Arte e Scienza

Posted in Filosofia dell'arte on giugno 2nd, 2014 by Francesco

di Francesco Campoli


Come è d’uopo inizio sempre ogni articolo su “Sculturaecultura” con un “incipit“, un “cappello” teso ad indurre interesse sull’argomento che con l’articolo intendo condividere.

Mi sembra ormai inutile ribadire l’intento “maieutico“, che più volte ho dichiarato apertamente, sapete tutti che è praticamente ingenito in ognuno dei miei scritti su questo blog.

busto di socrate

busto di Socrate al Louvre

Ma l’obiettivo fondante è sempre e comunque cercare di costruire un’ opinione condivisa, cosciente dell’intendere il concetto di Arte, nell’auspicio che sia la meno “conformista”.

Questo “ambizioso” progetto appare ogni giorno di più un’aspirazione utopica dal momento che, è proprio il conformismo lo stato d’animo più comune nell’esprimere opinioni su questo dibattuto argomento, purtroppo sempre più frequente.
Anche a fronte di un’ apparente, generale, crescita d’interesse – non foss’altro a giudicare dalle file per accedere alle mostre più in voga – questa apparente contraddizione, a mio avviso è indice invece di un fenomeno ben preciso, rilevabile purtroppo anche in molte altre attività sociali proprie di questa nostra decadente società.
Crearsi una opinione propria, difenderla anche da linciaggi “apparentemente” autorevoli, (quello di taluni critici ad esempio), non è certo l’approccio più comodo.
Conformarsi è meno “emotivamente dispendioso”, è più facilmente accettato dalla “massa” a dispetto dall’ allure intellettuale delle attività a sfondo artistico, generalmente intese come elitarie.
L’ utilizzo della parola “massa” – che non a caso ho virgolettato – parrebbe ingiustificato se applicato al mondo dell’Arte, è invece divenuto un termine giustificabile, dal momento che “essere interessati all’Arte”, è ritenuto un comportamento socialmente qualificante, dal quale non si può più prescindere pena l’autocollocazione in un “cluster sociale” vicino all’emarginazione.
Dichiarare di aver visto la mostra del momento, deve necessariamente accompagnarsi all’aver visto l’ultimo film di tendenza, all’ aver letto il più recente degli “Istant Book” o all’ aver presenziato al concerto del momento.
E’ in quest’ ottica piuttosto superficiale, “edonista“, che sorgono molti degli equivoci di fondo – come ad esempio, che Arte e Bello siano sinonimi, equivoco che su “Sculturaecultura”, sin dai primi articoli, ho ampiamente stigmatizzato.

statistiche sculturaecultura

Statistiche di Sculturaecultura

Dai riscontri che ricevo, (circa 3.000 visitatori unici al mese su questo Blog), la necessita di far luce sul concetto di Arte appare piuttosto sentita, non foss’ altro in virtù della particolare condizione socio-economica che stiamo vivendo.
Lo status quo della nostra struttura sociale “scricchiola”, sollevando inesorabilmente pesanti dubbi esistenziali e, costringendoci, volenti o nolenti, a cercare nuovi e più cogenti punti di riferimento.
Il disastroso contesto di crisi che attraversiamo da almeno cinque anni – figlio del crollo delle “certezze” economiche quale incongruo surrogato della “compiutezza dell’ Essere” – aveva visto eleggere a Moloch il “Dio Danaro”.
Si è creato un “idolo” trasversale anche alle “classi sociali”, (definizione che se accettata, di per sè configura una partizione in senso economicistico dell’Umanità), un idolo al quale sacrificare la maggior parte della propria Etica e della propria Morale, nella vana speranza di felicità su questa terra, anche a dispetto del resto del genere Umano.
Il crollo di questa effimera certezza, ogni giorno più conclamato ed evidente, ha generato e continua a generare in molti, la necessità di ridefinire radicalmente il proprio “Panel valoriale”, talvolta, con l’istituzione di altri Moloch, magari a sfondo paraspirituale (es. quel fenomeno conosciuto come “new age“), che assume forme sempre più radicali, configurandosi talvolta in una insana “voglia di credere“, da qui, anche il fenomeno in grande espansione delle “Leggende Metropolitane“.

