprendere meglio i termini di un problema.
Un Attacco Virale Globale è convenzionalmente chiamato “Pandemia” quando il contagio (ascrivibile ad un medesimo “agente patogeno“), è allargato a tutto il Pianeta.
Al contrario la parola “Epidemia“, erroneamente usata per indicare una infezione circoscritta ad una specifica area geografica, in realtà, etimologicamente deriva da ἐπιδήμιος «che è nel popolo», composta da “ἐπί” (Epì) «sopra» e “δῆμος” (Demos) «popolo»), quindi significa “Sopra al Popolo”, di conseguenza, “semanticamente” riferibile ad un gruppo di persone e non ad un’area “geografica”.

pandemia

Pandemia

Pandemia invece è derivante dal greco πανδήμιος (Pandemos), composta da παν, (Pan) “Tutto” e δῆμος (Demos), di conseguenza significa “Tutto il Popolo”, quindi contrariamente a ciò che normalmente si tende a credere, non ha una connotazione “geografica” ma è riferita all’Uomo in quanto Essere umano, Ente universale non limitato da Convenzioni geografiche, cioè quelle che abitualmente definiamo “Confini“.

Confine convenzionale

Questa lunga premessa è importante per poi riportare il ragionamento nel giusto alveo, cioè quelle utile alle tematiche artistiche proprie di questo “Blog“.

Ciò che riguarda profondamente l’Uomo nella sua essenza, sicuramente può essere letto anche dal punto di vista “spirituale“, da non confondere assolutamente con quello “Religioso“.
Parlando di Religione si entrerebbe tra i soliti, rispettivi distinguo di carattere “Teologico“, per non dire anche di quelli “Liturgici” delle specifiche confessioni.
Questo non è affatto nelle mie intenzioni, anche se, come è ormai noto, le “Religioni comparate” sono uno degli elementi caratterizzanti della mia “Poetica” e del mio “Processo creativo“.

Teologia di Raffaello Sanzio

La Teologia di Raffaello Sanzio

Molto spesso in questi miei articoli ho dichiarato di comprendere l’Arte nella “Sfera spirituale“,  ma non voglio concentrare il discorso esclusivamente nell’ambito della “Trascendenza“, e pur senza per questo ritenermi un “relativista“, penso che questo sia un modo sociologicamente accettabile per guardare agli accadimenti della nostra Storia.

popoli migranti

Popoli migranti al confine Turco

Ogni evento catastrofico può essere letto in una chiave alternativa, semiologica, simbolica.

Un’epidemia virale che di fatto sconvolgerà il sistema Economico/Sanitario al quale eravamo abituati, è lo “Stereotipo” perfetto di un evento che è naturale interpretare in senso “Millenaristico“.
L’evento Coronavirus ha messo in evidenza la fragilità dell’attuale Sistema Economico approccio economico strettamente utilitaristico ed economicistico, volendo potremmo pensarlo come un evento da leggere addirittura in senso “escatologico“.
Ogni giorno in tutti i telegiornali, in tutti i “Talk show“, oltre al vaticinio di un “Sistema economico” sull’orlo del collasso, che, a Pandemia finita, non sarebbe affatto in grado di ritornare allo stato pre-Covid, lo fa apparire in tutta la sua inconsistenza.
Riflettendoci fuori dai condizionamenti emozionali, in realtà parliamo di pochi mesi di lotta contro il Virus, ma secondo i grandi Soloni internazionali dell’Economia, rischiamo di essere trascinati in un gorgo recessivo dissecante.
Non voglio qui analizzare tutte le dinamiche scandalose di questo tipo di  Struttura organizzativa strettamente “Materialista”, ma non posso non ricordare che, con il crollo del Sistema economico crollerebbe anche il “Sistema sociale” Ente al quale si da sempre minima importanza ma che in realtà è quello che concretizza il “Patto sociale“.
Le funzioni nell’ organizzazione sociale sono strettamente connesse, anche perchè le attività sociali in genere, necessariamente attingono alle risorse economiche generali, (questo avviene particolarmente per quelle dedicate al sociale) derivanti dalle varie classi di tassazione.
Un Sistema economico come quello nel quale viviamo, basato ormai sulla massimizzazione dei tornaconti personali e al mantenimento di privilegi acquisiti, anche a discapito del prossimo, alla fine non può che disgregarsi.
Il collegamento diretto dell’Arte con il “Sociale“, risiede in particolare in quella funzione che sempre più viene riconosciuta all’Artista: La stigmatizzazione delle dinamiche del suo tempo e soprattutto la ” Denuncia”.
Ci sono correnti artistiche che fanno della “Denuncia Sociale” la loro stessa ragione di vita, come ad esempio il fenomeno della “Street Art”, che vede in “Bansky“, uno dei suoi esponenti più famosi,

Balloon girl Banksy

e “Lucamaleonte” uno dei massimi rappresentanti di questa corrente in Italia, molto conosciuto anche nel mondo.

Omaggio a Gigi Proietti

Lucamaleonte omaggio a Proietti

Non è nel tema di questo articolo, ma in realtà quella della Denuncia Sociale non è esclusivo appannaggio delle correnti contemporanee, magari in forma meno totalizzante, anche diversi artisti del passato si sono sentiti chiamati a richiamare l’attenzione pubblica, come ad esempio Giuseppe Pellizza da Volpedo (famoso il sue “Quarto Stato”),

Quarto Stato Giuseppe Pellizza da Volpedo

"Quarto Stato" di Giuseppe Pellizza da Volpedo

o  “Renato Guttuso” che fu anche Senatore della Repubblica o posso chiamare in causa “Aligi Sassu” che sentiva particolarmente questa tematica e, non solo perchè mi onora della sua amicizia, mi fa piacere citare  “Caio Gracco” (in quanto contemporaneo (con qualche anno in più di Bansky), per le sue iniziative di denuncia delle incongruenze sociali del nostro tempo, come la sua “Così ci vogliono“.

Caio Gracco così ci vogliono

"Così ci vogliono" Caio Gracco

Personalmente ho cercato di dare il mio contributo con una proposta “alternativa”, come quella di “Social Threefolding” un sistema economico e di organizzazione sociale, proposto da “Rudolf  Steiner“  sistema sul quale ho cercato di porre l’accento con questa scultura presentata in una mostra diversi anni fà.

"Social Threefolding" Francesco Campoli

Questa mia indicazione/provocazione, non vuole proporre il Sistema di Steiner come alternativa nello specifico, ma per far capire che esistono delle alternative, anche a prescindere dai Sistemi Social-comunisti che purtroppo abbiamo conosciuto in tutte le loro controindicazioni.

Nelle realtà che hanno concretizzato l’ideale Marxista, addirittura si è arrivati a prevaricare le libertà dell’individuo a favore dell’Idea, cosa che tra l’altro non era nelle indicazioni del filosofo tedesco.

Karl Marx

Karl Marx

Principalmente mi interessava una organizzazione sociale fondata anche sull’aspetto animico dell’Essere umano, nel “Fil Rouge” della mia visione artistica.

Das Kapital Marx

Das Kapital Marx

La Società prefigurata da Steiner e da lui ampiamente articolata in diverse Conferenze pubbliche (anche tra gli operai di grandi fabbriche della Germania del suo tempo), metteva in primo piano il rapporto spirituale tra l’Essere umano e la Società in particolare nella relazione con gli altri Esseri Umani, in particolare nell’ottica dell’evoluzione delle rispettive Anime e nello “Spirito” dei popoli.

Personalmente, questo è un punto di vista che tengo in gran conto, tanto è vero che spesso, molti dei miei lavori cercano di alzare l’attenzione sulla “Vexata questio”.
L’inconsapevolezza del valore animico dell’individuo, delle sue appartenenze culturali e soprattutto della sua interazione con la Struttura sociale, sono all’origine di un altro esecrabile fenomeno, universalmente definito “Il Razzismo”.
In verità non è la cosiddetta “Razza” a scatenare quelle che sono le nefandezze che tutti ben conosciamo, ma appunto le dinamiche sociali e antropologiche che ho messo in evidenza.
Ad esempio ho affrontato questo tema nella mia scultura “Racial divide” e in quelle della sua serie, come memento di un problema trascurato ma soprattutto no compreso nelle sue reali dinamiche.

Racial divide Francesco Campoli

"Racial divide" Francesco Campoli

Rudolf Steiner

Rudolf Steiner

Secondo il mio modo di vedere, non è così sbagliato definire “Diabolico” il sistema capitalistico attualmente “vigente”, anche se forse quello che vediamo non è realmente il Capitalismo prefigurato da Adam Smith.

A dire il vero il termine “Capitalismo” fu coniato dal Karl Marx, nel suo celeberrimo saggio “Il Capitale“, il testo madre al quale si rifanno le ideologie di origine marxista.

Adam Smith

Adam Smith

Adam Smith non era un economista come si potrebbe pensare, ai suoi tempi (1790) l’economia no era una disciplina accademica, come la conosciamo oggi, ma era un Filosofo come Marx del resto.
La parvenza di scientificità che danno all’Economia le istituzioni Universitarie, in realtà è smentita dalle molteplici specializzazioni, master e dottorati che poi propongono.
Le stesse distinzioni che vanno per la maggiore, il “Liberismo“, contrapposto all’approccio economico Keinesiano,  fondato sulle teorie dell’economista inglese John Maynard Keynes (1933), se approfondite, mostrano una filosofia di fondo talmente diversa, da apparire concetti assolutamente avulsi tra loro.

Resta fermo il concetto che desideravo evidenziare e cioè, che la Filosofia, come avviene in ogni altro contesto è quella che da la stura per comprendere le attività Umane.
Dalla filosofia non si può prescindere in ogni disciplina, esiste sempre una possibile analisi filosofica, se non addirittura una specifica teoria, ovviamente questo vale anche nel campo dell’Arte.

Benedetto Croce e l'Estetica dell'Arte

Come più volte ho scritto in vari articoli, non è un caso che in Italia continui a sussistere l’equivoco “Arte sinonimo di bello“, che limitano l’evoluzione dell’Arte contemporanea e financo dell’Arte Moderna, purtroppo la “Tesi filosofica” di Benedetto Croce, è uno dei fondamenti delle analisi dei nostri Storici dell’Arte, tra l’altro, senza che siano elaborate le opportune “Antitesi” e peggio ancora nessuno neanche azzarda una “Sintesi” .

John Maynard Keynes

John Maynard Keynes (1933)

Il sistema economico attuale, ormai praticamente “Pensiero Unico globalizzato“, ha generato diffidenza, mancanza di rispetto delle regole di convivenza civile, prevaricazione sul prossimo il tutto giustificato da una competitività estremizzata che giustificherebbe ogni mezzo che porti ad acquisire posizioni di vantaggio,
La cosa si nota particolarmente nel modo di comportarsi negli “spazi sociali”, (Condomini, Supermercati, Mezzi pubblici, Ospedali, Amministrazioni Pubbliche, Luoghi di Lavoro, ecc.) che  vorrei far sommessamente notare, “Casualmente”, questi spazi sono il teatro principale della guerra al Covid 19.

Su certe cose non uso parlarne neanche tra gli addetti ai lavori, ma mi richiamerei all’utilizzo rituale dei simboli messo in atto recentemente anche da Sua Santità Papa Francesco, che in una piazza San Pietro spettralmente deserta, sotto una poco rassicurante tempesta di pioggia e vento, ha praticato pratcamente un rituale esorcistico, benedicendo Urbi et Orbi con un grande ostensorio con all’interno il “Corpus Christi” alla presenza di un Crocifisso, che già era stato protagonista in situazioni molto simili del remoto passato e della sacra Icona Della Vergine “Salus Populi Romani” per l’occasione traslata dalla basilica di Santa Maria Maggiore, da dove normalmente vigila sulla salute del popolo romano.

Bergoglio Urbi et Orbi contro il Coronavirus

Urbi et Orbi contro Il Coronavirus

Simboli Religioni

Simboli di varie Religioni

L’Arte è una disciplina che fa ampio uso di simboli (come tra l’altro quasi tutte le manifestazioni legate alla spiritualità).

Chi non è avvezzo alle dinamiche della Creazione Artistica, a primo acchito potrebbe non avere contezza di questa realtà, purtroppo quello che è assolutamente più nefasto, è che questa “distrazione”, spesso accade anche a molti attori del mondo artistico.
l’Arte è espressione simbolica della “realtà“, anche quando apparentemente cerca vie espressive nella rappresentazione figurativa, come ampiamente dimostra la Storia dell’Arte.
In un mio “precedente articolo” su “Sculturaecultura“, ho parlato largamente della potenza dei simboli e ancor più chiaramente della scelta dell’Artista di rappresentare simbolicamente situazioni e sensazioni.
L’uso dei simboli non è per mantenere un approccio “Esoterico“, segreto, ma più semplicemente per costringere l’interlocutore a pensare, a sforzarsi di comprendere.
L’Artista è colui che vive in nome e per conto della comunità esperienze, che sarebbero magari troppo forti in forma Essoterica, non alla portata emotiva di tutti.
Spesso ho definito l’artista uno  “Sciamano“, semplicemente perchè può rappresentare una “Via”, se necessario espressa in forma simbolica, l’Arte come stimolo alla consapevolezza.
Proseguendo con il parallelismo con lo sciamanesimo, ho scritto che l’opera d’Arte è più o meno come un “Feticcio”, ovviamente parlo di una vicinanza di carattere propiziatorio, esteticamente le due cose hanno veramente poco in comune, ma non è così per quanto riguarda l’azione “apotropaica“, l’accostamento non deve far sorridere.
Più che bellezza, l’opera d’Arte crea una potente aura di positività, ed è anche per quello che spesso ci sono opere d’Arte a guardia di importanti piazze, di luoghi Santi o spesso di porti, anch’essi “porte” da e verso l’ignoto, da sempre accostato al mare.

Colosso di Rodi (Barclay)

Colosso di Rodi (Barclay)

La Statua della Libertà può rappresentare un esempio, come lo era al suo tempo il “Colosso di Rodi”, guarda caso eretto da un popolo come gli antichi Greci, una popolazione anch’essa a forte connotazione sciamanica.
Altra annotazione che a mio avviso vale la pena di fare, è che probabilmente è anche per questo nella antica Ellade presero corpo altre forme d’Arte estremamente importanti, assimilabili a rituali “Catartici” come la “Tragedia Greca“, veri e propri rituali collettivi a sfondo sciamanico, che da questa forma di attività collettiva prendevano la loro ragion d’essere.
L’analisi in effetti potrebbe essere assolutamente ampliata, finora abbiamo fatto riferimento a quelle che nel Medio evo erano definite ”Arti Liberali“, tutte quelle Arti che danno per risultato un oggetto fisico, che si possono immaginare come una “condensazione” delle Emozioni, ma molte altre forme d’Arte (come ad esempio la Poesia, la Musica, la Danza), sono frutto di happening momentanei, opere immateriali nate per rilasciare all’istante quell’Aura positiva della quale accennavo sopra.
Queste attività non vanno pensate come “Opere disperse”, semplicemente perchè come ormai è ampiamente dimostrato, non solo da Albert Einstein.

Molto chiaro anche il TED nelquale lo spiega il professor Carlo Rovelli un fisico italiano di fama mondiale.

il tempo non esiste Carlo Rovelli

"Il tempo non esiste" Prof Carlo Rovelli

\”Il tempo non esiste\” Carlo Rovelli

questa affermazione è molto importante per il collegamento che ha nella definizione di Arte per tutte le sue manifestazioni in forma immateriale, ma lo ha comunque anche per quelle a carattere materiale.
E’ un tema estremamente interessante, ma come dico sempre:
“Questo è tutto un altro Articolo”

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Arte e “Processo Creativo”

Posted in Filosofia dell'arte on gennaio 27th, 2015 by Francesco

di Francesco Campoli

Eccoci qui, finalmente, dopo un bel po’ di tempo, per continuare a parlare d’ Arte, riflettendo insieme per andare al di là dei luoghi comuni che, superficialmente, vengono riproposti intorno a questa essenziale attività umana.
Desidero ripagare la vostra amicizia (bontà vostra siamo sempre di più) e soprattutto con un nuovo articolo più approfondito del solito, non solo per compensare qualche giorno di ritardo nella nuova pubblicazione, ma anche per accontentare coloro che mi chiedono di argomentare con ancora maggiore dettaglio.

statistiche al 1° gennaio

Sculturaecultura: statistiche al 1° gennaio

Come ho mostrato anche nel mio articolo precedente – proponendo un estratto delle statistiche degli accessi su “Sculturaecultura” – per informazione di tutti i lettori – voglio postare i numeri aggiornati ad “oggi”, con orgoglio, (visto che l’interesse è sempre molto alto e tendenzialmente crescente), ma senza vanità od ostentazione, perché capisco che il consenso crescente non è solo frutto della scelta “editoriale” controcorrente.
Crescono visitatori e il numero di pagine consultate (indice che i visitatori navigano più ampiamente nel blog), ma questo, non indica necessariamente che cresce l’adesione alle mie tesi (che pur cerco di circostanziare scrupolosamente), ma – cosa che considero ancora più importante – che crescono gli interessati ai contenuti proposti, cresce l’interesse nei confronti dell’Arte, un dato di fatto di per se estremamente più importante.
Gli accessi sostanzialmente constano di oltre 1.000 visitatori unici al mese (quindi nuovi) e di oltre 9.000 pagine viste, questo, in generale, evidenzia che esiste una necessità crescente di appagare un bisogno ancestrale dell’essere umano, di conoscere l’Arte, di capire, di “Sapere”, una cosa positiva in assoluto, a maggior ragione perché, l’Arte, è parte integrante dell’Essere, transfert delle emozioni più profonde.
Parlo di transfert non perché un’opera d’Arte trasporti le emozioni dell’artista che l’ha concepita – come erroneamente si pensa – ma esattamente il contrario: Essa attua il transfert delle emozioni già presenti nell’universo, che l’artista è chiamato a raccogliere, per renderle disponibili anche a chi, per i più svariati motivi, preferisce non lavorare sui suoi sensi, o ad esempio, non ritiene di avere tempo da dedicare a queste attività.
(Carl Gustav Jung, ha scritto un noto saggio sull’argomento: “Psicologia del Transfert“), che pubblicò nel 1946, un libro che anche ai nostri giorni rappresenta ancora un punto di riferimento per gli psicologi clinici, un libro nel quale Jung analizza un processo non particolarmente intuitivo, in grado di sollevare un gran numero di interrogativi in noi stessi e sul modo di relazionarci con le nostre emozioni.
L’Arte, nella mia visione, è una sorta di finestra sulle nostre emozioni, la sua attrattiva, è così profondamente stimolante, perché poggia  sul fatto che, contrariamente a quel che i più immaginano, di fronte ad un’opera d’Arte, siamo attori e non spettatori.
L’artista, come ho scritto in precedenza, è come uno sciamano, vive emozioni, percepisce emozioni “in nome e per conto”, il suo dono è creare un tunnel emotivo, con l’universo che è fuori e l’universo che è dentro, che “costituzionalmente” in una sorta di “curvatura” spazio/temporale del genere concretizzato e ampiamente dimostrato da Albert Einstein.
Macrocosmo e microcosmo, inner world and outside world, sono aspetti differenti, integranti, dello stesso percorso, ed eccoci quindi ritornare all’Alchimia junghiana, alla magia naturale, che non è altro che la presa di coscienza della necessità di una trasformazione, da “Piombo” (quale ci rendiamo conto di essere) in Oro, quell’essenza di Spirito della quale siamo portatori, solo specchiandosi nelle profondità dell’universo la nostra mente percepisce chiaramente quello che abbiamo dentro il cuore.