morbo di morgellon

Le cosiddette scie chimiche

Storielle e/o panzane, anche delle più fantasiose (per non dire cervellotiche), vengono accettate con atteggiamenti di creduloneria sconcertanti, come purtroppo abbiamo avuto modo di rilevare anche tra molti eletti in parlamento.
Ridefinire i propri valori è sempre un’ operazione enormemente complessa, talvolta dilaniante come i molti suicidi dei quali abbiamo sentito riferire, quasi quotidianamente, sugli organi di informazione.
Questo genere di accadimenti, tristemente, testimoniano che questa “rivisitazione” obbliga ad attuare un analisi a posteriori della propria esperienza di vita, degli obiettivi raggiunti e/o mancati non sempre è affrontata nella chiave giusta.
Tornare analiticamente sui sui propri passi esistenziali, è un’attività che necessita sempre dell’uso della logica, una ferrea, consolidata logica, non sempre patrimonio intellettuale di tutti, magari provati da esperienze inaspettate e con la prospettiva di un “domani”, che, obiettivamente, appare tutt’ altro che dorato e ancor meno facile da prevedere nei suoi futuribili assetti.
Il positivo però esiste anche in questo sconcertante scenario: diviene naturale cercare un modo di “far luce” sul Kaos che quotidianamente ci si presenta davanti, una confusione magari amplificata anche dal pressapochismo (o dalla malafede) dei molti, che a vario titolo, propongono la personale, salvifica, ricetta (ogni riferimento ai populisti che vanno per la maggiore non è assolutamente non casuale).

albero del Budda

l'albero del Budda

Moltissime di queste “ricette”, che tutto prevedono forchè la necessità di sederci sotto al grande albero (come fece anche il Budda) a cercare attentamente nella nostra anima (la piccola scintilla di universo che tutto contiene), quella luce necessaria ad illuminare finalmente l’impervia strada rappresentata dal nostro incerto futuro, proprio come in un uno scenario neo-illuminista, che però beneficia dell’ evoluzione in scienza e coscienza, che la società e l’individuo hanno avuto dai tempi di Kant.
L’ Arte, a mio modesto avviso, può essere avvicinata, metaforicamente, al grande albero di buddista memoria, arte che finalmente, possiamo comprendere nella sua reale funzione.
Arte non è “rappresentazione della realtà” (Arte Mimetica), ma il contrario, e il mezzo per svincolarci da essa in senso spazio/tempo/cognitivo, anche perchè un approccio maggiormente spirituale, evidenzierebbe che la “cosiddetta realtà” è tutto, forchè reale.
L’ incontro dell’Uomo con l’ Arte, deve essere pensato come una attività biunivoca, al contrario della consueta modalità fruitoria, sostanzialmente a carattere passivo, che non rende l’Essere parte attiva in quella che sopra, non a caso, ho definito “liturgia”.
L’Arte “Catartica”, rituale, nella cui liturgia  l’Artista non è il “sacerdote”, ma che come spesso ho detto, deve rappresentare il “ponte”, il costruttore di Link assoluti con l’essenza di universo che è in noi, che ci avvolge e ci comprende quale elementi costitutivi, nella più piena visione Parmenidea.