Bush Painting nel Natal (Sudafrica)

Più sopra ho definito ancestrale questo bisogno di “Conoscenza” (ma anche e soprattutto di Coscienza), in quanto, il desiderio di “Sapere”, è una delle costituenti essenziali del nostro essere Uomini, non foss’ altro perché questo ci caratterizza profondamente e caratterizza (anche se spesso non si direbbe), la nostra specie (Homo), che non a caso è definita  Homo Sapiens, che si distingue rispetto ai suoi antenati (e ad altre specie), proprio per l’elevato  livello di conoscenza.
L’Uomo, già allora, sentiva la necessità di raccontare le proprie esperienze, la propria vita di tutti i giorni, le paure e/o le emozioni, attraverso forme di “proto-arte” come le cosiddette pitture rupestri, come usiamo definirle in italiano.
Questa denominazione italiana, nasce, perché in Italia, queste rappresentazioni primordiali, le abbiamo rinvenute soprattutto in zone definibili come rupestri.
In altre terre (come ad esempio il Sudafrica), le “pitture rupestri” sono definite “Bush Paintings”, perché li, invece, esse sono rinvenute prevalentemente in aree situate nella savana (il Bush appunto), che, come sappiamo da recenti scoperte, è stata l’habitat originario dei nostri più antichi progenitori.
Chi ha già letto qualcuno dei miei articoli precedenti, conosce già la mia opinione sulla “cosiddetta” Arte, che caratterizza epoche man mano sempre più vicine a noi.
Questa attività ancora è definita Arte, ma, molto spesso, secondo il mio modo di vedere, in realtà non lo era.
Si trattava fondamentalmente di un’ attività tecnica – ovviamente di livello enormemente più evoluto rispetto alle “Bush Paintings” – ma spesso realizzata solo a scopo puramente documentale, spesso, atta a soddisfare il narcisismo di un ricco mecenate, e feci l’esempio del Bronzino.
A prescindere dalla maestria tecnica dell’esecutore, sia pure essa di livello eccelso, io non posso concepire come Arte, qualcosa che, addirittura, era realizzata su commissione, nascendo quindi, al di fuori di uno specifico Processo Creativo, mancante quindi della fase fondamentale la “Creazione”.

Bronzino, Il nano Morgante

Bronzino, Il nano Morgante

Per “su commissione”, intendo che il soggetto dell’opera, è dettato dal committente (non ne parliamo neanche se ci riferissimo ad un ritratto), un committente che, spesso e volentieri, sceglieva anche la tecnica (magari in base al costo), o, addirittura che, in conseguenza della tecnica preferita sceglie l‘Artiere – che per il suo gusto – meglio interpreta la tecnica più gradita.

Ho usato il termine “Artiere” anziché Artista, proprio perché (si veda il dizionario), in origine, questi due termini erano assolutamente sinonimi.
Risulta quindi evidente che la creatività, non è che fosse la prima delle competenze ricercata in un artista del tempo del Bronzino.
E’ giusto considerare gli artisti dell’epoca (o con il massimo rispetto, Artieri), pienamente inseriti nella Storia dell’Arte, così come non sono da biasimare i committenti, che come d’uso al loro tempo cercavano un buon artigiano che abbellisse le loro lussuose magioni, o, fotografasse la loro effige o quella dei loro cari nel modo che essi ritenevano migliore.
La Storia, giustamente, ha una lettura cronologica degli eventi che si trova a studiare, ma è evidente che non è suo compito attribuire giudizi di merito o di qualità, men che meno sugli attori degli eventi medesimi.
Lo stesso fa la storia dell’Arte, studia e documenta “cronologicamente” l’evoluzione del concetto di Arte, in funzione del loro tempo storico.
Per fortuna, da allora, il profilo dell’artista si è veramente modificato, ma non è questo il motivo del mio argomentare, ho voluto fare tutto questo inciso per porre l’accento sul fatto che, Arte è un concetto dinamico, che nel tempo è destinato a cambiare, mettendoci ogni giorno di fronte al dilemma che è l’anima di questo blog: cos’è Arte? la domanda alla quale ognuno di noi, se vuol essere veramente artista, è obbligato a porsi prima di mettersi a scolpire, a dipingere, a suonare, a poetare.
Non è facile, di primo acchito, pensare come artista un uomo di 40.000 anni fa. intento a graffiare le rocce, a tracciare sulle pareti con sassi di arenaria, colorando con terre e pigmenti primitivi.
Pensare a questa persona, male in arnese, più artista di colui che, magari abbigliato in ricchi abiti damascati, agisce in nome e per conto di un illustrissimo committente, è un esercizio “apparentemente” piuttosto “eretico”, in particolare in Italia dove il peso di millenni di storia dell’Arte continuano a rappresentare un fardello più che un plus culturale.
Per questa ragione, ho voluto ben circostanziare in modo chiaro la mia opinione, come il mio approccio “maieutico” – più volte dichiarato – mi obbliga a fare e per evitare mal’ intendimenti.

Un Uomo preistorico che non ha tecnica acquisita ma che è alla ricerca, che è mosso da qualcosa di interiore che non esiterei a definire spirituale, il cui lavoro è pregno delle emozioni sgorgate direttamente della propria anima, un’ anima pura, basica – essendo praticamente all’inizio del percorso evolutivo dell’Umanità – secondo il mio modo di concepire  l’Arte, è molto più “artista” di coloro che, hanno abdicato al compito fondamentale di una artista …. CREARE, progettare, avendo delegato questa fase alla propria committenza.
Spesso nell’analisi critica di molte opere citato il fatto che l’autore, per lasciar trasparire qualcosa di se, del proprio pensiero, del proprio Essere, era costretto a “citarsi”, magari in forma “nascosta” nei propri lavori realizzati su committenza.
A quei tempi, non era neanche così normale “firmare” i propri lavori, solo nel tardo rinascimento questa usanza cominciò a prendere piede, ma non tanto per valorizzare i diritti intellettuali, ma per mera pubblicità.
Il fruitore occasionale, poteva immediatamente individuare l’autore dell’opera, ed eventualmente, chiamarlo a realizzarne anche per lui, insomma una sorta di passaparola ad alto livello.
Per l’originario committente, avere un oggetto riconducibile ad un “firma” famosa, era – come ancora oggi capita – uno “status symbol”, che accresceva il proprio prestigio sociale, di conseguenza, come ormai sembra normale portare una borsa, un portamonete o una valigia completamente ricoperta del logo/marchio di chi quell’oggetto ci ha venduto a caro prezzo.

tragedia greca

Tragedia greca

Gli antichi Uomini-artisti, attraverso uno di quei disegni primordiali, proprio perché nascevano da emozioni e percezioni introspettive, erano più vicini a quell’intento catartico, che la vera Arte, liberata dall’obiettivo di rappresentazione è chiamata ad avere.

Questa necessità, con il trascorrere dei secoli e dei millenni, la ritroveremo ad esempio nell’antica “Tragedia greca”, la catarsi, infatti, è l’essenza del Teatro greco, o meglio nella Tragedia Greca, Tragedia non in quanto narrazione di fatti nefasti, ma in quale rappresentazione del sommovimento emotivo che, in quanto Uomini, creati ad immagine e somiglianza di Dio (Genesi capitolo 1 paragrafi 26-27-28), non possiamo non vivere.
Gli Uomini, posti davanti ai bivi che l’esistenza costantemente propone, sono necessariamente chiamati ad esprimere la loro vera essenza, il loro autentico Io, per dirla ancora nel linguaggio della psicanalisi.
Catartico è un aggettivo che, personalmente, amo molto associare ad Arte, in particolare al posto dell’inadeguato e abusato attributo “bello”, che, invece, superficialmente, edonisticamente, nella vulgata è associato quale prerogativa primaria di un’opera d’Arte.
Bella un’opera d’Arte può anche tranquillamente esserlo, come tranquillamente può farne a meno, ed essere invece espressione sincera e profonda dell’identità di Uomo conscio del proprio dovere di “Essere Spirituale”, di Anima, alla quale sono affidati compiti evolutivi fondamentali.
Uomo, per me, è sinonimo di Artista, o almeno dovrebbe esserlo, per aver ricevuto il dono pieno dell’intelletto.
Un Uomo che, nel suo lavoro artistico, non ricerchi null’altro che il bello, nella migliore delle ipotesi, non può che essere un bravissimo Artiere.
Essere Uomini non è un “diritto acquisito” (come ormai usa comunemente pensare anche in ambito socio-culturale), ma – a mio modesto avviso – è il risultato di quanto (e soprattutto di come), facciamo uso della nostra prerogativa più caratterizzante: l’Intelletto, inteso nella più larga delle accezioni.
Questa mia visione dell’Essere, all’apparenza assolutamente Illuminista, in realtà lo è solo in parte, si rifà piuttosto all’assioma fondamentale che, il grande Dante Alighieri, ebbe a lanciare nel famosissimo – e mai troppo fatto nostro – 26° canto dell’ “Inferno“:
“Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”.

inferno 25 dante alighieri

Dante l' Inferno (Divina Commedia)

Da questo concetto così ben sintetizzato da Dante Alighieri, padre nobile della nostra cultura, prende le mosse la mia – modestissima – “crociata”, per tentare di demolire il radicato, magari anche inconfessato ma latente, luogo comune dell’  ”Artista maledetto”.

Questa immagine è ancor più radicata in alcuni, che facilmente si adagiano negli stereotipi, specie se riferiti all’artista moderno, figlio negletto delle avanguardie storiche del ‘900, l’artista scapestrato, che vive fuori dalla realtà o che ne viene inesorabilmente travolto.
Un Uomo che “geneticamente” non dispone dei mezzi psichici, – né tanto meno di quelli spirituali – per far fronte alle alterne vicende dell’esistenza, utile per essere messo all’indice come esempio negativo di Uomo socialmente disadattato.
Questa iconografia morbosa, sembrerebbe ben adattarsi, ad esempio, a Jackson Pollock, con i suoi problemi di alcoolismo e depressione o, magari, a Jean Michel Basquiat, con i suoi enormi problemi di inadeguatezza e tossicodipendenza che poi lo porteranno alla morte per overdose.
Questa rappresentazione superficiale dell’artista, anche e soprattutto in questi particolari casi, è enormemente sbagliata, anzi, spesso è artatamente costruita dai soliti noti: quelli che usano l’Arte per farne puro mercimonio.
Ritengo che questo modo superficiale di raccontare un artista, spesso e volentieri ha come intento un puro disegno di marketing, un fenomeno che credo di aver ben raccontato nel mio precedente articolo “Arte o Investimento“.

Jackson Pollock

Jackson Pollock

Per sostenere questa mia tesi, stavolta, voglio proprio esagerare, spararla grossa, voglio citare il Signor Michelangelo Merisi…., si…., proprio lui….., il Caravaggio.

Lui, scelto da mecenati illuminati, porporati come il cardinal Francesco Maria del Monte, nobili del nord come del sud, come il marchese Giustiniani a Roma, a Milano e Venezia.
Caravaggio come è noto, fu attivo a Roma per il principe Filippo I Colonna, a Napoli sempre sotto l’egida dei Colonna in particolare lavorando per la Marchesa Costanza Colonna, poi a Malta, dove sempre per intercessione dei Colonna, entra in contatto con il gran maestro dell’ordine dei cavalieri di san GiovanniAlof de Wignacourt, ecc.
Nella vulgata viene dipinto come un frequentatore di osterie di quart’ordine, un rissoso, un assassino, praticamente ben al di là del limite della criminalità comune, ma, riflettendoci, a voi sembra plausibile che dei principi romani si mettessero in casa una persona così pericolosa, uno squilibrato, un criminale?
Le cosiddette risse e il cosiddetto “omicidio di Ranuccio Tomassoni da Terni”, per la maggior parte non furono altro che duelli con rivali in amore.

il duello Caravaggio Tomassoni

Caravaggio - Tomassoni duello alla Pallacorda

Papa Paolo V ritratto dal Caravaggio

Proprio nel duello col Tomassoni, anche Michelangelo Merisi da Caravaggio rimase gravemente ferito.
Venne ricoverato presso l’ospedale della Misericordia (ci sono i verbali storici), dove dichiarò di essere caduto per sbaglio sulla sua stessa spada.
Non dico che questa pratica degli scontri mortali all’arma bianca fossero un comportamento particolarmente edificante, ma non si può ignorare che la condanna a morte, gli venne inflitta da Papa Paolo V, il “Papa Re” di allora, convinto sostenitore del divieto dei duelli, che a quei tempi causavano tante inutili morti, specialmente tra i giovani nobili delle famiglie più in vista.
Papa Paolo V promulgò l’editto contro i duelli, che prescriveva che giuridicamente  si dovesse considerare “assassino”, il vincitore di qualsiasi duello a prescindere dalle ragioni che lo avevano generato.

spiaggia della feniglia

Porto Ercole spiaggia della Feniglia

Lo stesso Papa Paolo V (Camillo Borghese), grande ammiratore del Caravaggio che riteneva il genio artistico del suo tempo (tanto è vero che gli aveva anche commissionato il famosissimo ritratto mostrato sopra), stava preparando la grazia per Michelangelo Merisi (o addirittura sembra l’avesse già fatta consegnare alla Marchesa Costanza Colonna), pochissimi giorni prima che il Caravaggio morisse a Porto Ercole, si narra sulla spiaggia della Feniglia.
A mio avviso, sarebbe sufficiente prendere in considerazione la raffinatezza delle opere di Caravaggio e la genialità della sua ricerca formale, per comprendere che, rappresentare il Caravaggio come un pazzo attaccabrighe criminale, sia come minimo forzato.
Per quanto mi consta, non ho molti dubbi che gli odierni “inventori di mostre” – il più possibile remunerative – puntualizzando esageratamente qualche forte “tratto umano” del maestro lombardo, gli vogliano ancora “far pagare”, per invidia (gli straordinari risultati dal Caravaggio, ottenuti facendo fruttare il proprio talento) o per semplice marketing commerciale (cercando di sfruttare l’ormai ben noto fascino dei personaggi negativi).

Basquiat con Andy Warhol

Basquiat con il suo mentore Andy Warhol

Tutto questo lungo ragionamento, ci conduce finalmente all’ argomento protagonista di questo articolo: il “Processo Creativo”, quel percorso apparentemente individuale, che, invece, attinge all’Anima collettiva, a quel “filo rosso” che ci riporta alla nostra comune, divina, origine.
Esiste si un approccio individuale (o se volete individualizzabile), che addirittura mi spingerei a definire “caratterizzante”, che porta l’artista a lavorare ad una specifica opera, con una specifica tecnica, in uno specifico momento storico.
Questo processo è determinante e, nella vita dell’artista, in genere parte da lontano.
Comincia a delinearsi pian piano, poi sempre più chiaramente man mano che l’esperienza di vita apporta il suo fondamentale contributo.
Accennavo sopra, che la mia idea di Umanità non è di derivazione totalmente illuminista come invece potrebbe sembrare al primo impatto.
La concezione illuminista, di norma, si caratterizza anche per una visione “anti-metafisica”, che invece, nel mio pensiero, non esiste assolutamente, anzi, io, nel “metafisico” intingo abbondantemente il “pennello” della mia poetica.
Portare la mia esperienza potrebbe sembrare poco rappresentativo, ma, questo genere di approccio, fu adottato anche da tanti illustri colleghi come ad esempio Leonardo da Vinci, supportato dalla sua ricerca platonica (sui solidi platonici), condivisa con fra’ Luca Pacioli alla corte di Ludovico il Moro.

Jacopo deBarbari ritratto di Frà Luca Pacioli

Frà Luca Pacioli e i solidi platonici

Alla visione “positivista” di alcuni neo-illuministi moderni – ma ancor più di tal’altri contemporanei – che fondano il loro pensiero solo sulla fenomenologia spiegabile con leggi fisiche, io, nel “mio” percorso creativo, preferisco un approccio di ben più ampio respiro, e, sicuramente tiene in conto anche variabili di natura metafisica.
Le cosiddette “Leggi Fisiche” solo apparentemente sembrano consolidate, invece, esse sono in costante evoluzione e assestamento, come largamente dimostrato dalla “rivoluzione quantistica” figlia degli studi di Einstein (appunto).
Le leggi della fisica quantistica, prima, non erano conosciute, la meccanica celeste consolidata era praticamente territorio esclusivo di Newton e Keplero, e prima di Galileo Galilei, era eresia affermare che la terra è una sfera, mentre ai nostri giorni, sarebbe eresia affermare il contrario.
Lo scienziato che si apre anche a “dinamiche percettive” in aggiunta (non in alternativa), a quelle logico/scientifiche e che non esclude aprioristicamente quelle di carattere spirituale, ha sicuramente una visione con maggiori prospettive di chi si ostina ad avere concezione ottusamente secolarizzata.
Un’impostazione maggiormente possibilista – senza arrivare alla creduloneria – dota la ricerca di un “arsenale” incommensurabilmente più ampio.
Ovviamente questo vale anche nella ricerca artistica, e, visto che l’Arte è una componente costitutiva della vita, anche quest’ultima offrirebbe in una ampiezza altrettanto incommensurabile.

essere secondo èarmenide

l'Essere secondo Parmeide

Come ho scritto in altri articoli, mi piace pensare ad un Uomo nella sua accezione più ampia, come nella visione parmenidea dell’Essere, di completezza e perfezione (almeno nelle potenzialità).
In Parmenide l’Essere è simbolizzato dalla sfera, una sfera nella quale tutto è già inscritto e, fuori dalla quale, insiste tutto ciò che non ne è elemento connaturato, immagino un Uomo che dia piena dignità alle capacità delle quali è naturalmente dotato.
L’artista al contrario di tutti gli altri professionisti, nella progettazione di un’opera (il processo Creativo è paragonabile a quello che interviene in altri contesti professionali), deve sommare l’attività creativa, a quella che conferisce al proprio lavoro l’ “alito vitale”, quel “surplus” che innalza l’opera d’Arte ben oltre un’ edonistica attuazione del puro pensiero estetico.
Il “Processo Creativo” può essere un percorso complesso, non facile da definire nei confini temporali, né in quelli esperienziali, sino a configurarsi come un vero e proprio rituale propedeutico alla creazione e/o all’elaborazione di un concetto o di un’identità artistica.
Parliamo di una fase troppo importante, fondamentale per non essere ben compresa e valorizzata e, per quanto possibile, insegnata nei licei artistici e nelle accademie.
Per quanto mi riguarda, è possibile che, dall’innesco del Processo Creativo fino al momento nel quale vedo concretizzarsi l’opera nella mia mente, trascorra anche molto tempo.
E’ come se piantassi un seme, lo annaffiassi delle tecniche che conosco, lo “concimassi” con le letture che ho fatto, con le esperienze del mio vissuto e con le emozioni che hanno attraversato la mia anima fino a quel momento.

botti e buon vino

maturazione dell'idea creativa

Dal momento che tutto questo processo è compiuto, non è detto che l’opera si “concretizzi” istantaneamente, sicuramente l’idea è pronta a maturare, ma è come un buon vino che invecchia e, solo col tempo acquisisce tutte le sue prerogative, quelle sfumature personali che, in fin dei conti, sono il suo maggior valore aggiunto.
In effetti sono in molti ad aver studiato il Processo Creativo, inteso con una accezione più estesa di modalità per l’ideazione e la realizzazione di opere d’Arte.
Come ho già affermato in un vecchio articolo del 2011 “Artista o ricercatore“, io concepisco un artista appunto come un ricercatore, concettualmente assimilabile ai ricercatori “scientifici” come quelli di ambiente universitario.
L’analisi proposta dallo psicologo ed educatore inglese Graham Wallas, autore già nel 1926 del saggio “The art of thought” (L’Arte del pensiero).
In questo testo si cerca di identificare le fasi caratterizzanti del Processo Creativo, proprio anche dei ricercatori in ambito scientifico, alla luce di quanto detto sopra è una analisi particolarmente illuminante.
Il Processo Creativo in Wallas è avvicinato anche ai contesti non circoscritti al mondo dell’Arte (contesto nel quale la Creatività sarebbe da dare per scontata).
Ormai è universalmente noto che, il massimo dei risultati nella ricerca – così come nel “problem solving” più in generale – si ottengono sommando l’intelletto (la “razionalità”), alla creatività e alle cosiddette “Soft Skills“.

Per Soft Skills si intende la miscela di conoscenze e predisposizioni istintive, con la quale si perseguono risultati progettuali ed esecutivi nettamente migliori (in quantità, ma anche in qualità), di quelli ottenuti con metodiche riconducibili a tecniche gestionali “tradizionali”.

Problem solving

Problem solving cloud

• Preparazione: questa fase prevede la raccolta delle informazioni su cui lavorare e la loro organizzazione disponendo di conoscenze sufficienti a riconoscerne attinenza e coerenza (Problem Solving).

Le caratteristiche di questa fase sono: Capacità di individuare un problema e avere l’orientamento a trovare una soluzione (le problem solving skills appunto).