Parmenide di Elea

Parmenide di Elea

Questo “incipit”, che ormai tende ad includere l’intero articolo, più che un “Teaser” (riemerge  il mio passato di pubblicitario), vuole lasciar intuire l’estensione della tesi complessa, l’ impervio confronto (Arte e Scienza) che ho scelto come argomento di questo articolo.
Il titolo di questo articolo, appare quasi come un “ossimoro“, una apparente, provocatoria, “contraddizione in termini”.
Come spesso ho ribadito nei miei scritti precedenti, l’uso della euclidea “reductio ad absurdum“, è il metodo dimostrativo che tra tutti mi è più congegnale.
E’ facile comprendere che desidero dimostrare che questa apparente contraddizione, in realtà, non esiste, che semmai, invece di un confronto, Arte e scienza, sono utili se viste come frecce nella stessa faretra, strumenti per l’acquisizione di una piena “Coscienza”.
Ma purtroppo anche questa purtroppo è una parola abusata e magari anche mal’usata.
L’abuso di un termine, rende consueto il suo uso, e tutto quello che è consueto è “scontato”, rende apparentemente inutile una attensione semantica verso quell’espressione.
In realtà la sua etimologia (con-scienza), chiarisce molto intuitivamente il suo reale significato, sarebbe da intendere  appunto nella sua accezione “neo-illuminista” alla quale sopra accennavo.
L’intento retrocognitivo della reductio ad absurdum, pur sussistendo, deve rappresentare un modo efficace di perseguire una reale consapevolezza nell’interlocutore , una piena “coscienza” appunto.
Quanto anticipato nel lungo incipit, in realtà, vuole essere il primo passo di una immodesta speculazione filosofica, ben più articolata che quindi, per essere plausibilmente prospettata, richiedeva quanto esposto in antefatto.
Il superamento dell’ Arte in quanto rappresentazione della realtà, è un punto fermo di tutto il ragionamento (e forse anche dell’intero Blog) – non è un caso che siamo nella categoria del blog che ho chiamato “Filosofia dell’Arte” – questa è una categoria che ho creato proprio perchè per quanto mi concerne, tra le due “discipline”, vedo moltissimi punti di contatto, anzi, le vedo spesso compenetrarsi rispettivamente.
Ogni scienza, portata ai suoi livelli estremi, assume caratteri di filosofici e dando per dimostrata la vicinanza tra Arte e Filosofia, ecco, che ci siamo avvicinando a grandi passi verso il dichiarato obiettivo (rischiando di cadere nel più classico dei sillogismi paradossali).
Un esempio che ho già portato in uno degli articoli di maggior successo: “Arte e matematica” si può trovare nella “Sezione aurea”, o anche nella Sequenza di Fibonacci della quale contestualmente ho discettato ampiamente.

Pentagono sezione aurea

La sezione aurea nel pentagono regolare

In un altro mio articolo precedente:  “Arte contro tecnica“, cerco di mettere in risalto le “colpe” del nostro “Sistema formativo” in generale, ed in particolare quello delle Scuole d’ Arte, dei Licei Artistici e delle Accademie di belle Arti.
L’enorme mole del programma di “Storia dell’Arte” distoglie i docenti dall’ obiettivo formativo originario, la generazione di nuovi “Creatori” d’ Arte.
Salvo rari e particolari casi, tutto l’iter formativo verte intorno ad un intensivo bombardamento dei discenti a base di Tecniche – antiche e moderne – e su un recursivo ripercorrere la nostra “Storia dell’ Arte”, non evidenziando chiaramente la chiave di lettura “storica” di quanto presentato.
Si  continua a creare l’equivoco che la vera Arte, sia praticamente sempre riferibile ad un qualcosa di antico, e che l’approccio dell’artista moderno e contemporaneo, sia solo un disperato tentativo da parte di “operatori” tecnicamente inadeguati.
Passa facilmente il concetto che, non potendo competere con la bravura tencica dei loro predecessori storici, essi si arrabattino a cercare uno spazio in un alveo ormai definitivamente colonizzato da “quelli classici” tentando pratiche non ortodosse, velleitarie.
Nella testa dei futuri artisti (e purtroppo anche di molti futuri critici (molti dei quali purtroppo sono ormai “attuali”, si è creata l’errata convinzione che l’unica Arte sia quella che caratterizzante il nostro illustre passato.

Quadro di antiquariato

Quadro di antiquariato

Tanto per essere chiari, qui ribadisco – repetita juvant – che “non è l’antico che fa necessariamente Arte”, anche perchè, la parola antico (come anche moderno), è relativa ad una collocazione temporale e di conseguenza ad un determinato contesto socio-culturale (Es. “Il Risorgimento”), ogni epoca poggia su un contesto socio-culturale le cui dinamiche lo caratterizzano anche sotto l’aspetto della percezione valoriale ed estetica.