• Incubazione: Fase di elaborazione mentale dei dati e delle informazioni alla ricerca di un ordine processo che si sviluppa per flussi di pensiero apparentemente disordinati (conosciuto anche come Brain Storming), che continua anche in momenti nei quali l’attenzione “cosciente” potrebbe sembrare apparentemente sospesa (come ad esempio nel sonno).
Cartesio riferì di aver intuito le nozioni fondamentali della geometria analitica in due sogni.
Friedrick Kekulé dichiarò che, grazie ad un sogno, nel quale vide atomi che danzano in un anello – l’anello benzenico – intuì la modalità di combinazione del carbonio con l’idrogeno nel benzene.

flood ark tablet

tavoletta babilonese

Hermann Hilprecht, notissimo archeologo e assiriologo tedesco, decifrò durante un sogno un’iscrizione cuneiforme babilonese – sino ad allora intraducibile – presente su una tavoletta di terracotta nella quale si narra dell’Arca di Noè e del diluvio.
Albert Einstein, a sedici anni intuì il significato della velocità della luce in taluni fondamentali processi fisici e comprese che il problema può essere risolto mettendo in discussione il concetto di tempo.
Nel 1915, mentre lavora a tempo pieno all’ufficio svizzero dei brevetti, concepì la universalmente nota teoria della relatività generale.

• Illuminazione o insight: l’intuizione, spesso istantanea, della soluzione cercata.
Sembra nascere in modo istintivo, spesso arriva in concomitanza con una forte emozione e molto spesso è completamente diversa dalle soluzioni valutate precedentemente.
Wallas in effetti avrebbe inquadrata anche una ulteriore fase, l’ Intimation, che però, non sempre è presente e può essere pensata come una pre-fase, con l’insorgere della sensazione di avere imbroccato la via giusta unita ad una eccitazione crescente che, a volte, può precedere l’insight.

• Verifiche: prove, messe a punto e formalizzazione.
Il metodo scientifico prevede la “formalizzazione” di una scoperta attraverso un’ampia documentazione, ribadita se possibile da una serie di assiomi inequivocabili.
Einstein a chi gli chiedeva come approcciasse a concetti così lontani da una logica intuitiva come quelli sui quali incentravano le sue teorie, diceva: … “è molto raro che io pensi con parole. Mi balena il pensiero, e solo più tardi posso cercare di esprimerlo…Naturalmente, questo senso, spinge in una direzione precisa, c’è sempre qualcosa di logico; ma per me, si presenta sempre…. visivamente.

Albert Einstein

Albert Einstein

E’ evidente che, il Processo Creativo, è un’alternanza tra logica e intuizione in una miscela sempre differente da persona a persona, lavorando su differenze, suggestioni, metafore e quindi con difformità evidenti nei risultati, anche direttamente dipendenti dell’esperienza personale (materiale e spirituale) acquisita.

Eindhoven e Vinacke nel 1952, giunsero alla conclusione che siano da definire fasi un po’ diverse per definire l’attività creativa degli artisti, puntualizzando soprattutto che, esistono notevoli differenze nel Processo Creativo riconducibile ad artisti giovani, messo a confronto con il percorso attuativo preferito da artisti più “esperti”.
L’esperienza, può essere sintetizzata dal neologismo anglofono “saissement”: quella differenza nel percorso di vita – in positivo o magari in negativo – che, porta l’artista a diventare più recettivo alle percezioni mondane o magari più sensibile al trascendente.
Il saissement, nel corso del tempo, è stato ricercato anche in forma consapevole, oserei dire scientifica, anche passando per le vie brevi.
Si sentiva spesso (e purtroppo si sente ancora), parlare di artisti dediti ad eccessi e forzature di vario genere (alcool, droghe, sesso, satanismo, ecc.), tanto che, si diede la stura ad esperienze come il movimento “psichedelico” della prima ora, figlio anche dell’uso dell’ L.S.D. (l’acido lisergico), tristemente noto per le conseguenze dirompenti, e talvolta permanenti sulla psiche di colui che lo assumesse.

Segale Cornuta

La segale Cornuta

Il Movimento Psichedelico, fu un movimento culturale che prese le mosse negli Stati Uniti e che, si consolidò in seguito anche in Europa, mutuando attività tipiche delle esperienze sciamaniche degli “Uomini della Medicina”, caratteristico della cultura dei nativi americani (ma presenti anche in particolari etno-zone dell’Asia e dell’Africa).
Le cerimonie messe in atto dagli “Uomini della Medicina”, avevano l’obiettivo di indurre (o meglio auto-indurre), il cosiddetto “Viaggio sciamanico” .
Il viaggio sciamanico, era ricercato con danze rituali ossessive o più spesso con l’uso di sostanze psicotrope di derivazione naturale.
Queste cerimonie rituali, prevedevano appunto l’uso (l’assunzione) di tuberi, erbe e funghi, contenenti sostanze atte a facilitare uno stato di coscienza alterato, tra le quali ad esempio la “Segale Cornuta” (Claviceps Purpurea), una delle fonti naturali di ergotamina  (o meglio del sale tartrato dell’ergotamina), dalla quale gli sciamani (grandi esperti di erbe, piante, e proto-chimica), sono in grado di sintetizzare l’Acido Lisergico naturale (L.S.D.).
Purtroppo, questa sostanza, venne poi prodotta chimicamente in disponibilità e concentrazioni micidiali, in preparazioni contenenti principio attivo di enorme potenza, soprattutto se confrontato con il prodotto naturale.
La concentrazione di principio attivo, unito alla mancanza di dimestichezza e basi sperimentali serie sulle dosi di somministrazione, produssero i disastri che tutti ben conosciamo, e che ancora ben ricordiamo.
Queste esperienze estreme di coscienza alterata, purtroppo, portarono alla pazzia e alla psicosi irreversibile milioni di persone.

Giovani Hippy

Giovani Hippy

Io stesso ricordo bene quando a Roma nel 1972 (avevo intorno ai 13 anni), a Villa Doria Pamphilij – il parco più grande di Roma, esattamente di fronte a casa mia – dove io andavo a giocare con gli amichetti, e, dove si tenne un famosissimo “Festival Pop/Rock” (noto anche come “la Woodstock di Roma“), al quale parteciparono gruppi musicali e grandi artisti che, all’epoca, avevano già fatto la storia della musica.

Era appunto il giorno dell’esibizione dei “Soft Machine” uno dei maggiori gruppi di rock psichedelico insieme ai Pink Floyd di “Ummagumma“, era una bella serata d’estate, vidi un ragazzo, vestito da Hippy (come usava molto tra i giovani dell’epoca), seduto a braccia conserte, rivolto a sud, verso il tramonto del sole.
Mi colpì particolarmente perché oscillava ossessivamente, avanti e indietro, come in un rituale saluto al sole.
Vicino a lui un altro ragazzo che lo guardava, gli parlava, mentre lui continuava ad oscillare, mentre noi ragazzini continuavamo a giocare.
Solo in età più adulta scoprii che, quel secondo ragazzo, era l’accompagnatore nel “viaggio lisergico”, che come era d’uso, aveva il compito di assistere il “viaggiatore”, che aveva assunto “l’acido” per confortarlo e cercare di ricondurlo alla realtà, in caso avesse subito allucinazioni incontrollabili e sconvolgenti (niente affatto rare con l’Acido Lisergico).
Purtroppo il ricordo non finisce qui, alcune ore dopo, ridendo della insolita situazione – come solo dei ragazzi inconsapevoli possono fare – ci avviammo verso le rispettive case per la cena accorgendoci che il ragazzo a braccia conserte che continuava ancora, ossessivamente ad oscillare.

Pineta Villa Pamphilij

La pineta di Villa Pamphilij

Meno risibile fu la situazione che ritrovammo nel pomeriggio del giorno dopo, quando, tornando a giocare nello stesso luogo al limitare della pineta di alberi secolari, vedemmo il ragazzo vestito da hippy nello stesso identico posto, che continuava ad oscillare verso il sole.
Il sole era tramontato e poi nuovamente risorto e di lì a qualche ora sarebbe nuovamente tramontato.
Mi resi anche conto che l’accompagnatore non era più li – probabilmente vinto dalla sete, dalla fame, dall’umido della notte – invece, il “viaggiatore”, immerso nel loop cerebrale che l’acido gli aveva lasciato attivo, era rimasto ancora lì.
Ricordo chiaramente l’angoscia che mi pervase, quando, ormai a sole nuovamente tramontato, avviandoci verso casa, lasciammo il ragazzo hippy a dondolarsi, verso quello che, ora me ne rendo bene conto, era ormai il nulla.
Probabilmente dondolava nel buio della sua mente, il buio che seguiva gli sfolgoranti caleidoscopi che, come è noto, si susseguivano senza soluzione di continuità nella mente di chi assume l’ L.S.D.
Il peggio venne all’indomani, tornando al solito posto per far volare gli aquiloni – non c’erano le Playstation allora – e, il ragazzo hippy non c’era più.
Ebbi la chiara percezione che fosse volato via anche lui, come un aquilone legato male (allora gli aquiloni ce li costruivamo da soli).
Ricordai la profonda tristezza di quella sensazione, lungamente, negli anni a seguire, continuai a viverla in lunghi e strani sogni, fino a quando, finalmente, i sogni erotici tipici della pubertà e le belle ragazze sostituirono le immagini di quel vallone di villa Pamphilij, pieno di prati verdi illuminati dall’oro del tramonto.

arte psichedelica

Tipico esempio di arte psichedelica

Queste esperienze di ricerca artistica estrema, vennero tentate da molti famosi gruppi musicali, arrivati poi alla fama globale (come appunto i Pink Floyd, i Doors, o i Soft Machine), esperimenti talvolta riusciti dando luogo ad album leggendari, talvolta, riusciti molto meno, infatti il ragazzo hippy non fu nè il primo nè l’ultimo a volare via come un aquilone.

Quelle esperienze a volte tragiche, furono un tentativo rimuovere le sovrastrutture e i vincoli psicologici che spesso e volentieri impediscono e/o limitano la generazione e la fruizione dell’Arte nella sua essenza, quella che insieme a voi, sto cercando in questo blog.
Ho citato ciò che avvenne nella musica, ma anche in altre forme di Arte, compresa la pittura (si pensi all’Arte Psichedelica) che nella San Francisco dell’epoca, trovò il centro mondialmente riconosciuto.
Stati emotivamente alterati, per essere più chiari, sono stati cercati anche con sollecitazioni estreme di natura diversa da quelle indotte dalle droghe pesanti.
Furono cercati gli stimoli di natura psicologica estrema, come l’immersione totale nel silenzio, quelli da sollecitazioni fisiche estreme, come l’astinenza da bisogni umani essenziali (astinenza dal bere, dal mangiare, dal sesso ecc.), o sollecitazioni di tipo “meccanico”, come l’immobilità prolungata (Yoga o meditazioni prolungate) o al contrario con cinèsi estremizzate (movimenti ossessivi ripetuti e prolungati), come ad esempio nelle danze dervisce o nella meditazione Kundalini proposta da Osho Rajneesh.

Osho

Osho Rajneesh

Per quanto mi riguarda, mi rendo conto che molti fruitori, cosi come purtroppo anche molti artisti (o presunti tali), vivano l’esperienza dell’Arte, filtrata attraverso una serie di sovrastrutture socio-culturali, prima fra tutte quella Estetica, in una sorta di “edonismo culturalista”.
Parimenti, mi rendo conto che però per rimuovere quelle sovrastrutture, non è necessario ricorrere a metodiche tanto estreme quanto inutili e conseguire i benefici psico-spirituali dell’Arte.
Con il neologismo di “edonismo culturalista”, definisco l’attuale tendenza della fruizione di Arte nella più assoluta superficialità, l’esatto contrario della sua natura fondante.
Questa modalità scellerata che sempre più mi è dato di vedere, vede una mostra, un teatro o un cinema, alla stregua di una “happy hour”, come si trattasse di un qualsiasi aperitivo, e, devo confessare che mi è giunto più di un invito a manifestazioni di questo tenore, come fruitore ma anche come Exibitor, ma ho sempre puntualmente e convintamente rifiutato.

Andare per mostre è divenuto un “Must” irrinunciabile, insieme a tanti altri, in particolare, questo è vero nel “cluster” socio-culturale emergente (mi scuso per il rigurgito di linguaggio da “marketer” che, ogni tanto, riemerge dal mio passato da pubblicitario).
Questa parafilia verso l’arte “in pubblico”, quasi come fosse un “plus” da esibire, ed essere riconosciuti e accettati in una “Élite sociale differenziale”, ovviamente migliore rispetto alle classi incolte.
Non è un bello spettacolo (almeno per me), vedere gente che ad una mostra, parla bellamente con il proprio accompagnatore degli “affari propri”, scorrendo tra i lavori in esposizione, dando distratte e fugaci occhiate verso i lavori, che, magari, sono frutto di enormi sforzi creativi e di dolorosi investimenti emotivi.
Io li chiamo “Quelli del bello”, comprano il catalogo, chiedono il programma dell’evento, il libretto del concerto (che testimonia la partecipazione) e commentano per superlativi (bellissimo, interessantissimo, bravissimi…).

Vernissage

Vernissage, ovviamente nessuno guarda le Opere

Questa “supervalutazione”, non serve a valorizzare ciò che hanno visto in mostra, o la “pièce” o il concerto al quale hanno assistito, ma sottintende un rafforzativo di valore della propria partecipazione, della propria scelta culturale.

L’insight (l’ispirazione), è comunque una dinamica mentale (io aggiungo spirituale), piuttosto misteriosa e complessa.
Il Processo Creativo, probabilmente, può essere rappresentabile come una struttura frattale, nella quale, una scelta creativa, si situa all’ interno di un’altra e all’ interno della quale se ne situa un’altra ancora, che a sua volta ne contiene un’altra identica alle altre – anche semplicemente come struttura – che all’interno, è costituita da altre strutture identiche in una dinamica ricorsivamente  iterata, e, così via, costituita da altre scelte creative iterate nella struttura generale, che ne contiene altre ancora,  e così via tendendo all’infinito, come avviene appunto in un frattale.
Questo modello di rappresentazione di particolari funzioni matematiche, profondamente iterate (riscontrabili anche in natura come ho ampiamente descritto nel mio precedente articolo “Arte e matematica”,

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sono stati studiati e approfonditi dal matematico Benoit Mandelbrot e che, allo stato, è la rappresentazione logico/matematica che più ci avvicina alla rappresentazione del concetto di CAOS.

CAOS è un concetto che spesso concepiamo come casuale, che invece è probabile possa avere una dinamica para-casuale (simile cioè alla funzione “RANDOM“, un algoritmo implementatato in tutti i microprocessori.
Decrittata quindi la dinamica “caotica”, riusciremmo a dare un senso logico anche a dinamiche fisiche (e non solo), solo apparentemente casuali, facendoci fare uno scatto in avanti nella progettazione in generale (quindi anche in quella Artistica) essendo consapevoli di dinamiche attualmente indecifrabili.

frattale di Mandelbrot

frattale di Mandelbrot

Sia gli studiosi del Processo Creativo e le persone che hanno avuto esperienza di intuizioni creative, concordano che la capacità di visualizzare strutture logiche complesse e/o di pensare per immagini (le immagini sono il codice psichico più denso e immediato), presentino la vera caratteristica identificativa dell’essere umano.
Questa modalità di comprensione evoluta non è riscontrabile in altri animali che non siano dei primati, che – uomo a parte - ne presentano solo piccoli accenni (come ad esempio riconoscere un proprio simile in una immagine), ma non hanno piena percezione di se nella propria immagine.
Non è un caso che si usi il termine “immaginazione” intendendo la qualità primaria di coloro che riescono a pensare per immagini mentali, infatti, gli Artisti, sono accreditati dei massimi livelli di immaginazione, in quanto, oltre a pensare per immagini, a queste, riescono a dare concretezza formale rappresentativa.
Immaginazione e creatività in genere sono intese come sinonimi, ma la creatività è il processo di unire elementi tramite connessioni logico/rappresentative (mappe mentali) innovative, che spesso prevedono il superamento di regole e status quo, come nel caso della rappresentazione artistica “cosiddetta” astratta, che mantiene collegamenti con il concetto (magari semplicemente in forma emotiva o emozionale), che l’artista “sente” di voler comunicare.

Vassili Kandinsky

Vassilij Kandinsky: Astratto niente affatto astratto

Nel Processo Creativo si uniscono disordine ed ordine, paradosso e metodo.
Come spesso ho detto su “Sculturaecultura“, queste capacità sono insite in ogni Essere umano, ognuno di noi le può adoperare a patto che, come in ogni forma di competenza, ci si impegni a svilupparla, come si afferma molto chiaramente – e da persona ben più illustre di me – anche nella famosa “Parabola dei Talenti” (cfr. Matteo 25,14-30), che, se a qualcuno interessa, a questo link può trovarla – meravigliosamente – spiegata da un fine teologo come S.S. Benedetto XVI.
Ogni giorno dovremmo riservare del tempo per pensare, per sognare, per immaginare, dovremmo consentire al cervello di metabolizzare tutto ciò che gli viene dato in pasto, di rielaborarlo sotto nuove forme e come ho detto sopra, come se si trattasse della documentazione di una ricerca, imparare a valorizzarla, a trasmetterla e magari ad insegnarla, insomma, un classico “Processo Creativo”.
Tutti abbiamo la possibilità di essere creativi, la creatività introduce nelle nostre azioni la nostra identità, possiamo, anzi ne abbiamo il dovere morale (ma anche quello sociale), soprattutto se vogliamo portare un nostro personale contributo ai valori di questa Umanità.
Questo genere umano che appare sempre più egoista, o per meglio dire “egoico”, in virtù dell’accezione narcisistica che in questo sinonimo possiamo ritrovare.
A nessuno è preclusa questa opportunità, così appagante ai livelli più profondi dell’essenza Umana, ma chi proprio non trovasse questa prerogativa in se stesso, può attingere alla funzione “sacerdotale” ricoperta dall’artista, come ho tentato di ben illustrare in un mio precedente articolo.
Un Processo Creativo si impernia quindi su pochi ma fondamentali cardini, e, prende le mosse dall’ispirazione, e si conclude con la Produzione.
L’ispirazione, che sembra essere molto difficile da conseguire e che invece è ovunque, basta guardarsi attorno, basta saper ascoltare, saper vedere, leggere, ascoltare, esplorare la Natura, comprenderla nella sua perfezione, insomma semplicemente Vivere, e non è un caso se scrivo in maiuscolo questa parola.

Ma l’ispirazione può arrivare anche da quanto l’uomo ha prodotto nei millenni, è sufficiente lasciare aperta la porta dell’intuitività.
Ma è da qui che ci si rende conto che siamo di fronte ad un vero “Processo”, infatti, l’intuizione non va subito tradotta passando alla Produzione.
Un’opera d’Arte va elaborata e rielaborata mentalmente (e spiritualmente), sino a quando in noi non diventa talmente definita da “essere” reale.
Una volta che questo “pensiero concreto” entra nella “realtà speculare” della nostra anima (che come sopra già ho detto), è a sua volta “specchio di Dio e dell’Universo”, necessita soltanto di essere messa in pratica, nella tecnica (o mix di tecniche), che si ritiene più adatta.
Si scelgono i materiali più attinenti, ci si pone nello stato mentale più giusto per questo “viaggio cosmico”, dove “cosmo” deve essere inteso nel suo significato originario – dal greco “kosmos”: “ordine”.
Per ordine, si intende il luogo/non luogo, dove tutte le cose sono al loro posto, per chi ci crede, al posto che Dio gli ha assegnato.
Tutto questo evidenzia l’importanza dell’affidabilità dell’artista, la sua onestà intellettuale, perché non si può non tenere in conto il reale impegno nella ricerca, per quanto sopra ho faticosamente descritto.
Purtroppo tanti lavori, spesso quelli più ruffiani, che, magari con particolari scelte estetiche, assecondano l’indole del fruitore, gli strizzano l’occhio semplicemente con un malcelato approccio commerciale, una forma di “Captatio Benevolentiae” che non si fonda certo sulla concretizzazione di una ricerca schietta e aperta, ma piuttosto sulla bieca facilità di vendita.