In effetti di Arte ancora più “antica” della nostra – così come tecniche artistiche nettamente alternative alle nostre – e radicate in dinamiche socio-culturali completamente diverse dalle nostre (ne parlo ampiamente nel mio precedente articolo “Arte e Antropologia“), ne esistono veramente a volontà.
Risulta evidente quindi che, per evolvere come artisti è necessario liberarsi dal “pantano” (mai definizione fu maggiormente ingiusta), della nostra “Estetica Decadente”.

la pittura del canaletto

la pittura del "Canaletto"

Non vi è dubbio che l’Arte di Raffaello, di Leonardo, come quella prima di loro di Giotto e senza potersi concedere dall’escludere, il Caravaggio, il Tintoretto, Tiziano, Pietro da Cortona, scultori come Bernini, Canova e di nuovo Michelangelo Buonarroti medesimo (e mi fermo solo per un’ ovvia ragione di spazio), fù  una meravigliosa finestra, affacciata su un meraviglioso panorama, ma che purtropp, ora, impedisce spesso a molti di noi italiani il “guardare oltre” l’orizzonte davanti ai nostri occhi.
Si inibiscono i nuovi artisti, che se non sono delle identita volitive, fanno fatica a guardare verso quell’infinito, vero obiettivo dell’ Artista schiettamente inteso.
Questa mia apparentemente “sacrilega” ma ben radicata convinzione, per fortuna non è solo mia – come invece verrebbe naturale di pensare – ma è confortata da molti altri artisti che fortunatamente ho avuto modo di conoscere, dei quali, fortunatamente ho avuto modo di ascoltare personalmente l’opinione.
L’ultima che ricordo – solo in ordine di tempo – è riferibile ad un mio carissimo amico, con il quale ho avuto il piacere di cenare poco prima delle recenti festività: mi riferisco al pittore Giuseppe De Matthaeis,

il Pittore Giuseppe de Matthaeis

il Pittore Giuseppe de Matthaeis

classe 1946, allievo di Guttuso e Mazzacurati all’Accademia di belle Arti di Roma, che nelle nostre infinite e spesso – purtroppo – notturne  discussioni sull’Arte, sulla origine creativa dei sui suoi vecchi e nuovi lavori e delle rispettive esperienze creative.
Giuseppe mi racconta che solo ora, alla splendida età di 68 anni (vista la forma e l’energia che ancora possiede), comincia a liberarsi dei pesanti condizionamenti, generati in lui dalla frequentazione dell’Accademia di Belle Arti.

- La Partita - Giuseppe de Matthaeis

- La Partita - Giuseppe de Matthaeis

Stiamo parlando comunque di un professionista che ha frequentato l’Accademia in tempi nei quali l’anticonformismo veniva agitato come una bandiera di libertà, ed i professori erano del calibro di quelli sopra citati.
Figurarsi ora, epoca nella quale il conformismo e l’omologazione sono religione per molti di coloro che si formano nelle strutture statali di formazione artistica.
C’è da dire che per molti, questo trend delle “Post Avanguardie”, rappresenta l’unica forma di” Identità Artistica” alla quale si sono riusciti a ricondurre.
C’è chi “rinnega” il secolo appena trascorso e le sue “evoluzioni/rivoluzioni”, ricacciandosi mani e piedi legati, alla suddetta Arte “Mimetica” (di maniacale imitazione della natura).
Sto parlando ovviamente dei “Neo-Iperrealisti” che ripercorrono malamente (in quanto ritardatari e quindi anti-creativi), la strada degli Iperrealisti come John De Andrea, che a mio avviso, già erano discutibili nel post “Pop Art”, figuriamoci ai nostri giorni.

de andrea

"Susan" di John De Andrea

Il mio provocatorio paragone tra Arte e Scienza, che come spero di aver dimostrato in quanto le ritengo entrambe “figlie della ragione”,  è meno velleitario di quanto potesse sembrare ad una prima analisi.
Magari pensando ad una ragione intesa con una significato maggiormente allargato, comprendente aspetti animici, filosofici e perchè no magico-sciamanici che sono componenti fondanti dell’ Uomo in quanto tale, e a maggior ragione se pensato quale artista.

sanguisughe

Sanguisughe succhiano il sangue di un paziente

Avete mai sentito qualcuno, vantare il valore della medicina antica, nella quale la cura migliore era la purga e/o il far succhiare il sangue “malato” del malcapitato paziente mediante delle disgustose sanguisughe – e parlo dei tempi di mio nonno nel 1935 non ai tempi del “dottor Purgone” magistralmente rappresentato da Moliere ne “Il malato immaginario“.
Forse ho scelto l’esempio sbagliato…. visto che qualche “nostalgico delle sanguisughe esiste ancora – e non solo in Cina – anche ai giorni nostri, ma voglio considerare anche questo uno di quei passaggi della sopradetta “reductio ad absurdum“.
Scherzi a parte, ritengo che siano in pochi coloro che si farebbero operare per applicare un “By pass” Aorto-Coronarico o anche solo un’ appendicite, in un “gabinetto medico” (mai nome fu più azzeccato) del XIV secolo.

by pass

By pass Aorto-Coronarico

Le tecniche come le scienze evolvono, l’ Arte “moderna”, si è evoluta anch’essa a vantaggio di un’ Arte più “ampia”, più piena di concetti e simboli più o meno contemporanei, se vogliamo, secondo il mio modo di intendere, più tendente all’ Arte assoluta, quell’ Arte radicata nell’animo e nell’intelletto profondo di ogni “vero” artista, così come in quelli di qualsiasi Essere Umano conscio di questo suo “Status”.
Quello che al limite può cambiare, è la posizione di ognuno nei confronti dell’atto artistico, non certo la misteriosa attrazione “costitutiva” che ogni Essere Umano ha nei confronti di un’ opera d’Arte che sia degna di questo nome.

Aquila in volo

Aquila in volo librato

Ognuno di noi è in grado di apprezzare la bellezza di un cielo notturno, dell’onda violenta che s’infrange su una scogliera, cosi come il volo di un’aquila sulle termiche di un costone di montagna battuto dal sole o i profumi della natura dopo un temporale.
In queste situazioni non vi  è bellezza, ma la sensazione primordiale di essere ricondotti all’universo al quale apparteniamo e che ci appartiene.
Al di la di forme, colori, tecniche, simboli o materiali costituenti, un’ opera d’ Arte comunica che in essa possiamo rispecchiarci e, di riflesso, possiamo scorgere in noi la scintilla di universo che ci ha generato.
Il piacere che ne riceviamo è la contezza dell’immensa fortuna che sappiamo di avere nel farne parte, a fronte dell ‘immensa paura di “perderci” in quell’ infinito, quell’infinito profondo, inesplorato, che alla fin fine siamo noi stessi, come unicum e contestualmente quale “insieme” con i nostri “fratelli in spirito”.
Parmenide e Pitagora sono la stessa cosa, così come Aristotele e Platone, come Kandinsky e Raffaello, o Mondrian e Botticelli, Chagall e Piero della Francesca.
Prendendo coscienza di ciò avremo compreso l’ Arte, quando sapremo leggere il “Trait d’union”, il “filo rosso” (proprio come quello che Paola Grossi Gondi ha tentato di rappresentare nell’androne della G.A.M. di Roma)

"Filo rosso" di Paola Grossi Gondi

il “Fil Rouge” che ricollega tutte queste “apparenti” contraddizioni, così,  non si vedrà più una contraddizione nell’ accostare Arte e Scienza, come immodestamente ho fatto nel titolo.
Forse non è possibile farlo consciamente, ma magari, scopriamo che spiritualmente, siamo già capaci di percepirlo, ma forse anche questo è tutto un altro articolo.