Talvolta questo accade per scelta deprecabile dell’artista, ma ancor più spesso, avviene per spinta del suo gallerista.
Il gallerista, inteso quale anello primo della catena commerciale, talvolta, arriva ad indurre nell’artista una tristissima “cristallizzazione” del Processo Creativo, facendolo concentrare su un “filone” di lavori che magari ha conseguito un buon successo commerciale.
Come più volte ho ribadito, anche qui su “Sculturaecultura”, non ho nulla contro la “cessione onerosa” di Opere d’Arte, ma troverei più giusto che l’acquirente possa pensarla come sostegno al lavoro di un artista che si sente vicino, piuttosto che un mero atto di acquisizione della proprietà.
Questo senso di vicinanza, questa empatia che si percepisce con l’artista, spesso e volentieri, è proprio figlio di quell’operare in forma sacerdotale, sciamanica, che l’artista attua “in nome e per conto”.
Ne ho scritto esaustivamente nell’articolo “Arte o Investimento” e in altri articoli sul “Valore dell’Arte“. Se quella “commerciale” diviene la motivazione primaria, possiamo immaginare quanto tutto possa essere mistificante, specialmente se messo in atto con il solo intento speculativo, privando quindi l’opera di ogni valenza spirituale.
In più di un’occasione, ho cercato di portare alla vostra attenzione, proprio questo comportamento “arimanico” – per usare una terminologia Zarathustriana cara a Nietzsche e a Leopardi (Inno ad Arimane 1833, testo incompiuto: “Re delle cose, autor del mondo, arcana Malvagità, sommo potere e somma Intelligenza, eterno Dator de’ mali e reggitor del moto) -
Arimane “re delle cose” come lo definisce Leopardi in incipit, può essere inteso come la componente satanica tipica del materialismo, ed ecco che risulta chiaro che, il “culto del materiale” che non è certo marginale nelle dinamiche del mondo dell’Arte, basti pensare a molte forme di collezionismo basate prevalentemente sull’accumulo più che sui contenuti ricercati dagli autori.
E’ importante mantenere un filo diretto con l’artista, a maggior ragione, visto che i “canali” che portano al pubblico il lavoro degli artisti sono in mano a pochi “eletti”.

E’ fondamentale mantenersi al di fuori da logiche collezionistiche (attività talvolta malate, in quanto spesso mosse da una logica del possesso), modalità di acquisizione altrettanto negativa quanto quella puramente edonistico/estetica per non parlare di quella ridicola dell’investimento.
E’ importante sostenere maggiormente l’artista puro (se vogliamo purista), perché è un Uomo che queste logiche arimanico/materialiste le rifiuta per costituzione, quando costui lavora a un’opera teatrale o scrive poesie o compone un brano musicale, potete star certi che ci crede al punto da sentirlo come un’atto eroico, un dono al mondo prima ancora che a se stesso come è giusto per colui a cui iene concesso il sacro dono dell’Arte.
Purtroppo, esistono invece “personaggi” – che non voglio chiamare artisti visto che ne sono la chiara antitesi – che lavorano solo per se stessi e/o al massimo per i critici o per il gallerista, e questo,non è sentirsi un telescopio puntato verso la luce in fondo all’universo.

universo

Scrutare in fondo all'Universo

Questo tedioso argomento mi piace sempre porgerlo quale oggetto di riflessione, ma il suo approfondimento è stato, e sarà, senz’altro, tutto un altro articolo.

di

Francesco Campoli

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Arte o Investimento

Posted in Il "Valore" dell'Arte on ottobre 13th, 2012 by Francesco

di Francesco Campoli

Nei precedenti articoli “il valore dell’arte”, “valore o valori” , “Arte ed Espressione”, in pratica una serie di riflessioni sul tema molto controverso del “valore dell’arte”, mi ero ripromesso di tornare a breve sull’argomento.
Seppure consideri questo tema molto importante, devo dire che ho trovato di volta in volta più interessante affrontare altri argomenti.
L’attribuzione di un valore ad un’ Opera d’arte, oltre che sul piano antropologico e sociologico, è importante anche per un altro motivo: da questo dipende la sopravvivenza di un artista, in quanto “Creatore/Ricercatore” , ma anche dell’ ”Essere umano Artista”, la cui terrena condizione, impone la “quasi” quotidiana necessità di nutrirsi.
Alcune evenienze apparentemente casuali, hanno riportato la mia attenzione sull’argomento in questione e risvegliato in me il desiderio di tornare a scriverne.
Nella mia quotidiana “navigazione” tra diversi “media” (non solo il web ovviamente), sui quali mi informo e dai quali prendo spunto per le “riflessioni” che poi vi sottopongo su “Sculturaecultura”, mi sono imbattuto in diverse “proposte”, che definire “Indecenti” è assolutamente eufemistico.

proposta indecente
proposta indecente

Voglio sperare che queste “sollecitazioni”  non abbiano un nesso strategico, altrimenti ci sarebbe veramente da preoccuparsi.
Credo comunque, che queste argomentazioni “economiciste”, siano solo una triste costante che  non ti aspetteresti mai in un consesso che tratta di Arte.
In queste varie “occasioni di comunicazione”, personaggi di ogni genere consigliavano l”Arte” quale strumento di investimento, in forme più o meno “fantasiose”.
Tanto per ribadire un altro argomento varie volte affrontato nel blog, quando costoro parlano d’Arte, si riferiscono (sbagliando sapendo di sbagliare), esclusivamente ad “Opere d’arte”, che potremmo definire “titolari di un corpo fisico”.
Facendo appello ad una definizione molto diffusa nel periodo Ellenistico, si riferiscono alle sole “Arti Comuni” (quelle che richiedono un impegno manuale), escludendo quindi le “Arti Liberali”, quelle che poggiano su un impegno prevalentemente concettuale (la Poesia ad esempio), che non avendo un “Corpo Materiale”, non si prestano facilmente ad essere associate ad un valore economico.
Ho letto di valutazioni sul mondo dell’arte di pura matrice “economicista”, sino a udite bene, “la “Quotazione in borsa”, come un qualunque prodotto finanziario o come un normale “Future“.
Se avete letto con attenzione molti dei miei articoli passati (come ad esempio “Artista o Sciamano“), sapete bene la mia opinione sulla funzione (anche di interesse sociale) dell’Opera d’arte, potete immaginare la reazione “allergica” a ciò quando ciò mi si presentava davanti agli occhi.
So bene come tutti voi che l’attribuzione di Valore a un’Opera d’arte, purtroppo è “funzione” di diversi (spesso contrastanti), fattori che nulla hanno in comune con l’importanza dei contenuti, di volta in volta oggetto di “Trattazione Artistica”.
Molti di questi fattori sono convenzioni dure a morire, ad esempio l’età “storica” dell’Opera.
Di norma la “Collocazione cronologica” ha influenza sul Valore commerciale di un “oggetto d’ antiquariato”, ma nulla ha in comune con il “Valore Artistico” di un Opera d’Arte.
L’Arte presente in un’opera d’Arte è un valore assoluto, almeno per come lo intendo io.

Quadro d'antiquariato
Quadro d’antiquariato

Come riferivo sopra, mi sono “casualmente” imbattuto in varie proposte di Arte/Investimento, che non esiterei a definire aberranti, se riferite ad Opere d’arte, che nel bene o nel male sono “Patrimonio dell’umanità” proprio in virtù dei “Valori” che le permeano.
Tutte queste “sollecitazioni”, facevano leva sulla medesima “Reason Why” (il mio passato di pubblicitario ogni tanto rigurgita, quantomeno nel lessico).
Se vogliamo “brutalizzare” questa allocuzione tecnica, potremmo definire la “Reason Why” un “Supporto razionale utile a rafforzare lo stimolo emotivo all’acquisto”.
In una “strategia di vendita” relativa a un qualsiasi prodotto commerciale, questa “Motivazione d’acquisto” potremmo anche definirla “accettabile”, nel caso di un’Opera d’arte mi sentirei di definirla un’ assurdità, oltretutto di scarsa “Onestà intellettuale”.
Ho verificato, che le sollecitazioni che ho personalmente registrato, potrei onestamente definirle: “Primus inter Pares”, tra una marea di altre “bagatelle” di genere Economico/Artistico.
Desidero portarle alla vostra attenzione a puro titolo di esempio, visto che purtroppo mi riferisco ad un ben più ampio contesto, di spropositata inappropriatezza.

ArtInvestor
ArtInvestor

Per primo mi è capitato davanti il libro, “ArtInvestor ” di “Edgar Quadt”, che ormai sembra vantare diverse riedizioni.
Il suo autore sembrerebbe molto apprezzato, tant’è vero che “Arteconomy 24”, canale d’Arte (sempre a sfondo “economico”) del “Sole 24 Ore”, (l’ autorevole quotidiano ufficiale della “Confindustria Italiana), gli ha dedicato un’intervista.

edgar-quadt
edgar quadt

Cito testualmente dall’intervista all’autore (se non l’avete letta):
Nel capitolo “L’arte della formazione di capitali” si sostiene che gli investimenti in arte rimangono positivi anche in situazioni borsistiche estreme (nei giorni di “Bear Market”). Crede che ciò verrà confermato in questo momento?”.
Lascio a voi la valutazione nel merito e soprattutto la possibilità di leggere tutta l’intervista online se la ritenete di vostro interesse.
Pensate che non sia concepibile un approccio del genere parlando di Opere d’arte, (o meglio del famigerato “Mercato dell’arte”)?
A Roma si dice “al peggio non c’è mai fine”, andate a vedere il sito della banca “Monte dei paschi di Siena”,

mps maket value
Monte dei Paschi di Siena Art maket value

che ha creato l’ “Mps Art Market Value Index”: “L’indice del valore del mercato dell’Arte”, una cosa più e meno come il “Nasdaq Index” (indice dei titoli azionari di Aziende Tecnologiche), alla borsa a “Wall Street”.

L'Arte di collezionare Arte contemporanea di Ludovico Pratesi
L’Arte di collezionare Arte contemporanea di Ludovico Pratesi

Ma noi italiani si sa….. abbiamo il “Business dell’Arte” nel sangue……infatti c’è un altro autore italiano, che ha scritto un saggio che ci insegna a fare soldi “collezionando” arte contemporanea.
L’autore propone un approccio strategico, teso a creare “Valore Aggiunto” (chiamatelo pure guadagno), costruendo una collezione di Opere contemporanee (ricordate la differenza tra Arte Moderna e Arte Contemporanea…), per carità un legittimo approccio speculativo (in senso economicistico, non certo metodologico), ma è proprio il modo migliore per rapportarsi a delle opere d’arte?
Ovviamente i “guru” dell’ “Arte-Finanza”, non disdegnano di cercare i loro interlocutori (o magari “Investitori”) anche su Facebook, la “Nuova frontiera del business” online.
Propongono un nuovo percorso attraverso l’Arte, che non implica necessariamente la visione o l’ascolto delle Opere in oggetto.
Basta leggere delle schede “Tecnico-Economiche” e relazionarsi al proprio “Advisor” (chiamatelo Consulente se vi piace di più), come per un qualsiasi altro prodotto finanziario.

Spero che il mio approccio “Maieutico”, che ho ampiamente dichiarato in altre stesure sul blog, continui a risultare evidente.
Alle domande che pongo desidererei che trovaste risposte personali, visto che non mi ritengo un vostro “Maestro”, ma una persona che riflette a voce alta (se preferite a “Web Alto”, ci tengo molto che vi costruiate un’ opinione pienamente informata, su ciò che ho appena riferito.
Spesso nelle mie esposizioni in questo blog, mi rifaccio ad antichi saggi o a filosofi di epoca illuminista appoggiandomi ai loro costrutti, stavolta desidero “evocare” un signore vissuto in epoca molto più recente: Theodore Adorno.

theodor adorno
il filosofo Theodor Adorno

Il filosofo tedesco di madre italiana (come si evince chiaramente dal cognome), nasce a Francoforte nel 1909 e non è certamente meno erudito dei suoi illustri predecessori, ma aveva una visione dell’arte, più allargata e temporalmente vicina a noi.
La sua opera più conosciuta “Minima Moralia”, contiene una delle definizioni dell’Arte che io amo di più:
L’arte è magia liberata dalla menzogna di essere verità”.
E’ ovvio che con questa affermazione, Theodore Adorno, allude anche alle svolte epocali che l’Arte ebbe proprio ai suoi giorni, allontanandosi di fatto definitivamente, dal ruolo “Documentario” che sino ad allora interpretava prevalentemente.
Non dovendo più attendere al “ruolo storico” di rappresentazione (simulazione) della realtà (Mimesi), l’Arte, si era ormai appropriata delle sue nuove funzioni (ne ho già accennato in altri articoli precedenti) svolgendo un ruolo prevalentemente “Catartico”.
Il rifiuto della funzione originaria, si manifestò in vari tempi e in vari modi:

  • l’abbandono della forma classica con “Vassilij Kandinskij”
  • la rivoluzione nell’uso del colore con “Claude Monet
  • lo stravolgimento della prospettiva con “Mark Chagalle”.
    Vassily Kandinsky

    Vassily Kandinsky

    Kompositio VIII

    Composition VIII

claude-monet
Claude Monet

Impression du soleil levant
Monet Impression du soleil levant

Mark Chagall
Mark Chagall

Marc Chagalle La Promenade
Marc Chagalle La Promenade

artisti li cito esclusivamente per mia personale convinzione, senza reconditi desideri di riscrittura della Storia dell’Arte (così evitiamo polemiche sul nascere), mi par già di sentire i cori scandalizzati degli accademici.
L’Arte Moderna si avviava ormai verso la funzione “Catartica” alla quale accennavo sopra, (così come la descrive Aristotele nel suo “Poetica”):
Per portare un esempio contemporaneo ad Adorno, potremmo ritrovare quest’approccio nell’opera di Jackson Pollock .

Jackson Pollock
Jackson Pollock

full fathom five
full fathom five -Pollock -

Tutti noi conosciamo le difficoltà (esistenziali e caratteriali) del famoso artista statunitense:
E’ mia modesta convinzione, che la sua “Drip Painting”, fosse si un atto artistico, ma che molta della sua forza originasse proprio dall’intento “Catartico” che muoveva il suo creatore.
Pollock fu sempre alle prese con i suoi problemi con l’alcol, che poi lo portarono alla morte, in un incidente stradale che l’artista ebbe, mentre guidava completamente ubriaco.

Adorno oltre alla sua attività di filosofo, annoverava anche la direzione del famoso “Istituto per gli studi sociali” di Francoforte (dal quale originò la famosa scuola di Francoforte).
Qui si studiava e si approfondiva la filosofia e la sua integrazione (non utopica) con l’organismo sociale, storicamente un “pallino” dell’ “Intellighenzija” tedesca dell’epoca.
A questi alti obiettivi, lavorarono molti personaggi di riconosciuta competenza nei loro campi specifici, collaborarono nella scuola di Francoforte:

Leo Loewenthal

Leo Loewenthal

Il sociologo della letteratura Leo Löwenthal, il politologo Franz Leopold Neumann, il filosofo Herbert Marcuse, lo psico-sociologo Erich Fromm, il critico letterario e filosofo Walter Benjamin non sono che eccellenze di una lista ancora più nutrita.

Herbert Marcuse

Herbert Marcuse

Il “brodo di coltura” al quale attingevano questi illustri pensatori, originava dalla grande filosofia illuminista, con in più i contributi di Hegel, Marx, Freud ecc., tutto rivisitato attraverso il metodo “Critico Costruttivo” , cercando alternative sociologicamente più sostenibili, rispetto al sistema duale Capitalismo/Marxismo, che all’epoca già si confrontavano duramente (almeno sul piano filosofico).

erich fromm

Erich Fromm

Affermava sempre Theodore Adorno, “Il compito attuale dell’arte è di introdurre il caos nell’ordine” e, quando parlava dell’ordine, si riferiva all’ordine delle cose a quel tempo.
Non dimentichiamo che la Germania di quel tempo, cominciava a veder germogliare i semi del Nazionalsocialismo e che, essendo Adorno ebreo, non ne fù certamente contento, infatti gli accadimenti lo portarono presto all’esilio.
Per Theodore Adorno, la funzione dell’arte divenne anche “Memoria della vita offesa”, per evidenziare la dissonanza che lacera il tessuto del mondo, la disarmonia dell’Essere.
Si riferiva ai noti fatti di Auschwitz (dei quali parlò molto spesso), quale macchia indelebile sul “Genere umano”.
Auschwitz influenzò molto il suo pensiero, la sua identità in quanto tedesco che oltretutto aveva dedicato grandi sforzi intellettuali, all’evoluzione della società e del pensiero.
Diceva Adorno: “Auschwitz ha dimostrato inconfutabilmente il fallimento della cultura.
Il fatto che tutto ciò sia potuto accadere in mezzo a tutta la tradizione filosofica, dell’arte e delle scienze illuministiche, dice molto di piú che essa, testimonia che lo spirito, non è riuscito a raggiungere e modificare gli uomini.
In quelle regioni stesse con la loro pretesa enfatica di autarchia, sta di casa la non verità.
Tutta la cultura dopo Auschwitz, compresa la critica urgente ad essa, è spazzatura.”

Parole amare ma comprensibili, di chi all’evoluzione della cultura tedesca aveva tentato di contribuire, cercando di far si che essa si integrasse fattivamente col “Sistema sociale”.
“Quando l’arte non si traduce in critica diventa trasfigurazione consolatoria e ingannevole, complice dell’orrore dell’uomo”.
”La vera arte non cede all’estetismo, al kitsch e alle leggi funzionali del mercato “perché essa è conoscenza” non un oggetto da vendere.”

Ho volutamente usato le parole di Adorno e non le mie, le ho virgolettate ed evidenziate per rendere evidente la primogenitura di questi concetti, ma non credo che avrei potuto scrivere meglio il mio pensiero.
L’arte parla del mondo in cui viviamo ma in realtà non parla che di sé, quindi il rapporto arte-realtà è inesistente.”, anche queste non sono parole mie, ma voi trovate una motivazione migliore all’Arte Moderna?
La negazione della “forma estetica tradizionale” e delle “Norme tradizionali della bellezza” poiché sono divenute ideologiche” è tipica di Adorno e della Scuola di Francoforte.
La scuola di Francoforte fu una vera e propria fucina di filosofia destinata a volare ai più alti livelli, non avrebbe potuto essere altrimenti visto il livello dei collaboranti dell’ ”Istituto per gli studi Sociali” che si “coagularono” intorno a Theodore Adorno.
Filosofi, sociologi, critici e politologi, attenti all’iterazione delle dinamiche economiche con le differenti dinamiche artistiche, in quanto molto spesso esse secondo la loro (e la mia) convinzione, interferiscono con la “Coscienza sociale”.
L’arte (Künste in tedesco), fu un elemento fondamentale per la scuola di Francoforte, così come è rimasta tutt’oggi nella società “teutonica”.
Anche Walter Benjamin (grande collaboratore di Adorno), trattò ampiamente d’Arte, in particolare in una delle sue opere più famose: Il saggio ”L’opera d’Arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”.

Walter Benjamin

Walter Benjamin

Questo titolo è una pietra miliare dalla quale partire, per riflettere su questa (relativamente) “nuova” condizione dell’opera d’arte.
La riproducibilità, venne a contrapporsi alla condizione antecedente, nella quale un’opera d’Arte poteva essere solamente “unica e irripetibile”.
Si è molto dibattuto e ancora si continua a dibattere animatamente, sul fatto che sia sufficiente pensare, progettare un’opera, con l’obiettivo di farla duplicare, perchè si possa parlare ugualmente di “Arte”?.
Anche in epoche non proprio recenti esiteva questa pratica, magari ricorrendo alla maestria tecnica di un’altro essere umano.