Francesco Campoli

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Arte e Festival di Sanremo

Posted in Filosofia dell'arte, l'Arte in ogni Arte on marzo 9th, 2012 by

di Francesco Campoli

Mentre scrivo immagino i volti di coloro che leggono il titolo di questo articolo, un pezzo che arriva dopo altri, che hanno cercato di argomentare sull’arte nella sua accezione più elevata.

Teatro Ariston Sanremo

Teatro Ariston Sanremo

Siamo rimbalzati dalla filosofia di Platone ed Aristotele a Parmenide, Kant, Heidegger e altri “giganti” della filosofia di tutti i tempi, gente che di Arte ed Estetica ha trattato con indiscutibile competenza.
Potrebbe sembrare che io sia uscito dal “seminato” scrivendo questo articolo, ma non è così.
Per una mia vecchia “deformazione professionale” (essendomi occupato di Marketing e Pubblicità), mi sono trovato a leggere i dati di ascolto del Festival di Sanremo con il solito atteggiamento attento alle dinamiche socioculturali.
Si parla di 12,5 milioni di spettatori con uno “share” mediamente intorno al 45%, numeri come questi non possono essere ignorati, anzi vanno almeno analizzati attentamente, almeno nel loro valore antropologico.
Ho già scritto dell’iterazione tra l’arte e l’antropologia, ad esempio delle manifestazioni artistiche presso gli Aborigeni australiani, ma ho sentito “addetti ai lavori”, usare molto spesso la parola Arte commentando il festival di Sanremo oltre che descrivendolo come grande evento culturale.
Tutto questo articolare sulla “nostre“ parole d’ordine, non poteva che far nascere in me una delle mie riflessioni, che costituiscono l’ossatura portante di questo blog.
Con l’appellativo artista, ci si riferisce ai cantanti che si esibiscono, agli “artisti” che scrivono i testi delle canzoni, a  coloro che compongono melodie e arrangiamenti.
Parlando di cultura non si può ignorare, che essa sia strettamente connessa al contesto sociale e temporale nel quale si palesa.
Non esiste cultura che non si collochi in almeno un “cluster”, della struttura sociale nella quale si viene ad instaurare.
Quali esempi consolidati, mi basti citare la cultura “Hippy” negli anni 60/70

Il Volkswagen hippy

Il furgoncino Volkswagen il mezzo hippy per definizione

o fatti i dovuti distinguo, la cultura “EMO” ai giorni nostri,la cultura “Hip Hop” e il “Graffitismo” che ne è emanazione diretta quale forma d’arte di questo segmento sociale.

Tipico look Emo

Tipico look Emo

Tutti movimenti culturali da classificare come tali in senso antropologico.
Sono sempre identità culturali riconducibili a dei “cluster” giovanili delle rispettive strutture sociali, ma Dio solo sa quanto sono differenti i “panel valoriali” ai quali si rifanno.
Va preso atto che “discendono” dal rispettivo contesto socio-contemporaneo.

hip hop graffito metropolitano

Graffito metropolitano Hip Hop

Non voglio lanciarmi in un trattato di scienze sociali, semplicemente desidero affermare che ogni cultura è degna di essere considerata, ed è giusto valutare se esiste un collegamento diretto con l’arte, realmente definibile tale.
E’ indubbio che tra le arti vada inclusa la musica, alla quale è vocata