 Walter Benjamin "l'opera d'arte nell'epoca della riproducibilità"

Walter Benjamin "l'opera d'arte nell'epoca della riproducibilità"

Questa casistica era prassi comune nelle antiche botteghe d’arte, anche quelle dei pittori e scultori più celebrati.
Benjamin mette in guardia dalla perdita dell’ ”Aura dell’opera d’Arte”, che a suo avviso decade nei multipli, disperdendo quel “lascito d’anima” che ogni artista addiziona ad ogni suo lavoro.
Stesso ragionamento può essere applicato ad altre forme d’arte, ad esempio ad un concerto, orchestrato e diretto direttamente dal suo compositore, o messo a confronto con delle registrazioni fonografiche.
Seppure tecnicamente ben fatte, nelle registrazioni non si ha la stessa “Aura”, per dirla con il glossario di Benjamin.
Anche questo sarebbe un argomento estremamente interessante da approfondire, necessario a definire meglio e a comprendere il concetto di “Arte”, ma senza dubbio anche questo sarebbe tutto un altro articolo…

Francesco Campoli

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Arte e Matematica

Posted in Filosofia dell'arte, l'Arte in ogni Arte on giugno 14th, 2012 by

di Francesco Campoli

Dopo aver tentato di “reinserire” l’artista nel contesto sociale, tentato di rivedere la funzione dell’opera d’arte per il singolo e per la collettività, messo in discussione il modo di attribuire “Valore” alle opere d’arte, messi in discussione i licei artistici e le accademie d’arte, nella loro funzione formativa per gli artisti, sconfessato i critici d’arte e le loro esegesi delle opere, “a prescindere” dalle scelte artistiche di chi le ha realizzate, oltre a tante altre riflessioni personali che trovate leggendo questo blog, vorrei tentare ora un’altra “operazione impossibile”: Cercare un collegamento tra l’Arte e la Matematica e se esiste scoprirne i perchè. In effetti avevo gia tentato speculazioni simili in alcuni articoli precedenti, sempre alla ricerca del “filo rosso” che collega tutte le forme d’Arte, quello che “Matematicamente” parlando potremmo definire il “Comune Denominatore”.
Individuare questo “Comune Denominatore”, equivale ad individuare il perno sul quale “ruota” l’Arte di ogni genere e di ogni stile, sia essa Poesia, Musica, Pittura, Scultura ecc. L’intento provocatorio di Accostare Arte e Matematica, ad alcuni lettori potrà sembrare quasi una bestemmia, specialmente per coloro che vedono l’Arte attraverso preconcetti “fantasiosi”, alla fin fine sono proprio questi preconcetti che desiderei abbattere. L’ Arte per più di qualcuno è sinonimo di sregolatezza, di “Espressione” in libertà, c’è chi la descrive come un “Dono” per pochi eletti, il che presuppone automaticamente che solo pochi illuminati la possono capire. Con la mia analisi e le mie provocazioni, tendo a sostenere che l’essenza dell’Arte è insita in ogni “Essere” e che anzi, ne è un importante costituente, va da se che è necessario accordarsi sul temine Arte.
Torniamo quindi a quella che io definisco la “Main Question”, l’ interrogativo centrale di SCULTURAECULTURA: Cos’è Arte? Come è ormai noto io credo nell’artista “Creatore”, nell’artista “Ricercatore”, in piena similitudine ad altri “professionisti” della ricerca, l’artista Sciamano “ponte” tra l’umanità e lo spirito e che sostengo che la razionalità “illuminista”, aggiunga un qualcosa al lavoro dell’artista, o almeno non lo sminuisce di certo.
Sono certo di poter dare un contributo a questa comune ricerca, con le mie opere, lavorando sulla concretezza dei contenuti, con una metodica quasi scientifica, ma lasciando aperta una porta verso l’universo, come credo sia giusto in ogni vero artista.
Cerco di dimostrare la bontà delle mie convinzioni, tentando una seria confutazione, una sorta di “Reductio ad Absurdum” nella migliore tradizione Socratica.

Socrate

Socrate

Come avrete certamente notato, l’intera linea editoriale di questo blog, è costruita sul metodo Socratico, del quale faccio un ampio e “immodesto” uso. Il “Metodo Socratico” per chi non ne conoscesse i termini, prevede il “Dialogo” tra Maestro e Discepolo, un dialogo fatto di stimoli e domande mirate, che il “Maestro” offre al discepolo per far emergere, la “Conoscenza Immanente”, bagaglio innato in ogni “Essere”. L’obiettivo è aiutare a costruire una coscenza critica personale, molto più utile di un bagaglio pleonastico di nozioni e di dogmi conformisti. Per il solo fatto di essere parte del creato, quell’ “Organismo Comune” che chiamiamo “Natura”, ogni “Essere” (per come lo intende Parmenide), è intriso del “Soffio Divino” che gli ha dato vita,

Parmenide

Parmenide

“Conoscenza Immanente”, che purtroppo non tutti sanno far fruttare come si dovrebbe. Anche se quella Maestro-Discepolo, non è l’esatta configurazione del rapporto comunicativo che stiamo istaurando, in ogni caso ritengo che la validità “comunicativa” del metodo socratico, sia assolutamente fuori discussione e, anche se immodestamente, continuerò ad usarlo. Il cosiddetto metodo Socratico fu convintamente adottato anche dal più illustre dei discepoli di Socrate. Parlo ovviamente di Platone, che lo utilizza in modo esclusivo nei suoi “Dialoghi”, dai quali ho attinto molte delle informazioni che sto per citare. In particolare mi riferisco al “Timeo”, un dialogo non a caso con un “Pitagorico” quale egli stesso fù, dialogo nel quale Platone ormai in età matura, avanza molte delle teorie sulle quali si fonda la moderna scienza.

platone

Platone

Io credo nella nostra “Memoria Cosmica”, un qualcosa di molto simile alla “Conoscenza Immanente” che richiamavo sopra, un “Ente” molto importante per cercare di confutare l’intuizione, che la Matematica possa facilmente essere collegata all’arte, e siccome non credo si possa discutere l’importanza della matematica nella vita dell’uomo, per “qualità transitiva”, lo stesso dev’essere accettato nei riguardi dell’arte.
Vorrei iniziare da un esempio e circostanziarlo per bene: Il legame tra Musica e Matematica, che ovviamente non mi sento di far passare come la scoperta del secolo, ma che indubbiamente rappresenta l’esempio migliore per argomentare su questo tema. La scoperta del mio amore per l’Arte, passa per una passione giovanile per la musica (in particolare per la chitarra), concretizzatosi poi in seguito in un rapporto più “Maturo”, per il Blues, il Jazz e le loro “Evoluzioni” in chiave moderna. Parlo quindi sapendo sufficientemente quello che dico, non sono un “Compositore” (un artista della musica), al massimo mi potrei definire uno discreto Musicista. Tutt’ora partecipo a qualche “Jam Session” , suonando con amici di vecchia data (anche considerata l’anagrafe), alcuni dei quali sono tutt’ora musicisti di professione. Nel pieno rispetto delle ragioni che sostengo sin dalla nascita di questo blog, pur suonando discretamente (tecnicamente) un paio di strumenti, non mi considero un “artista della musica”, al massimo uno scarso “Artigiano della musica”.
A chi non ha letto un mio precedente articolo su questo tema, per comprendere meglio questa affermazione, potrebbe essere utile rispolverare “Arte contro tecnica”, un articolo di successo ancora presente nell’archivio del blog. Nel campo musicale ho rinunciato a quella “Ricerca”, a quella “Creazione” che a mio avviso, rappresenta la vera attività di un artista nel pieno delle sue funzioni. Dalla Musica dei primi passi, mi sono evoluto artisticamente verso la Scultura, passando ovviamente anche attraverso la pittura, senza una completa soddisfazione.
Per ragioni che non è il caso di andare ad approfondire ora, ritengo la Scultura più adatta alla mia “Poetica” in particolare la scultura in ceramica, ma prima o poi ne parleremo. Per arrivare al dunque, credo che sia noto a tutti che sul rigo musicale, oltre alla “Chiave”, nella quale deve essere eseguita la melodia, esiste sempre una “Frazione”, con la quale il “Compositore” indica il Ritmo, con il quale la sua composizione deve essere eseguita.

Le chiavi musicali

Le chiavi musicali

quattro quarti

quattro quarti

si sente spesso parlare dei famosi “4/4” (quattro quarti), dei “3/4” (tre quarti) ecc. una prima evidenza del collegamento che cerco di dimostrare.
Se pensiamo ad uno strumento a corde, come ad esempio l’Arpa, la Chitarra o il Violino (in realtà anche il Pianoforte sarebbe uno di questi), salta agli occhi che il musicista per produrre una specifica nota, schiaccia la corda con le dita in punti ben precisi della tastiera (matematicamente precisi).

Croma: Un Ottavo

Croma: Un Ottavo

In verità, in altri casi, può lasciar vibrare liberamente la corda medesima, che comunque ha una lunghezza accuratamente predeterminata dal Liutaio (la distanza tra Capotasto e Ponticello). Questo “Gesto Tecnico” che sembra scontato, in effetti ha un preciso significato matematico: Una corda schiacciata sulla tastiera ad un ½ della suddetta lunghezza (riecco le frazioni), suona la stessa nota sulla quale è intonata, ma ad un’ottava superiore.

due quarti

Nota da due quarti

Se la corda è schiacciata ai 3/4 della sua lunghezza riproduce una “quarta”, ai suoi 2/3 una “quinta”, ecc. Quando parliamo della “terza”, della “quarta”, della “quinta”, della “settima” ecc, ci si riferisce alla progressione della scala (do, re, mi, fa, sol, ecc.), che di norma evolve un “tono” alla volta, fatti salvi i casi di # (Diesis) e il b (Bemolle), ma non è questo il luogo per fare un trattato di “Teoria Musicale”.

Tasti corde chitarra

Posizione tasti sulle corde della chitarra

Quando parliamo di un “Accordo in Maggiore”, tutti i musicisti sanno che si suona rientrando nello schema: “Tonica+Modale+Dominante”, (prima/terza/quinta della scala), cosi come per un “Accordo in Settima” si aggiunge una nota, che è appunto la “Settima” nella progressione della scala a partire dalla nota Tonica. Pur se queste mie (per forza di cose) “sommarie” asserzioni, potrebbero apparire utili alla confutazione della mia “Tesi”, in effetti c’è un signore (illustre matematico), ben più competente e geniale del sottoscritto, che ha fatto molto di più sul collegamento tra Musica e Matematica, parlo ovviamente di Pitagora.

PitagoraPitagora nacque nell’isola di “Samo”, nella prima metà del VI secolo A.C, ma si trasferì nell’allora Magna Grecia (La parte del sud Italia colonizzata dai greci), dove a Crotone (nella moderna Calabria), costituì la nota scuola detta dei Pitagorici.
Per i suoi seguaci, il rispetto per il fondatore rasentava la venerazione assoluta (com’era uso comune nelle scuole dell’antica Grecia), in effetti più che una scuola come la intendiamo ai giorni nostri, quella Pitagorica era più vicina a quella che noi contemporanei definiremmo sociologicamente una setta. Nella Scuola Pitagorica lo studio approfondito della matematica, implicava anche l’approfondimento degli aspetti metafisici ad essa collegati o collegabili. Nella comunità pitagorica lo studio della Matematica (e di sua sorella Geometria), non escludeva gli aspetti pratici dell’esistenza sui quali essa insisteva, anzi, i pitagorici li ritenevano strettamente collegati. Per aspetti metafisici della Matematica, dobbiamo intendere l’uso simbolico dei numeri (riecco anche i Simboli), il loro collegamento diretto con alcuni importanti concetti filosofici e la ricorrenza di alcuni valori specifici: le Costanti Matematiche.
Al tempo si riteneva che la “Natura”, rispondesse pienamente ai “Precetti Geometrici” e non si può dire che si fosse molto lontani dalla realtà. Alle Costanti Matematiche spesso si attribuiva un importante significato simbolico, incredibilmente esse sono tutt’ora dei capisaldi della Geometria e della Matematica moderna (di conseguenza anche della Fisica), dico incredibilmente visto che alcune costanti, sono state comprese e dimostrate già 500 anni prima di Cristo. Non si deve essere tratti in inganno da questi continui “sconfinamenti” tra realtà e mito, per gli antichi greci (e non solo per loro), il mondo spirituale e quello materiale non erano così rigidamente “separati” come li concepiamo ai giorni nostri. I matematici studiando le teorie pitagoriche, allo scopo di accostarle alla pratica del mondo di tutti i giorni, si resero pienamente conto, che anche la musica è pienamente spiegabile (quindi comprensibile), tramite equazioni e teoremi matematici, convinzione sulla quale anche ai giorni nostri, sono pochi a nutrire dei dubbi. Una delle applicazioni degli studi pitagorici sulla musica, fu l’Intonazione Pitagorica (basata appunto sulla scala pitagorica), la quale in questa sede sarebbe superfluo approfondire, ne accenno solamente quale ulteriore “Confutazione” dello stretto collegamento tra Musica e Matematica.

Nota: Do1 Re1 Mi1 Fa1 Sol1 La1 Si1 Do2
Frequenza: 1 9:8 81:64 4:3 3:2 27:16 243:128 2

*Il numerino susseguente la nota, indica l’ottava di appartenenza della medesima (Do1 rappresenta il Do nella prima ottava, Do2 quello della seconda, ecc). Il “Tono” corrisponde a 9:8, il “Semitono” a 256:243. L’esercizio per il quale, da sempre, si ricerca un collegamento tra la Natura e la Simbologia Numerica, deriva anche dal fatto che i Pitagorici, individuarono molte delle “Costanti Numeriche” che avevano a che fare con le cose del mondo. Essi ritenevano che queste costanti, potessero consentirci di capire a fondo molte realtà fisiche e anche quelle Metafisiche, essendo l’Arte secondo il concetto platonico (la musica è una delle tecniche artistiche) una “Mimesi” della natura e della vita, non esisteva dubbio alcuno su questo collegamento diretto.
Una di queste famose “Costanti” la conosciamo perfettamente tutti, mi riferisco a Π (pi greco), il famoso “3,14…” che utilizziamo nella determinazione dell’area del cerchio, nel calcolo del volume del cilindro, di quello della sfera, ecc.

Archimede

Archimede

Questo valore fondamentale è conosciuto anche come “Costante di Archimede”, ma il matematico siracusano non fu certo l’unico a comprenderne l’importanza. Leonardo Fibonacci (matematico pisano del 1170) lavorò moltissimo alla sua ottimizzazione (puntando alle sue approssimazioni migliori), ma il “Fibonacci” è considerato tuttora uno dei matematici fondamentali, in quanto comprese e descrisse le caratteristiche matematiche della cosiddetta “Sequenza di Fibonacci”.

La sequenza 0, 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89 …ecc.

fibonacci

Leonardo Pisano detto Fibonacci

nella quale ogni termine è la somma dei due che lo precedono, presenta mille stupefacenti “Caratteristiche Matematiche”, che la collegano ad un’altra discussa costante “Matematico/Geometrica” la cosiddetta “Sezione Aurea”, della quale cercherò di farvi scoprire i misteri. L’importanza per l’Arte, così come per molte manifestazioni naturali, della costante “nascosta” nella sequenza di Fibonacci, ci porterà certamente all’obiettivo dichiarato, ma per rivalutare la matematica non certo per svilire l’Arte.

spirale di Fibonacci

spirale di Fibonacci

Dalla rappresentazione grafica della sequenza di Leonardo Fibonacci, si ricava facilmente l’altrettanto nota “Spirale di Fibonacci”, uno dei “Segni” che più chiaramente possiamo leggere con i nostri occhi anche in natura. Vi sono molte spirali che si presentano evidenti anche in Natura e, se molte cose del mondo assumono di fatto una “Matrice comune”, evidentemente non può essere un caso, queste costanti devono avere una importanza particolare.

nella Ragnantela la spirale di Archimede

nella Ragnantela la spirale di Archimede

La “Spirale di Archimede” procede con una diversa dinamica rispetto alla spirale logaritmica (quella di fibonacci), ad esempio essa compare  sempre nella ragnatela. Si vede chiaramente che la spirale che il Ragno realizza (a partire dal centro), allargandosi “a passo costante” verso l’esterno, è la vera “chiave di volta” di questa enigmatica struttura ingegneristico/naturale. Oltre a costituire un aspetto “strutturalmente” importante per la ragnatela, la “Spirale di Archimede”, ha anche un fondamentale aspetto funzionale: Il ragno attraverso le sue spire, mantiene il totale controllo su ogni centimetro quadrato del suo “Terreno di caccia”, garantendosi così la migliore resa “Sforzi/Benefici”.

Tutti sappiamo che il Ragno può attendere la sua preda, fermo immobile nel centro della sua tela, risparmiando energie, in una delle migliori espressioni di efficienza dell’intero mondo dei predatori.
Il Ragno esegue la spirale di Archimede “istintualmente”, come pescando da una “Memoria Comune dell’Universo”, è incredibile infatti constatare che questa stessa spirale, è la “Matrice” di forma sulla quale “si adagiano” alcune tipologie di galassie.

Ngc 1232 una galassia spirale

Ngc 1232 una galassia a spirale

La spirale di Fibonacci invece è la “linea guida”, per la forma del guscio nella Conchiglia Nautilus o nella Chiocciola, volgarmente chiamata “Lumaca”.

Spirale nella chiocciola

Spirale nella chiocciola

La spirale nella conchiglia Nautilus

La spirale nella conchiglia Nautilus

La disposizione a “Spirale di Fibonacci” garantisce la massima insolazione ai semi del girasole, evitando ogni sovrapposizione e quindi ombre indesiderate.

Spirale nel Girasole

Spirale nel Girasole

La spirale di Fibonacci è chiaramente individuabile, anche nella disposizione dei petali della Rosa, oltre che nella disposizione dei semi nel Girasole.

Spirale nei petali della rosa

Spirale nei petali della rosa

Anche la disposizione delle foglie sul fusto della pianta del girasole (ma anche in moltissime altre specie botaniche), prevede una disposizione delle foglie sul fusto su una traiettoria, che si avvolge con il passo della ormai nota spirale.

Fillotassi nelle piante

Fillotassi nelle piante

Questa caratteristica è così comune nel mondo delle piante, che in botanica è stata studiata e compresa già ai tempi dei greci e prende il nome di “Fillotassi”, ulteriore importante esempio di presenza della “Sequenza di Fibonacci” in qualità di “Costante Significativa”.
La Costante che si evince dalla sequenza di fibonacci, è la famosa “Φ” (Phi), nota appunto come “Sezione Aurea”, alla quale molti artisti e molti architetti (che già nell’antichità avevano una connotazione comune), hanno attinto quale “impalcatura” delle loro opere e dei loro progetti. 1,6180…ecc. chiamata anche “la Costante di Dio”, per la sua ricorrenza in moltissime situazioni nell’intero universo, per i più convinti, rappresenterebbe  la “Firma Occulta” del Creatore.

La ricorrenza della “Sezione Aurea”, oltre a rappresentare la dinamica dell’albero genealogico delle api in un alveare, cosi come quella della dinamica della riproduzione dei Conigli (il miglior esempio di efficienza nella riproduzione), è facilmente rilevabile anche nell’uomo: L’esempio più facile da vedere è nel sorriso “perfetto”, nel quale possiamo notare che la proporzione tra la dimensione di un dente nei confronti del suo omologo seguente, segue indiscutibilmente il “Rapporto Aureo”. )

Fidia sezione aurea

Fidia e la sezione aurea

Molto più modestamente in molti la chiamano “Costante di Fidia”, scultore e architetto greco al quale dobbiamo moltissime sculture e templi (ad esempio il Partenone di Atene). Sembrerebbe che nelle Opere  d’Arte, nella quali la costante “Aurea”, è stata rilevata (a prescindere dalla volontà “Cosciente” dell’artista di inserirvela), si percepisce una sorta di “Bellezza Immanente”, che nulla ha in comune con il “Concetto Estetico di Bellezza” (anche a questo ho dedicato un interessantissimo articolo nel blog). Ciò che vi si percepisce lo potremmo definire un “Valore” assoluto, rilevabile da chiunque anche in modo inconscio.

Le Corbousier

Le Corbousier

Anche Le Corbusier lo storico architetto/designer svizzero/francese, che rivoluzionò l’architettura e il design del suo tempo (e anche del nostro). Attraverso l’uso del “Rapporto Aureo” (nella scia di Fidia), cercava la “Bellezza Assoluta” in accordo con l’efficacia nella fruizione, la “Bellezza della Funzione” il sogno di ogni architetto o designer. La “Sezione Aurea” la ritroviamo in molti dei suoi progetti, anche perchè molti dei suoi progetti, furono “proporzionati”, attraverso l’uso del suo “Modulor”, una “scala di grandezze” mutuata dal “Rapporto Aureo”.

Il Modulor di Le Corbousier

Il Modulor di Le Corbousier

Il “Modulor” puntava a realizzare una “Ergonomia Estetica” in “Armonia Aurea” con l’ ”Essere” Umano. Il “Modulor” partiva dal concetto che l’Uomo è proporzionato all’Universo, nel quale universo, il Rapporto Aureo rappresenta la linea guida fondamentale.
Dal “Modulor” derivarono molti progetti famosi di Le Corbusier, come la celeberrima “Chaise longue LC4”, che inserita in spazi progettati in accordo alla medesima filosofia, sarebbe un esempio di perfetta “Ergonomia”.

La Chaise long di Le Corbousier

La Chaise long di Le Corbousier

Per arrivare giustamente anche ad Internet, si dice che molti web designer, vedano nella “sezione aurea”, la proporzione migliore sulla quale costruire i loro “Template”, voi che ne dite?

Sculturaecultura layout spirale

Sculturaecultura layout Sezione Aurea

Scherzi a parte potrei continuare con molti altri esempi la dimostrazione dell’interazione della Sezione Aurea con una  “Estetica Assoluta”, perchè sembra quasi che  “Valorizzi” qualsiasi cosa tocchi, quasi una sorta di “Pietra Filosofale”, sarebbe inutile, ormai è chiaro che esempi ce ne sono fin troppi. Ecco quindi che  l’accostamento della matematica all’arte, alla luce di questi fatti, può apparire un pò meno “blasfemo”. Ai tempi di Pitagora la distanza tra Arte e Matematica, non era affatto percepita come evidente, così come non esisteva molta distanza, tra l’approccio “Magico Naturale” di uno Sciamano, quello Simbolico/Magico degli Gnostici Medievali o quello Magico/Spirituale di un Alchimista. A questo scopo potremmo citare il “Parmigianino”, noto come pittore, ma anche come fervente alchimista.

Parmigianino

Girolamo Francesco Maria Mazzola: il Parmigianino

Va detto che anche il Parmegianino cita Socrate e Platone, in particolare i famosi “Solidi Platonici” che sono tra le forme più “citate” nella storia dell’arte:

Diogene Parmigianino

Diogene indica il Dodecaedro "La Quintessenza" il Parmigianino

I “Solidi Platonici” sono così chiamati, in quanto rappresentano un contributo del più famoso discepolo di Socrate: Platone appunto. Su questi solidi poggia l’intera ricerca alchemica, nei Solidi Platonici la “Sezione Aurea”, è una presenza fondante, un esempio chiarificante è il Dodecaedro Platonico.

il dodecaedro nel Diogene

diogene il dodecaedro

Il Dodecaedro regolare è la “Solidificazione” del Pentagono, uno dei simboli più importanti a causa del suo ferreo collegamento con il Rapporto Aureo. Il pentagono contiene in se 5 “Triangoli Aurei”, unendo i vertici opposti è molto facile individuarli, a loro volta al centro descrivono un ulteriore pentagono regolare, all’interno del quale si possono iscrivere 5 nuovi triangoli in proporzione aurea e di nuovo, essi inscrivono un nuovo pentagono regolare e così via per una infinita quantità di volte.

Il pentagono regolare

Il pentagono regolare Microcosmo e Macrocosmo

Nel pentagono regolare nasce l’icona più rappresentativa nel mondo della magia, : il Pentacolo.

Pentacolo

Pentacolo

I triangoli “Aurei” lo descrivono chiaramente e, iscritti nel Pentagono regolare, che è la figura del Micro e del Macrocosmo e come dimostrato nella figura qui sopra, “simbolicamente” li contiene entrambi, iteratamente l’uno nell’altro in perfetta proporzione (seguite i colori), dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo. Anche nel mondo dell’arte, ricorrono spesso i “Solidi Platonici”, come  a sancire una comunione non così improbabile. Un esempio abbastanza recente e significativo è “L’ultima Cena” di Salvator Dalì, opera nella quale Il Dodecaedro rappresenta il “contenitore”, nel quale avviene la nascita della massima espressione della liturgia cristiana: La “Eucaristia”.

dodecaedro dali'

Dali'.."L'ultima cena"

Salvador Dali'

Salvador Dali'

Il riferimento Simbolico/Alchemico di Salvador Dalì è evidentissimo, il Solido Platonico in questione, rappresenta il “Quinto Elemento” alchemico”, la “Quintessenza” (l’Etere Aristotelico), l’Elemento Euclideo che insieme ad Aria, Fuoco, Acqua e Terra, rappresenta la componente essenziale dell’universo, quella che ne colma gli spazi apparentemente vuoti, per i credenti la “Conoscenza” intesa con una accezione integrale, lo spirito del Cristo appunto.

La lezione del Lucedello

La lezione del Lucedello

Nel dipinto del Lucidello che vediamo a sinistra,   (un pittore fiammingo), che rappresenta chiaramente una importante lezione, dell’allievo Johann Neudörffer e il suo maestro Nicolas Neufchatel nel quale il Dodecaedro (La quintessenza), ritorna prepotentemente.
Nel quadro del Lucidello, il Dodecaedro è inserito quale “metafora” di “Conoscenza” trasmessa nei suoi aspetti più alti.
Un altro importante simbolo campeggia su tutta la scena, il “Quadrato Magico”.

Il Quadrato magico introdurrebbe un’altra variabile matematica, che spesso viene definita la “Costante della Magia”, con una similitudine magari un pò azzardata con la Φ (Phi).
Il “Quadrato magico”, è una tabella quadrata (una Matrice matematica), nella quale la somma dei numeri presenti in ogni riga, in ogni colonna e in entrambe le diagonali da sempre lo stesso numero.

Melencolia I Durer

Melencolia I di Durer

Qui a sinistra si può vedere un dettaglio di un notissima incisione di Albrecht Dürer “Melencolia I“, il pittore incisore che notoriamente frequentava ambienti “Neoplatonici” dei suoi tempi.

Durer autoritratto 1498

Durer autoritratto 1498

Vi sarebbero molte evidenze anche sulla costante della magia e quindi sul “Quadrato magico”, ma questo articolo stà diventando veramente troppo lungo. Per gli interessati è sufficiente seguire questo link, si troveranno approfondimenti maggiori anche dell’aspetto matematico della questione, ad ulteriore conferma che un collegamento Arte-Matematica esiste eccome. Per verità andrebbe citato un’altro imprescindibile sostenitore della “Sezione Aurea, ” Fra Luca Pacioli” (che vediamo ritratto nel quadro qui sotto), fu lui a denominare Phi “Divina Proporzione”.

Jacopo de' Barbari Ritratto di Fra Luca Pacioli

Jacopo de' Barbari Ritratto di Fra Luca Pacioli

L’immancabile “Solido Platonico” che sembra catalizzare l’attenzione di Luca Pacioli e del suo allievo, è l’ennesima riprova che anche Jacopo de Barbari (il ritrattista), riconosce una dignità particolare a questa figura geometrica. Una importanza tanto particolare da farne elemento paritario (se non preponderante) nella composizione del ritratto, con la figura del frate francescano. L’opera di divulgazione più conosciuta di questo matematico”particolare”, fu “De Divina Proporzione”, che annovera quale illustratore un discreto pittore, scenziato, ingegnere e diciamolo pure genio indiscusso a tempo pieno: Leonardo da Vinci. Entrambi questi personaggi furono chiamati alla corte di Ludovico il Moro a Milano, fu li che condivisero le loro “Sapienze”, con vari influssi reciproci, tanto che molti storici dell’arte, si affanano ancora oggi a cercare i prodromi di “De Divina Proporzione” nelle opere di Leonardo. Entrambi condividevano i saperi euclidei, che gia allora erano fondamentali per chiunque facesse il pittore, così come il matematico o l’ingegnere, figuriamoci Leonardo che era tutte queste cose insieme. Il “De Divina Proporzione”, era una riedizione de “Gli Elementi” di Euclide, Fra Luca Pacioli nel rivederla e aggiornarla, certo non disdegnò l’aiuto del genio di Vinci. Quest’opera non è solo un’opera matematica, ma ha ambizioni ben più larghe, tanto che sfiora anche l’astronomia, cercando di indagare le leggi del sistema solare allora conosciuto. Anche Keplero trovò grande ispirazione in Euclide, tanto che inizialmente sposò completamente la teoria che i pianeti e le orbite fossero collegabili ai solidi platonici: Gia Platone stesso collego i solidi in questione, ognuno dei quali ricordiamolo ha un rapporto specifico con la “Costante di Dio”, ai costituenti (simbolici) dell’universo.

Solidi Platonici

Solidi Platonici

La Terra, immobile, plastica e solida, è legata l’Esaedro, il Cubo.
L’Acqua è associata all’Icosaedro, la forma meno mobile dopo il Cubo, la più grande e la meno acuta.
All’Aria si collega l’Ottaedro, forma intermedia per mobilità, anche come grandezza e acutezza; Al Fuoco si associa il Tetraedro, la forma più mobile, piccola e acuta, che chiamiamo anche Piramide, che meriterebbe da sola un’altro articolo, ma ve lo risparmio volentieri perchè non aggiungerebbe molto alla confutazione della”Tesi” che vengo a sostenere.
Forse però non è un caso che gli alchimisti sentissero Platone molto vicino, forse a causa della profonda “conoscenza”  dei “Solidi Platonici” o forse per molte altre cose. Esiste quindi un collegamento diretto anche tra Arte e Magia? Una bellissima domanda….., in parte si “legge” tra le righe, ma anche qui bisognerebbe accordarsi sul temine ”Magia” e come al solito non sarebbe facile. Va detto in mia parziale discolpa, quale sostenitore di tesi piuttosto “azzardate”, che nel bene e nel male anche qualcun’altro lo sostenne molto apertamente:  Sto parlando di Pablo Picasso, scusate se è poco.

Pablo Picasso

Pablo Picasso

“Dipingere non è un’atto “Estetico”, è una forma di magia, che deve fungere da mediatore tra questo mondo strano e ostile e noi stessi” Giuro che non avevo mai letto le parole del Maestro Picasso, non sicuramente prima di scrivere “Artista o Sciamano” o “Il Brutto dell’Arte“, mi sono arrivate davanti agli occhi ieri, durante le mie solite letture da comodino. Per qualcuno può non significare molto, che io e Pablo Picasso concordiamo su questo punto, pero a me conforta avere un così illustre collega che la pensava come me. Tutto certamente interessante, ma anche il rapporto tra Arte e Magia andrebbe approfondito, al dila di affermazioni più o meno estemporanee, e ancora una volta, sarebbe tutto un altro articolo.

Francesco Campoli

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Artista o Sciamano

Posted in Filosofia dell'arte on aprile 12th, 2012 by

di Francesco Campoli

Nel mio esplorare l’Arte in tutti i sui aspetti non posso trascurarne gli aspetti antropologici, se non altro per inquadrarla meglio nell’ambito socio-culturale, che rappresenta una delle sue aree di pertinenza che più salta agli occhi. In un articolo precedente ho già accennato all’aspetto antropologico dell’Arte, senza mancare di citare la funzione dell’artista nel suo contesto socio-culturale. Antropologicamente la “Cultura” va intesa nel senso più ampio del termine, quale Ente caratterizzante della sfera sociale umana, la cultura è la condivisione di “Panel Valoriali” e dinamiche sociali collettivamente riconosciute e non l’insieme delle attività attinenti all’Arte, come spesso e volentieri, erroneamente viene intesa. Questa condivisione di valori e il riconoscimento di attività sociali (talune accettate, mentre altre socialmente invise), è l’aspetto fondante della specificità di una identità socio-culturale. Con il termine “Cultura”, più tecnicamente, si definisce un “organismo sociale” nel quale si condividono “valori” comuni, che in molti casi definiscono addirittura i “confini” della comunità medesima, come ad esempio avviene in comunità che si riconoscono in una specifica religione o, magari, ad individui che nascono in una specifica area geografica. Essendo l’Arte uno degli aspetti fondamentali di una “Cultura” (checché se ne dica), non si può non inquadrare antropologicamente anche la figura dell’artista, se non altro per cercare di dargli la giusta collocazione nel “Patto Sociale”. Seppure a prima vista l’accostamento nel titolo di questo articolo possa apparire strano, in effetti preavvisa molto sul suo contenuto, ma, sono certo, che la curiosità dei lettori non sia soddisfatta da questa minima anticipazione.

Professionisti

Professionisti

Innanzi tutto mi preme chiarire il mio definizione di “patto sociale”,  concetto nel quale tendo ad inserire anche il “compito” svolto delle varie “figure professionali”, nel contesto sociale di riferimento. Il medico ha il compito di custodire la salute di coloro che a lui si rivolgono, normalmente, a fronte dell’assunzione di questo importante impegno, gli viene riconosciuto un “rango” tra i più alti nella scala sociale propria di quel contesto. Un ingegnere, con la sua conoscenza, concorre alla progettazione e alla realizzazione delle strutture tecnologiche necessarie a “consolidare” l’ Habitat del vivere comune. Anche in questo caso, la società, riconosce giustamente a chi svolge questo ulteriore compito fondamentale, una dignità sociale perlomeno pari a quella del medico su citato. Per quanto concerne l’artista, quasi mai il riconoscimento di uno status sociale così elevato è altrettanto universale come negli esempi citati precedentemente. Per comprendere il valore della funzione dell’artista in una comunità, è necessario inquadrare bene la sua funzione nell’organismo sociale, per dar modo di classificarlo ad un livello di “considerazione sociale” proporzionato al suo reale apporto, che io, personalmente, ritengo ancor più fondamentale. Esaurita la funzione “documentaria” delle opere d’Arte, in virtù della quale l’apporto dell’artista al suo nucleo sociale era sufficientemente chiara, è necessario ridefinire la sua funzione, dopo l’avvento dell’arte informale o, come usa chiamarla sbagliando: Arte “Moderna”. L’opera d’Arte perdendo la sua funzione di “rappresentazione” della realtà (mimesi), consente all’artista di conquistarsi un ruolo socialmente molto più importante. Chi da allora intenda ritagliarsi un suo spazio nel mondo dell’Arte, si assume il compito di rappresentare i “valori” umani più “alti”, quelli più vicini all’essenza di “Umanità” stessa, che nulla hanno a che fare con l’Estetica, ne tanto meno con la “bellezza”, come invece spesso erroneamente usa credere. Certamente la perdita dell’oggettività della rappresentazione, in molti, ha aperto grandi problematiche nell’interpretazione delle opere. Non essendoci più l’oggettività, ne la necessità di elevatissime skills nelle tecniche (come invece poteva rilevarsi in un Agnolo Bronzino), dare un giudizio valore su ciò che si ha davanti diviene molto più impegnativo. Il coinvolgimento nell’interpretazione di sfere, (come ad esempio quella emotiva ed emozionale), sino ad allora poco prese in considerazione, rende questa attività molto complessa, anche tutt’ora, nonostante ormai l’arte informale sia parte integrante del nostro panorama percettivo. In molti fruitori, ma anche in tanti addetti ai lavori, si è consolidata l’idea che di un’opera d’Arte si possa dare una valutazione “soggettiva” (a me piace/a me non piace), sostituendola alla precedente valutazione su base oggettiva (del genere “è rappresentato” bene o male). Io sono certo che invece l’Arte sia sempre stata un “concetto assoluto”, non a caso insisto sulla mia tesi da quando ho iniziato a scrivere questo blog (anzi questo è il motivo per il quale il blog è nato), cercando di far concordare convintamente almeno i miei lettori, su una definizione di Arte pienamente condivisa, di conseguenza assolutamente non soggettiva. A mio modesto avviso, da questo fraintendimento di fondo, nasce l’equivoco dell’Arte sinonimo di “bello”, alla quale a suo tempo contribuì molto la visione di Benedetto Croce:

Benedetto Croce

Benedetto Croce

L’arte non può essere riflessione o giudizio, non ha nulla a che fare né con l’utile né col piacere né con la morale. Dunque è completamente autonoma. L’unico scopo dell’arte è l’arte stessa ovvero la bellezza artistica. Per Benedetto Croce, se un’opera non è “portatrice di bellezza”, non è un’ opera d’Arte. Molta dell’opinione pubblica e accademica italiana, ancora oggi è molto influenzata dalla visione “crociana”, ma spero che ormai dopo tante parole, almeno i miei lettori, concordino con me che questo è lontanissimo  dall’essere vero. Mi sembra inutile ribadire che questo principio crociano, che in parte deriva anche dalla concezione di Baumgarten (fondatore della moderna Estetica), può a malapena essere applicato alla funzione  “decorativa”, che inopportunamente molte opere d’Arte hanno svolto in altri periodi storici e che purtroppo, spesso e volentieri continuano a svolgere, anche ai giorni nostri. La decorazione  non è da considerare Arte, il decoratore è un artigiano non un artista, per quanto possa svolgere il suo mestiere in modo sublime. C’è da dire che per la decorazione, il rango di opera d’Arte viene meno “per definizione”. In Estetica, l’opera d’Arte deve mancare di una funzione utilitaristica, di una funzione pratica (lo ribadisce anche Croce dopo Baumgarten), l’opera d’Arte non può avere una funzione, quindi su questo tema non vi è alcun ulteriore luogo a procedere. Ho parlato molto della distinzione tra artista ed artigiano in un mio precedente articolo, soprattutto di come questo equivoco sia tuttora perpetrato nei licei artistici italiani, qualora abbiate la compiacenza di andare a rileggerlo sono certo che concorderete con me.

Probabilmente la proliferazione delle varie figure di critico, che sempre più spesso ci troviamo a dover ascoltare ai “vernissage”, è dovuta proprio alle incertezza che si è ingenerata su molte delle nostre attività artistiche. Spesso e volentieri, nei consessi artistici, il critico di turno parla ancora prima dell’artista, prima che egli possa spiegare gli obiettivi del proprio lavoro.

critico d'arte

Ascolta il critico all'opera sulle opere

Sembrerebbe non essere possibile un “tunneling emozionale” diretto, tra l’artista e il fruitore delle sue opere. Ci fanno apparire scontata la necessità di qualcuno che “santifichi” il lavoro dell’artista. Il Critico come “Sacerdote”, il solo preposto a somministrare il “sacramento artistico”, a legittimare l’artista in nostro nome e per nostro conto. Ovviamente non ho usato questi termini virgolettati a caso, anzi: Il parallelismo para-religioso non è casuale, così come non è casuale che la religione sia da comprendere tra le dinamiche tipicamente “Culturali”. Sono millenni che l’uomo si dibatte in questo equivoco, concordando o meno sulla necessità di un “filtro esterno”, al proprio personale “Senso del Trascendente”. Il “Senso interiore del Divino” è innato in ogni uomo, anche se si professa ateo. Esso vive a prescindere dalla disponibilità o meno di un “ministro” che lo gestisca in nostra vece.

congregazione per la dottrina della fede

congregazione per la dottrina della fede

Come tutti sappiamo, ci sono alcune persone che legittimate da articolate strutture gerarchiche, si arrogano il compito di canonizzare i tratti della “Fede”, di certificare l’aderenza o meno del fedele ai precetti, che, in molti casi, sono essi stessi a definire. Non essendo questo articolo un trattato di “Teologia Comparata”, vi risparmio esempi circostanziati di come questo fenomeno sia individuabile praticamente in ogni “Credo”. Mi preme però prendere le distanze dalla necessità di “ministri” (i critici ), dispensatori di “precetti di ortodossia artistica”, non per partito preso, ma per un motivo fondamentale della mia concezione del fare Arte, in tutte le sue declinazioni. Per quanto mi riguarda, credo che, nei confronti dell’Arte, esista una “coscienza interiore” che ogni uomo possiede innata , parimenti al senso del trascendente, che guarda caso si ripropone in tutte le culture, siano esse quelle antiche o dei nostri giorni. Il rapporto con un’opera d’Arte deve essere personale, se un “sacerdote” esiste (etimologicamente sacerdote deriva da Sacer (sacro) e Dot (fare), quindi “colui che fa ciò che è sacro”),  quello è l’artista medesimo. Sono certo che la pantomima delle spiegazioni preventive del critico di turno debba essere assolutamente evitata, proprio in ossequio a quanto sopra argomentato. Cosa c’è di più normale che lasciar parlare le opere d’Arte? E’ sufficiente pensare che, se l’artista è un vero artista, le sue opere sono nate proprio a questo scopo. Tornando alla collocazione sociale dell’artista e al suo compito nel contesto socio-culturale di riferimento, secondo me, l’artista ha un ruolo paragonabile a quello di uno Sciamano.

Sciamano Aborigeno Australiano

Sciamano Aborigeno Australiano

Nelle culture (Organizzazioni sociali) che ne prevedono la figura e l’operato (qui si comincia a capire il titolo dell’articolo), lo Sciamano è un ruolo che investe una persona del nucleo sociale a prescindere dalla sua volontà. Essere Sciamano è una ineluttabilità per colui che viene toccato da questo dono/maledizione.

sciamano pellerossa

sciamano pellerossa

Si dice che chi rifiuta il “dono” patisca pene e sofferenze indicibili, sino anche a rischiare la follia. Prendo a sostegno della mia tesi anche la prospettiva di questa condizione, mi viene di pensare alle vicessitudini psichiatriche di Antonio Ligabue, Vincent Van Gogh, Jean Michel Basquiat, Edvard Munch e molti altri sofferti artisti. Tra i poeti che hanno vissuto questa condizione troviamo l’esempio di Alda Merini, che trascorse molti anni in manicomio, prima che il suo “abbandonarsi” alla forza taumaturgica della poesia, gli restituisse la libertà e la dignità sociale che le spettava.