La musa Euterpe

La musa Euterpe

la musa Euterpe, segno che questo status gli è riconosciuto sin dai tempi più antichi.
Nel caso del festival di Sanremo la musica accompagna i testi, che spesso si sente definire “vere e proprie poesie”, ma ovviamente non si possono non fare dei distinguo.
La poesia è senza dubbio arte, anzi, l’arte delle arti, infatti in tutte le forme d’arte si cerca di comprendere (consciamente o inconsciamente), la “poetica” specifica di quell’ artista.
In sintesi si cerca di intuire la struttura “Estetica” (vedi articolo Ridefinire l’Arte), sulla quale l’artista costruisce la sua produzione.
Aristotele nel suo trattato “Poetica”, oltre che a Poesia; Musica, Pittura, Scultura ecc. estende al teatro greco in tutte le sue forme (Tragedia, Epica e Commedia), questo concetto di chiara origine “Estetica”.
Aristotele canonizzò anche i concetti di “Mimesi” e “Catarsi”, in questi due  termini io intravedo il compito fondante dell’artista.
Così come nel teatro greco, l’attore cerca di far nascere forti emozioni, simulando nella rappresentazione (mimesi vuol dire appunto rappresentazione, imitazione), con l’obiettivo è che ne derivi una “Catarsi” (una purificazione), benefica per lo spettatore, ogni artista fa la stessa cosa con la sua arte (se è un vero artista).
Ognuno di noi sa che quando fruisce di un’opera d’arte, nella migliore delle ipotesi è di fronte ad una “rappresentazione”, eppure se ne lascia coinvolgere, emozionare.
Se l’artista ha fatto bene il suo “compito”, colui che ne fruisce prova una emozione, non necessariamente bella, ma che dentro di lui si configura come assolutamente vera.
Talvolta una emozione invasiva, talaltra sin anche invadente, emozione che l’artista ha volontariamente inteso generare nei fruitori della sua opera, spesso incaricandosi di provale per loro.
Io spiego con questo fenomeno, il fatto che al presunto artista, si riconosce benevolmente la definizione di genio collegato con la sregolatezza, quale come se fosse un “Valore” ineluttabilmente collegabile a chi “si incarica” di fare arte.
In fondo alla propria Ragione, si riconosce questo compito “sciamanico” all’artista, consentendogli una vena di follia, quella che in proprio non si ha il coraggio di liberare, e quindi la si delega all’artista.
Cos’è questo se non un atto catartico, l’opera prende vita delle emozioni reali dell’artista, che le mette a disposizione del pubblico, che ne prende atto condividendole e vivendole in modo profondo anche se virtuale.
Tornando allora al festival di Sanremo, quali emozioni fanno nascere i cosiddetti artisti al festival della canzone italiana?
Mi trovo davanti ad un altro “vaso di Pandora”, ma non mi tirerò certo indietro dall’aprirlo e dire la mia come al solito, anche se sò che rischierò di allungare un pò troppo l’articolo.
Sinceramente è piuttosto difficile individuare il germe dell’arte, nella maggior parte di ciò che sentiamo e vediamo al festival di Sanremo, comunque uno spunto interessante credo si possa trovare.
Per chi ha letto altri miei precedenti articoli, ho già parlato del mio modo di distinguere Arte da espressione, la differenza che vedo tra “Arte e tecnica” e soprattutto quella che ritengo la differenza tra Artista e Artigiano.
Anche al festival di Sanremo, si può riscontrare lo stesso “fenomeno” che si riscontra in altre performance artistiche.
I cosiddetti artisti spesso sono al massimo buoni (talvolta ottimi) artigiani: Operatori esperti nella loro specifica “tecnica”, ma che poco hanno a che vedere con l’arte.
Alcuni cantanti sono particolarmente intonati, nella voce di altri si riscontrano “colori” estremamente particolari, in altri si distinguono chiaramente grandi capacità interpretative, ma l’arte dov’è?
Ne ho già parlato nell’articolo: “l’Artista o la sua tecnica”, l’artista con qualsiasi Arte si misuri, ha il dovere di vedere “oltre”, di “sconfinare”, insomma di “ricercare” nel mondo delle emozioni o magari anche oltre, mettendo a disposizione del pubblico il frutto della sua ricerca.
Il “vulnus” è proprio qui, al Festival di Sanremo gli artisti/ricercatori, hanno sempre avuto magre soddisfazioni, questo denota la carenza di contenuti artistici, e la poca competenza di chi è chiamato a valutare, al massimo viene  promossa una buona “qualità artigiana”.
Gli esempi che personalmente ricordo sono diversi: Vasco Rossi al festival di Sanremo del 1983 si classificò al penultimo posto, con “Vita Spericolata” e poi sappiamo tutti come è andata a finire.
Furono scartati a Sanremo anche Lucio Battisti, Luigi Tenco, Lucio Dalla e altri, proprio i veri artisti/ricercatori.