Alda Merini

la poetessa Alda Merini

Parlando ancora di poeti va citato il caso di Dino Campana.

dino campana

il poeta Dino Campana

Il suo rifiuto del sacro “dono” dell’Arte, in lui si concretizzo con la scrittura di un unico libro “I canti Orfici”, libro nel quale il viaggio “onirico” (che ne è il filo conduttore), ricorda moltissimo il viaggio “misterico” caratterizzante l’attività dello Sciamano. L’incompleta espressione del suo immenso talento, il rifiuto di mettere la sua Arte al servizio dell’umanità, portò Dino Campana a concludere tristemente la sua vita in un manicomio. Parimenti al dono sciamanico, il “dono artistico” non può essere rifiutato, se ce l’hai e lo rifiuti, il materialismo,  sul quale spesso si fonda questa scelta, in qualche modo distruggerà l’esistenza del pavido in virtù di una esistenza appiattita nel conformismo sociale. Un conto è non avere “mezzi cognitivi” che mettano in grado di valorizzare l’aspetto spirituale della vita, un conto è sopprimere volontariamente il richiamo del proprio “Karma”, un qualcosa di più del “destino, che, come in un ossessivo “Giorno della Marmotta“, ripresenterà all’anima la sfida che ha tentato di sfuggire

Sciamano Indiano

Sciamano Indiano

A fronte di questa viltà si riceverà in cambio solo l’omologazione, il pensiero inquadrato, castrante, dissecante per chi potrebbe sviluppare i propri talenti.
Senza scomodare Cristo e la “Parabola dei Talenti”, si potrebbe citare il “Sommo Poeta” Dante, che piazza all’inferno “Colui che per viltade fece il gran rifiuto“. Dante non identifica chiaramente il personaggio al quale rivolge questa accusa di “sacrilegio”, si dice che si riferisse a  Celestino V, il Papa che per paura del gravoso impegno, rifiutò il soglio pontificio ritirandosi poi in eremitaggio. Taluni altri esegeti del sommo poeta affermano che si tratti di Ponzio Pilato, il console romano in Israele, che si lavò le mani sull’ingiusta condanna irrogata a Gesù di Nazareth. Lo sciamano può essere immaginato come un “ponte” tra il mondo terreno e il mondo dello spirito, un ponte a disposizione dei membri della società nella quale è chiamato ad operare. L’artista ha un ruolo assolutamente paragonabile, questo ci si rende palesemente chiaro se abbiamo ben compreso che, l’ Arte afferisce al mondo della spiritualità, non certo a quello della manualità, anche per questo un’opera d’Arte  non può avere un prezzo, semmai ha un “Valore” che è tutta un’altra questione. Come è noto anche gli Sciamani godono di una dignità sociale ai massimi livelli della scala, riscuotono un enorme rispetto, purtroppo, nella società materialista dei nostri tempi, non è così per l’artista.

sciamano tibetano

Sciamano tibetano

Si tende a riconoscere senza remore il ruolo del medico così come quello dell’ingegnere (del professionista in generale), ma non si fa lo stesso per il ruolo dell’artista. Non si comprende che l’artista è il nostro tramite con il trascendente, soprattutto se il suo lavoro e la sua poetica, sono intrisi della necessaria purezza e onestà intellettuale. L’Arte non è un fatto di Estetica, piuttosto, assomiglia ad una pratica magica che l’Artista/Sciamano compie, in nome e per conto di coloro che hanno rifiutato il “sacro dono”, praticamente lavorando per salvargli l’anima. Un’opera d’Arte è una specie di “feticcio”, essa è in grado di assolvere pienamente la sua opera “taumaturgica”, anche se la si vive solo da fruitori. Nello sciamanesimo e in altre antiche culture animiste, il “feticcio” non era certo una pratica inconsueta. Lo Sciamano realizza per i suoi assistiti, dei “feticci”  ai quali tenta di conferire poteri magici. Il feticcio è la “concretizzazione” del suo operato presso gli spiriti, che egli va ad incontrare nel  viaggio sciamanico” e presso i quali cerca di ottenere soluzioni per coloro che a lui si rivolgono.

Feticci Magici

Feticci Magici

L’animo umano essendo puro spirito, nel mondo materiale (nella peggiore delle accezioni) vive molto male, ecco perché ha bisogno di mantenere un contatto, un legame (anche solo simbolico) con la propria “casa spirituale”. Parlo di quell’aldilà del quale sappiamo ancora molto poco e del quale, spesso, abbiamo una profonda paura, il terrore del non conosciuto appunto. Mettendo un quadro in casa, una scultura in una piazza, ascoltando una poesia o un concerto, riapriamo quel “tunnel” che ci rimette in contatto con il mondo origine del nostro spirito, che come dei feticci, danno la concreta speranza di mantenere aperta quella porta sull’universo. Amando l’opera d’Arte della quale ci siamo innamorati, senza conoscere il vero perchè, evitiamo di sentirci dissecati, separati dalla nostra metà più vicina alla verità. Ogni essere umano in modo assolutamente incomprensibile a livello razionale, percepisce una mancanza, uno iato che spesso cerca di colmare in modi non sempre ortodossi. Chi si lascia assalire dalla depressione, chi si abbandona alla droga o alle cattiverie più gratuite o alle abiezioni più squalificanti. Spesso sentiamo che la cattiveria umana, apparentemente, non ha un senso evidente, ma riflettendoci si comprende che è una forma di rivalsa, una vendetta scellerata contro il profondo dolore che, l’essere umano prova senza capirne coscientemente il perchè. Molti illustri psichiatri e impegnati psicologi, si chiedono il perché dell’aumento esponenziale della depressione e delle manifestazioni d’ansia patologica (ad esempio gli attacchi di panico), ma non trovano la giusta chiave di lettura per questa triste fenomenologia. Queste crescenti difficolta dipendono molto probabilmente dall’approccio completamente materialistico del nostro stile di vita. La rinuncia alla ricerca dell’altra metà di noi stessi, che non è da indirizzare solamente verso il  sesso opposto, ma anche e soprattutto nella ricerca della nostra parte spirituale, dispersa nello spazio/tempo cosmico, che  solo guardando dentro di noi possiamo tentare di esplorare. Senza quella parte fondamentale la carenza è troppo importante, perché in noi non si generino dinamiche dirompenti che rappresentano il nostro “inferno” già su questa terra.

Uomo della medicina

L'Uomo della medicina

L’Arte, quella vera ci può salvare, ecco perché è importante saperla riconoscere. L’artista diviene “l’uomo della medicina”, (come spesso lo Sciamano veniva chiamato), quello che con la potenza dei suoi feticci mantiene aperto il tunnell verso la nostra metà astrale, consentendoci almeno il guardare al di la ogni volta che lo vogliamo. L’artista crea “feticci”, “simboli” che hanno il potere di distruggere le nostre ansie, placare la sindrome da astinenza spirituale che senza preavviso sempre più spesso ci assale. Un’opera d’Arte agisce meglio di qualunque ansiolitico, di qualunque stupefacente, semplicemente perché agisce nella nostra sfera più profonda, quella dell’anima. L’anima quell’unica parte di noi che si conserverà per sempre, un alito di universo e l’universo, per definizione contiene tutto (anche noi) che ne siamo una componente essenziale.

simboli vari

simboli vari

Qualcuno obbietterà che un simbolo è solo un simbolo, ma dimentica che la nostra vita è piena di simboli infinitamente potenti, il materialismo che viviamo con sempre maggiore convinzione ci obnubila l’occhio mentale, impedendoci di vederne i profondi significati. Spesso si parla di significati nascosti nei simboli, invece essi sono li per noi, chiari come l’acqua di sorgente, basta aver voglia di sforzarsi di vedere, vedere con gli occhi del trascendente. Un’opera d’Arte è il modo più intuitivo di percepire il “valore” di un simbolo. Non è un caso che, quando ci troviamo al cospetto dell’opera “giusta”, saremmo pronti a “pagarla” qualsiasi somma, proprio perchè ne percepiamo l’enorme “valore”. Ci sarebbe da parlare molto a lungo della forza dei simboli, degli “Archetipi” che sono le fondamenta del pensiero umano, non è escluso che lo farò prima o poi, intanto, è importante almeno prendere coscienza di questa “fenomenologia”. L’ enorme potenza dei simboli, ci dovrebbe risultare ben evidente se, ad esempio, pensiamo alla Santa  Croce, a quali sentimenti essa è in grado di ridestare nei cristiani. Possiamo ragionare sul peso dei simboli nella magia e nell’alchimia, così come potremmo parlare dell’impatto dei simboli sulla psiche umana, come ben riferì Carl Gustav Jung nel suo ultimo saggio “L’Uomo e i Suoi Simboli”), ma questo sarebbe certamente tutto un altro articolo….

Francesco Campoli

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Arte “moderna” e Poesia “Ermetica”

Posted in l'Arte in ogni Arte on marzo 22nd, 2012 by

di Francesco Campoli

Salve a tutti questo nuovo articolo, può essere collocato nel solco di un altro che scrissi qualche tempo fa, nel quale esprimevo il mio parere, sulla distinzione tra arte cosiddetta “moderna” e quella che definiremmo “classica”.
L’intero blog è dedicato all’ identificazione di quel “filo rosso” che lega tutte le opere d’Arte, un “feel” che percepiamo chiaramente qualsiasi forma esse si trovino ad assumere.
Ormai è noto che io non amo fare distinzione tra Arte “moderna” e Arte “classica”, o meglio considero che l’Arte, se è Arte, non necessiti di alcun altro aggettivo.
I valori che include le danno corpo e dignità, le danno contenuto e spessore a prescindere dalla tecnica con la quale è “creata”.
La mia “blasfemia artistica”, mi consente di dire che spesso c’è più Arte nella cosiddetta “Arte moderna”, che in quella che preferisco chiamare “Antica”.
Comprendo che questa sia una affermazione forte, sulla quale ho già speso molte parole, nel cercare di non essere frainteso.
Chi non avesse letto tutti gli articoli precedenti, nei quali ne parlo ampiamente, prima di gridare alla bestemmia abbia la compiacenza di andare a rileggerli.
Con il parallelismo che propongo nel titolo, desidererei fare ancora un po’ più di luce sui miei “oscuri” ragionamenti, che spiritosamente potrei definire “Ermetici”.
Mi rendo conto dell’uso spropositato che faccio delle virgolette, comincio a metterle anche nei titoli, ma purtroppo non riesco a farne a meno, specialmente cercando di spiegare le mie audaci prese di posizione.
Proprio come nella “Poesia Ermetica”, il titolo, più di ogni altro caso, è un “Continuum” (Einsteinianamente parlando) con il resto dell’elaborato.
Anticipo che personalmente vedo chiaramente un rapporto, tra Arte moderna e Arte Classica, simile a quello che si configura nel rapporto tra “Poesia Classica” e “Poesia Ermetica”, anche storicamente parlando.
Parafrasando una Proporzione Matematica, potrei dire che: l’arte “moderna sta all’arte classica, come la Poesia “Ermetica” sta alla Poesia “Classica”, vengo e mi spiego:
Cosi come pittura e scultura, hanno avuto altissimi punti di svolta a livello di “cifra stilistica collettiva”, oltre che di “Poetica”, a cavallo del “Novecento”, anche la Poesia ha seguito una evoluzione paragonabile, cosi come tante altre tecniche artistiche.

Marc Chagall "la passeggiata"

Marc Chagall "la passeggiata"

Marc Chagall

Marc Chagall

Per quanto concerne la pittura, possiamo prendere ad esempio Marc Chagall (con l’abbandono della prospettiva) e Vassilij kandinskij con l’abbandono delle “Forme” nella pittura, tra fine ottocento e il “Novecento”, fu messa in atto una profonda metamorfosi.

Vassily Kandinsky

Vassily Kandinsky

Kandinsky "Composition VIII"

Kandinsky "Composition VIII"

Nella scultura possiamo citare August Rodin, quale precursore dell’abbandono della forma classica nella scultura, realizzava opere, che pur rimanendo fedeli allo stile statuario/monumentale classico,

Auguste Rodin 1891

Auguste Rodin 1891

furono estremamente innovative nei soggetti (talvolta anche trasgressivi per i suoi tempi) oltre che nel “non finito”, valorizzava il materiale nobile con il quale erano realizzate (prevalentemente marmo).

Rodin  tra l’altro sancisce l’abbandono della “Base”, tipica della scultura classica, nella quale talvolta era addirittura integrata nell’opera medesima.

Andromeda Auguste Rodin

Andromeda Auguste Rodin

Medardo Rosso fece il passo successivo. trasfigurando le forme e esplorando materiali “non tradizionali” (ad esempio la cera) che nella scultura “classica” naturalmente erano inconcepibili visto la funzione “monumentale” che le opere spesso ricoprivano.

Medardo Rosso

Medardo Rosso

Medardo Rosso Femme à la voilette 1893

Medardo Rosso Femme à la voilette 1893

Naturalmente non si può dimenticare Marcel Duchamp, che trasformò il concetto di scultura (e di cultura), ampliandolo provocatoriamente proprio per scardinare la “società conformista” tipica dell’epoca.

Marcel Duchamp

Marcel Duchamp

Seppure la rivoluzione culturale nell’arte, nella scienza, nella società in genere, sembravano aver rivoltato il comune sentire, egli riuscì a percepire il conformismo “travestito” da anticonformismo integralista.
Riuscì a smontarlo e a ridicolizzarlo attraverso le sue tante provocazioni, a partire da “la Fontaine” il famoso “Orinatoio decontestualizzato”, (del quale ho già parlato ampiamente in un articolo precedente).
Quella de “La Fontaine” è la provocazione certamente più famosa, ma non fu certo l’unica. Lo “Asciuga bottiglie”, fece altrettanto scalpore e, in questo caso Duchamp non lo firmò con lo pseudonimo di “Mutt” (con il quale firmò “La Fontaine”), ma lo firmo chiaramente con il suo nome.

Va detto che tra i vari travestimenti “artistici” di Marcel Duchamp, non figurano solo i suddetti, il più famoso e forse il più “pensato”, fu quello che lo trasformò nel suo “alter ego” femminile: Rrose Sélavy.

Rrose Selavy

Marcel Duchamp nei panni di Rrose Selavy

Per dar forza e credibilità a questa sua “versione femminile”, firmò molte opere e molti scritti con questo nome, sin anche ad intestarle il copyright della sua famosa “Fresh Widow”.

La finestra alla francese che Duchamp realizzò, sostituendo i vetri, con dei pannelli di pelle nera.

Marcel Duchamp Fresh Widow

Marcel Duchamp Fresh Widow

Al riguardo di questa pelle, prescrisse una lucidatura “manuale” giornaliera, che qualche “malalingua” assimilò ad un simulacro della “soddisfazione dei sensi” alternativa, alla quale doveva ricorrere (per conformismo appunto), una signora che recentemente avesse perduto l’amato (Widow significa appunto “Vedova”).

Celebre la sua frase “Mi sono costretto a contraddirmi per evitare di conformarmi ai miei stessi gusti!”, dal significato profondamente e genuinamente anticonformista.
Filippo Tommaso Marinetti e altri “Futuristi” come Umberto Boccioni completarono la “svolta”, contestualizzando la loro arte nell’epoca nella quale si trovavano a vivere, o meglio, nel futuro verso il quale si sentivano proiettati.

Futuristi Russolo Carrà Marinetti Boccioni Severini

Futuristi Russolo Carrà Marinetti Boccioni Severini

Per quanto riguarda l’Arte di tutte le Arti, la Poesia, la svolta del “Novecento la dobbiamo senz’altro a Giuseppe Ungaretti, il “padre nobile” della Poesia Ermetica.

giuseppe ungaretti

Giuseppe Ungaretti

Nacque a fine “Ottocento” ad Alessandria d’Egitto, in quanto suo padre lavorava alla costruzione del Canale di Suez, “casualmente” anche Filippo Tommaso Martinetti, il creatore di tante “Poesie Futuriste” nacque anche lui ad Alessandria d’Egitto (ma sarà proprio un caso?).
Dopo il periodo egiziano, si trasferisce a Parigi dove frequenta il ghota della cultura del tempo: Guillame Apollinaire, Pablo Picasso, Braque, De Chirico, Modiglioni, Soffici, Papini, Palazzeschi,  ritrova Marinetti e per suo tramite entra in contatto con Boccioni e con altri Futuristi.

umberto boccioni

umberto boccioni

Le “parole in libertà” stilisticamente rappresentano la parte letteraria del movimento “Futurista” di Marinetti, che ne seguì varie pubblicazioni, di scritti altrui e personali.

Umberto Boccioni 1913

Umberto Boccioni 1913

I contatti con Marinetti e i vari “Poeti Futuristi”, contribuirono senz’altro alla definizione della Poetica di Ungaretti e di conseguenza di tutti i “Poeti Ermetici”.
Ungaretti ebbe una vita difficile, intersecata con la guerra, esperienza dolorosa che però contribuì molto alla sua poetica, intrisa di sentimenti profondi e di intima sofferenza.

Nella sua opera la poesia perde i “fronzoli”, che storicamente ne erano sempre stati l’elemento distintivo, caratterizzante, condensandosi in una intensa “Concretezza Poetica”.
L’accezione “Poesia Ermetica”, è figlia della difficoltà di comprensione, per chi vi veniva in contatto senza la necessaria apertura mentale e sano desiderio di comprendere.
Tutti conoscono la “sintesi perfetta” della sua poesia più famosa: “Mattina”, scritta nel 1917
“M’illumino d’immenso”
In queste poche lettere, Ungaretti riesce a concentrare mirabilmente, tutte le sensazioni che nella sua anima, fa nascere un’alba su una spiaggia davanti al sole nascente.
Ma non è “Mattina”  necessariamente il più alto esempio della lirica di Giuseppe Ungaretti, anche se ne è la sintesi migliore:
Il suo “cimentarsi” con un tema “classico”, come il ricordo di una madre morta (la sua), ha tutta un’altra forza e tutta un’altra sensibilità:

La madre 1930

E il cuore quando d’un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d’ombra,
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi darai la mano.

In ginocchio, decisa,
sarai una statua davanti all’Eterno,
come già ti vedeva
quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia.
Come quando spirasti
dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando m’avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d’avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.

Utilizzare parole come scalpelli che scavano nelle emozioni, le pause come le ombre di un dipinto, gli aggettivi come i colori, i “Valori” come luci, le emozioni come velature, dov’è la differenza con il migliore dei dipinti o la più raffinata delle sculture?

Salvatore Quasimodo 1953

Salvatore Quasimodo 1953

Ungaretti apre la strada al “Nobel” a Salvatore Quasimodo e da la stura ad una nuova  grande tradizione della Poesia italiana.
Tanti  poeti ne hanno seguito le orme, costruendo la nuova casa della poesia italiana, anche appoggiansosi alle fondamenta create dagli “Ermetici” (Montale e Saba in prima linea ),  fino ai nostri giorni.
Facciamo l’ esempio di Alda Merini (poetessa per nulla “ermetica”), che con la sua vita e la sua arte, conferma che Poesia e sofferenza continuano ad andare a braccetto.

Alda Merini

Alda Merini

La sua esperienza nei manicomi del secolo scorso, ne fa un martire della poesia moderna, provate a cliccare sulla foto per sentirla recitare “Terra Santa” la sintesi migliore di quell’esperienza che le segnò la vita.
Scambiare un poeta per un pazzo potrebbe sembrare una cosa d’altri tempi, ma credetemi non è così.
Che svicola dai conformismi sociali, magari non viene internato, ma viene regolarmente emarginato, rigettato dalla società degli stereotipi.
Ungaretti aprì la via ad una nuova Poesia, ma si appoggiò sull’ Arte, quello zoccolo duro sul quale poggia ogni animo umano che ricerchi i “suoi Talenti”, in ogni settore dell’attività umana.
Come spesso ho fatto prima, mi viene di pensare ad Albert Einstein,  può apparire strana similitudine ma non lo è.
Einstein aprì la strada alla comprensione dell’universo, ricongiunse Spazio e Tempo, cosi come è già da sempre nel cuore dei Poeti.
Può la Fisica mutarsi in forma d’arte, caricarsi di poesia?
Un interrogativo affascinante, ma sicuramente anche questo sarebbe tutto un altro articolo.

Francesco Campoli

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Arte e Festival di Sanremo

Posted in Filosofia dell'arte, l'Arte in ogni Arte on marzo 9th, 2012 by

di Francesco Campoli

Mentre scrivo immagino i volti di coloro che leggono il titolo di questo articolo, un pezzo che arriva dopo altri, che hanno cercato di argomentare sull’arte nella sua accezione più elevata.

Teatro Ariston Sanremo

Teatro Ariston Sanremo

Siamo rimbalzati dalla filosofia di Platone ed Aristotele a Parmenide, Kant, Heidegger e altri “giganti” della filosofia di tutti i tempi, gente che di Arte ed Estetica ha trattato con indiscutibile competenza.
Potrebbe sembrare che io sia uscito dal “seminato” scrivendo questo articolo, ma non è così.
Per una mia vecchia “deformazione professionale” (essendomi occupato di Marketing e Pubblicità), mi sono trovato a leggere i dati di ascolto del Festival di Sanremo con il solito atteggiamento attento alle dinamiche socioculturali.
Si parla di 12,5 milioni di spettatori con uno “share” mediamente intorno al 45%, numeri come questi non possono essere ignorati, anzi vanno almeno analizzati attentamente, almeno nel loro valore antropologico.
Ho già scritto dell’iterazione tra l’arte e l’antropologia, ad esempio delle manifestazioni artistiche presso gli Aborigeni australiani, ma ho sentito “addetti ai lavori”, usare molto spesso la parola Arte commentando il festival di Sanremo oltre che descrivendolo come grande evento culturale.
Tutto questo articolare sulla “nostre“ parole d’ordine, non poteva che far nascere in me una delle mie riflessioni, che costituiscono l’ossatura portante di questo blog.
Con l’appellativo artista, ci si riferisce ai cantanti che si esibiscono, agli “artisti” che scrivono i testi delle canzoni, a  coloro che compongono melodie e arrangiamenti.
Parlando di cultura non si può ignorare, che essa sia strettamente connessa al contesto sociale e temporale nel quale si palesa.
Non esiste cultura che non si collochi in almeno un “cluster”, della struttura sociale nella quale si viene ad instaurare.
Quali esempi consolidati, mi basti citare la cultura “Hippy” negli anni 60/70

Il Volkswagen hippy

Il furgoncino Volkswagen il mezzo hippy per definizione

o fatti i dovuti distinguo, la cultura “EMO” ai giorni nostri,la cultura “Hip Hop” e il “Graffitismo” che ne è emanazione diretta quale forma d’arte di questo segmento sociale.

Tipico look Emo

Tipico look Emo

Tutti movimenti culturali da classificare come tali in senso antropologico.
Sono sempre identità culturali riconducibili a dei “cluster” giovanili delle rispettive strutture sociali, ma Dio solo sa quanto sono differenti i “panel valoriali” ai quali si rifanno.
Va preso atto che “discendono” dal rispettivo contesto socio-contemporaneo.

hip hop graffito metropolitano

Graffito metropolitano Hip Hop

Non voglio lanciarmi in un trattato di scienze sociali, semplicemente desidero affermare che ogni cultura è degna di essere considerata, ed è giusto valutare se esiste un collegamento diretto con l’arte, realmente definibile tale.
E’ indubbio che tra le arti vada inclusa la musica, alla quale è vocata

La musa Euterpe

La musa Euterpe

la musa Euterpe, segno che questo status gli è riconosciuto sin dai tempi più antichi.
Nel caso del festival di Sanremo la musica accompagna i testi, che spesso si sente definire “vere e proprie poesie”, ma ovviamente non si possono non fare dei distinguo.
La poesia è senza dubbio arte, anzi, l’arte delle arti, infatti in tutte le forme d’arte si cerca di comprendere (consciamente o inconsciamente), la “poetica” specifica di quell’ artista.
In sintesi si cerca di intuire la struttura “Estetica” (vedi articolo Ridefinire l’Arte), sulla quale l’artista costruisce la sua produzione.
Aristotele nel suo trattato “Poetica”, oltre che a Poesia; Musica, Pittura, Scultura ecc. estende al teatro greco in tutte le sue forme (Tragedia, Epica e Commedia), questo concetto di chiara origine “Estetica”.
Aristotele canonizzò anche i concetti di “Mimesi” e “Catarsi”, in questi due  termini io intravedo il compito fondante dell’artista.
Così come nel teatro greco, l’attore cerca di far nascere forti emozioni, simulando nella rappresentazione (mimesi vuol dire appunto rappresentazione, imitazione), con l’obiettivo è che ne derivi una “Catarsi” (una purificazione), benefica per lo spettatore, ogni artista fa la stessa cosa con la sua arte (se è un vero artista).
Ognuno di noi sa che quando fruisce di un’opera d’arte, nella migliore delle ipotesi è di fronte ad una “rappresentazione”, eppure se ne lascia coinvolgere, emozionare.
Se l’artista ha fatto bene il suo “compito”, colui che ne fruisce prova una emozione, non necessariamente bella, ma che dentro di lui si configura come assolutamente vera.
Talvolta una emozione invasiva, talaltra sin anche invadente, emozione che l’artista ha volontariamente inteso generare nei fruitori della sua opera, spesso incaricandosi di provale per loro.
Io spiego con questo fenomeno, il fatto che al presunto artista, si riconosce benevolmente la definizione di genio collegato con la sregolatezza, quale come se fosse un “Valore” ineluttabilmente collegabile a chi “si incarica” di fare arte.
In fondo alla propria Ragione, si riconosce questo compito “sciamanico” all’artista, consentendogli una vena di follia, quella che in proprio non si ha il coraggio di liberare, e quindi la si delega all’artista.
Cos’è questo se non un atto catartico, l’opera prende vita delle emozioni reali dell’artista, che le mette a disposizione del pubblico, che ne prende atto condividendole e vivendole in modo profondo anche se virtuale.
Tornando allora al festival di Sanremo, quali emozioni fanno nascere i cosiddetti artisti al festival della canzone italiana?
Mi trovo davanti ad un altro “vaso di Pandora”, ma non mi tirerò certo indietro dall’aprirlo e dire la mia come al solito, anche se sò che rischierò di allungare un pò troppo l’articolo.
Sinceramente è piuttosto difficile individuare il germe dell’arte, nella maggior parte di ciò che sentiamo e vediamo al festival di Sanremo, comunque uno spunto interessante credo si possa trovare.
Per chi ha letto altri miei precedenti articoli, ho già parlato del mio modo di distinguere Arte da espressione, la differenza che vedo tra “Arte e tecnica” e soprattutto quella che ritengo la differenza tra Artista e Artigiano.
Anche al festival di Sanremo, si può riscontrare lo stesso “fenomeno” che si riscontra in altre performance artistiche.
I cosiddetti artisti spesso sono al massimo buoni (talvolta ottimi) artigiani: Operatori esperti nella loro specifica “tecnica”, ma che poco hanno a che vedere con l’arte.
Alcuni cantanti sono particolarmente intonati, nella voce di altri si riscontrano “colori” estremamente particolari, in altri si distinguono chiaramente grandi capacità interpretative, ma l’arte dov’è?
Ne ho già parlato nell’articolo: “l’Artista o la sua tecnica”, l’artista con qualsiasi Arte si misuri, ha il dovere di vedere “oltre”, di “sconfinare”, insomma di “ricercare” nel mondo delle emozioni o magari anche oltre, mettendo a disposizione del pubblico il frutto della sua ricerca.
Il “vulnus” è proprio qui, al Festival di Sanremo gli artisti/ricercatori, hanno sempre avuto magre soddisfazioni, questo denota la carenza di contenuti artistici, e la poca competenza di chi è chiamato a valutare, al massimo viene  promossa una buona “qualità artigiana”.
Gli esempi che personalmente ricordo sono diversi: Vasco Rossi al festival di Sanremo del 1983 si classificò al penultimo posto, con “Vita Spericolata” e poi sappiamo tutti come è andata a finire.
Furono scartati a Sanremo anche Lucio Battisti, Luigi Tenco, Lucio Dalla e altri, proprio i veri artisti/ricercatori.

La musa calliope

La musa calliope

Alcuni possiamo definirli veri e propri poeti oltre che ispirati musicisti, figli prediletti di Euterpe e di Calliope (musa della poesia), la “canzone” infatti è musica con in più poesia, infatti permette di ottenere dalla “rappresentazione” (l’esecuzione), il massimo di “spinta” emozionale possibile.

In questo novero è giusto citare in primo luogo Luigi Tenco e Lucio Dalla, entrambi cantautori, (compositori di musica e testi), estremamente preparati sul piano musicale (entrambi provenienti dall’ambiente Jazzistico).

Luigi Tenco

Luigi Tenco

Luigi Tenco aveva addirittura fatto l’arrangiatore alla “Ricordi”, ed entrambi avevano la poesia che gli scorreva nelle vene, in particolare Dalla.
Nel caso di Lucio Dalla dobbiamo sottolineare anche che la grande preparazione nelle esibizioni dal vivo, che gli derivavano dalla frequentazione del Jazz.

La qualità dagli innumerevoli concerti tenuti, ha rappresentato la strada maestra, attraverso la quale il cantautore bolognese ha consolidato nei decenni il rapporto con il suo pubblico.

annuncio morte luigi tenco

annuncio morte Luigi Tenco

Luigi Tenco spinse ai massimi confini la sua ricerca della catarsi, morì suicida a causa della sua esclusione dal festival di Sanremo, mise a disposizione le sue emozioni più estreme, per dimostrare quanto credesse nella sua arte, la Tragedia portata al suo compimento.
Non è facile esprimere opinioni su una persona che compie un gesto così estremo, non essere capiti è un destino comune a tanti artisti, ma io credo si debba attendere che il pubblico comprenda, magari accompagnandolo a capire, lavorando duro con coerenza.
Battisti invece è stato un esempio molto diverso, parliamo di un altro grande artista, che è maturato cammin facendo, mettendosi continuamente in discussione e rivedendo continuamente i propri contenuti e il suo approccio alla composizione.
Ai successi enormi della prima ora che lo videro coautore con Giulio Rapetti  (Mogol), di una lunghissima serie di album divenuti famosissimi, Battisti contrappose un lavoro di altissimo livello, assolutamente meno commerciale.

Lucio Battisti

Lucio Battisti

Nel 1972 fondò la sua casa discografica, la “NUMERO 1”, per non dover sopportare coercizioni di sorta nella sua ricerca musicale e avere massima libertà dai vincoli commerciali.
Furono i tempi de “Il mio canto libero”, brano entrato nella storia, nel 1982 nasce “E’ Già” il primo album senza Mogol, nel quale Battisti comincia a cercare nei suoi dischi un “mood” completamente nuovo, fondato su una poetica abissalmente diversa da quella della prima ora.
Lo sconvolgimento della poetica, lo portò a collaborare col poeta Pasquale Panella, che concettualmente condivideva pienamente anche la sua ricerca musicale.
Battisti evolve verso un suono molto più sofisticato e ai massimi livelli di modernità (anche per il largo impiego di musica elettronica, estremamente avanti per quei tempi.
I testi prendono un’aura estrema nel quale concretizzare un simbolismo ermetico, miscelandosi perfettamente con il tappeto musicale che li supportava.
Il nuovo sodalizio si concretizzò in C.S.A.R. primo risultato della sua frequentazione con la poesia Ermetica di Pasquale Panella, che Battisti riusciva a cantare  con grandissima disinvoltura, anche perché si confaceva moltissimo al suo modo di esecuzione.
L’ultimo album uscito poco prima della sua prematura scomparsa, nel 1994 si chiamerà “Hegel” a ribadire un ulteriore evoluzione della sua arte, un svolta che sottintendeva la filosofia, come primaria fonte di ispirazione.

Album Hegel Battisti

Album Hegel di Lucio Battisti

Il suo ultimo lavoro intitolato al noto filosofo dell’ “Assoluto”, evidenzia chiaramente la sua ferma intenzione di voler andare ben più al di là dei contenuti partoriti da Mogol.
I titoli di alcuni brani non lasciano adito a dubbi: oltre ad Hegel, c’è “Estetica”, “la Bellezza Riunita” ecc, il suo lavoro più ricco e ricercato.

Georg Wilhelm Friedrich Hegel 1831

Georg Wilhelm Friedrich Hegel 1831

Purtroppo anche nel suo caso, possiamo definirlo il suo “lascito”, la sua eredità per tutti noi, visto che la prematura scomparsa, fermo il suo lavoro di artista/ricercatore.
Qualche malalingua ha avuto il coraggio di definire questi lavori di Arte/Ricerca pura, “deliranti”, quando quel fervore di ricerca dell’Assoluto, è semplicemente il suo “duro e puro” misurarsi con l’arte.
Arte e “Ragione” per rimanere in ambito filosofico (Kantiano in particolare), non sono assolutamente in contrasto, anche se questa affermazione, per molto tempo ancora resterà incomprensibile ai più.
Nella nostra società continuiamo a “venerare” gli Ingegneri e a percepire gli artisti come poco più che barboni, non comprendendo il loro enorme apporto all’umanità, a quella caratteristica umana che ci rende unici, “Assoluti”.
Un vero artista ci costringe ad usare gli occhi, le orecchie, il cervello, il cuore (intesi soprattutto nella loro accezione metaforica), offre la possibilità di percepire l’ “Assoluto”,  senza obbligatoriamente doverlo comprendere del tutto.
Quel Assoluto del quale siamo fatti e al quale dobbiamo necessariamente tornare, per dare un senso al nostro “esistere”.
Qui bisognerebbe far entrare in gioco, il più grande dei misteri che abbiamo di fronte: la “Morte”, non pensata come il contrario di “vita”, ma il punto dove spazio e tempo coincidono nel medesimo concetto.
Sarei anche pronto a chiamare in causa il genio, che della filosofia ha fatto concretamente una scienza, non il contrario come oggi sembra normale:  Albert Einstein, ma sicuramente anche questo sarebbe tutto un altro articolo.

Francesco Campoli

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L’Artista o la sua tecnica

Posted in Filosofia dell'arte, Tecnica Vs Concetto on gennaio 27th, 2011 by Francesco

di Francesco Campoli

Nell’eterno bisogno di appiccicare etichette (tag se volete), ad ogni artista si cerca di appioppare un ruolo definito, un “confine” nel quale gli si concede di muoversi, gli si assegna il suo spazio.
Dalla necessità filologica e storica di “far ordine”, nella grande produzione dell’intelletto dell’uomo,  come al solito si è sconfinato nella solita distribuzione di patenti, con attribuzioni in pieno “conflitto di competenza”, sconfinati di ruolo che definirei razziste.
All’interno di quello spazio “assegnato”, al massimo si concede una “corrente”, nella quale incasellare un modo di comunicare, di concepire le proprie opere.
Iperrealismo, costruttivismo, cubismo, surrealismo, astrattismo, dadaismo e via discorrendo, non bastano come definizioni, si vuole rinchiudere l’artista nel ghetto di una Tecnica, Scultore, Pittore, Fotografo, Musicista, ecc. e poi si scopre che Michelangelo era scultore, si ma anche pittore, che Joan Mirò era un pittore ma anche uno splendido ceramista e scultore,

ceramiche di mirò

ceramiche di mirò

che Picasso noto perchè era cubista, ma guarda caso aveva una padronanza “del mezzo” paragonabile a Francisco Goya.

Picasso

Prima di essere Cubista

Tralasciamo Salvator Dalì, che “addirittura si permise” uno sconfinamento nel cinema, oltre alla fotografia, alla scrittura, alla scultura ecc.
L’esperienza nella “Settima arte”, avenne affiancando nientemeno che Walt Disney nel “corto” (come si direbbe ora), dal titolo “Destino”

Disney Dalì Destino

Una scena di "Destino"

nel quale non si può non riconoscere, la poetica e i “simboli” frutto della ricerca artistica del genio di Figueras.
Il fatto che il cinema sia chiamato la “settima” arte, presume addirittura un “ordine di apparizione”, delle tecniche espressive e non voglio neanche pensare,  che questa scala magari,  sia anche da intendere come scala di valori.
A mio modesto avviso solo un “ismo”, fu degno di essere menzionato nella storia dell’arte: il “Futurismo”.
Il Futurismo fù realmente  “Concepito”, meditato e poi declinato in tutte le tecniche possibili e immaginabili.
Ma questo è tutto un’altro articolo……..

Francesco Campoli

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Separazione tra arte e cultura

Posted in Filosofia dell'arte on gennaio 21st, 2011 by Francesco

di Francesco Campoli

Le accademie d’arte e i licei artistici italiani, sono come tutti gli altri enti del nostro paese.
Se si leggono i programmi non si può che restare soddisfatti, ma alla fine dell’iter proclamato, purtroppo i conti non tornano mai.
Nei nuovi programmi dei licei ad indirizzo artistico, si riconosce pienamente che l’opera d’arte che gli allievi saranno chiamati a produrre, sarà la “summa” di diversi “Layer” di competenze.
Si fa menzione di competenze “Umanistiche, Scientifiche e Tecnologiche”, si enuncia che l’opera abbisogna di un processo di progettazione, che deve tenere conto della fattibilità (tecnico-economica), della collocazione finale.
Si dice che va inquadrata nel contesto socio-culturale nel quale nasce, nella poetica personale dell’artista e allineata al suo cluster culturale e/o alle esigenze dell’eventuale  committente e mi fermo qui per non diventare noioso.
Non posso che constatare che tutte queste belle cose, sono incontestabili ma purtroppo rimangono assolutamente sulla carta.
Pur avendo poco da eccepire al fatto che un artista dovrebbe necessariamente avere una infarinatura gestionale, sociologica e comunicativa (per non formare un disadattato sociale come spesso invece avviene), devo però constatare che si perde completamente di vista l’aspetto concettuale.
Una visione del genere, che allineerebbe professionalmente qualsiasi artista ad un suo omologo professionista in qualsiasi altro settore, cozza con il tipo di formazione che molti docenti degli istituti ad indirizzo artistico hanno conseguito.
Nel loro approccio si intravede fin troppo l’ approccio “artigiano” di alcuni, l’approccio esclusivamente umanistico di altri, quello assolutamente artistoide di altri ancora.
Si continua a perpetuare l’errore di sempre nel nostro mondo artistico, di fondo in un artista si cerca il “talento”, che una persona per definizione possiede “per nascita”, come un titolo nobiliare e in fondo si considera la tecnica come un accessorio che fa rima con pratica.
Si creano istituti dove si insegna arte, nei quali al massimo viene insegnata la storia dell’arte.
Sono d’accordo che nella formazione di un artista italiano, non si può prescindere dal suo rapporto millenario con l’arte che permea il suo DNA, ma se non gli si insegna a gestirne l’influenza, lo si zavorra con tutta una stratificazione di “sedimenti artistici”, che possono offuscarne la creatività.
Non è raro riconoscere sulle opere di giovani artisti italiani, una patina concettualmente assimilabile a quella che offusca le nostre opere storiche, filtrandone la reale forza comunicativa.
Sono abbastanza in la con gli anni, per ricordare l’ ”unveiling ceremony” del “Giudizio Universale”, nella “cappella sistina” in Vaticano, restaurato da una troupe di “maestri del restauro” giapponesi, di riconosciuta eccellenza internazionale.
Alcuni “Soloni” dell’epoca (alcuni sono ancora sulla breccia), gridarono allo scandalo nel ritrovare i colori originali, stesi dal maestro incommensurabile Michelangelo.
La patina del tempo aveva offuscato la tavolozza del genio toscano.
La rimozione di quella patina e il consolidamento del supporto dell’enorme affresco, rimise letteralmente in luce, la cifra comunicativa voluta da Michelangelo.
Ci fu chi rimase scioccato dai quei colori intensi e brillanti come il pensiero del loro esecutore, protestarono per la scelta di rimuoverla completamente, pretendendo di far prevalere  la loro “critica”, sulle intenzioni pittoriche del maestro.
A mio avviso noi italiani debbiamo essere così bravi da liberarci della nostra storia, pur conservando nella nostra anima, la proiezione dei nostri giganteschi maestri.
I nostri maestri dell’arte moderna, talvolta hanno esagerato talmente nella tecnica, arrivando a crittare concetti e simboli sui quali costruivano le loro opere.
Non stento a credere che questo, sia avvenuto proprio per una sorta di smania, di liberarsi del peso della nostra storia.
In Italia non sarebbe mai potuto nascere un Andy Warhol, che partorisce la “Pop Art”, proprio sulle basi della poca stratificazione storica che caratterizza l’America (suo paese di elezione) e a maggior ragione dalle sue radici “Rutene” (popolo nomade tra Slovacchia/Ucraina/Polonia), che di certo non lo hanno seguito oltre oceano.
Il nostro patrimonio culturale (inteso quale genetico), è duro da scrollarsi di dosso, a meno di essere totalmente cechi o ignoranti.
La nostra cultura, purtroppo non insegue solo i nostri artisti, ma anche collezionisti e committenti, ma questo è tutto un altro articolo……..

Francesco Campoli

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