La musa calliope

La musa calliope

Alcuni possiamo definirli veri e propri poeti oltre che ispirati musicisti, figli prediletti di Euterpe e di Calliope (musa della poesia), la “canzone” infatti è musica con in più poesia, infatti permette di ottenere dalla “rappresentazione” (l’esecuzione), il massimo di “spinta” emozionale possibile.

In questo novero è giusto citare in primo luogo Luigi Tenco e Lucio Dalla, entrambi cantautori, (compositori di musica e testi), estremamente preparati sul piano musicale (entrambi provenienti dall’ambiente Jazzistico).

Luigi Tenco

Luigi Tenco

Luigi Tenco aveva addirittura fatto l’arrangiatore alla “Ricordi”, ed entrambi avevano la poesia che gli scorreva nelle vene, in particolare Dalla.
Nel caso di Lucio Dalla dobbiamo sottolineare anche che la grande preparazione nelle esibizioni dal vivo, che gli derivavano dalla frequentazione del Jazz.

La qualità dagli innumerevoli concerti tenuti, ha rappresentato la strada maestra, attraverso la quale il cantautore bolognese ha consolidato nei decenni il rapporto con il suo pubblico.

annuncio morte luigi tenco

annuncio morte Luigi Tenco

Luigi Tenco spinse ai massimi confini la sua ricerca della catarsi, morì suicida a causa della sua esclusione dal festival di Sanremo, mise a disposizione le sue emozioni più estreme, per dimostrare quanto credesse nella sua arte, la Tragedia portata al suo compimento.
Non è facile esprimere opinioni su una persona che compie un gesto così estremo, non essere capiti è un destino comune a tanti artisti, ma io credo si debba attendere che il pubblico comprenda, magari accompagnandolo a capire, lavorando duro con coerenza.
Battisti invece è stato un esempio molto diverso, parliamo di un altro grande artista, che è maturato cammin facendo, mettendosi continuamente in discussione e rivedendo continuamente i propri contenuti e il suo approccio alla composizione.
Ai successi enormi della prima ora che lo videro coautore con Giulio Rapetti  (Mogol), di una lunghissima serie di album divenuti famosissimi, Battisti contrappose un lavoro di altissimo livello, assolutamente meno commerciale.

Lucio Battisti

Lucio Battisti

Nel 1972 fondò la sua casa discografica, la “NUMERO 1”, per non dover sopportare coercizioni di sorta nella sua ricerca musicale e avere massima libertà dai vincoli commerciali.
Furono i tempi de “Il mio canto libero”, brano entrato nella storia, nel 1982 nasce “E’ Già” il primo album senza Mogol, nel quale Battisti comincia a cercare nei suoi dischi un “mood” completamente nuovo, fondato su una poetica abissalmente diversa da quella della prima ora.
Lo sconvolgimento della poetica, lo portò a collaborare col poeta Pasquale Panella, che concettualmente condivideva pienamente anche la sua ricerca musicale.
Battisti evolve verso un suono molto più sofisticato e ai massimi livelli di modernità (anche per il largo impiego di musica elettronica, estremamente avanti per quei tempi.
I testi prendono un’aura estrema nel quale concretizzare un simbolismo ermetico, miscelandosi perfettamente con il tappeto musicale che li supportava.
Il nuovo sodalizio si concretizzò in C.S.A.R. primo risultato della sua frequentazione con la poesia Ermetica di Pasquale Panella, che Battisti riusciva a cantare  con grandissima disinvoltura, anche perché si confaceva moltissimo al suo modo di esecuzione.
L’ultimo album uscito poco prima della sua prematura scomparsa, nel 1994 si chiamerà “Hegel” a ribadire un ulteriore evoluzione della sua arte, un svolta che sottintendeva la filosofia, come primaria fonte di ispirazione.

Album Hegel Battisti

Album Hegel di Lucio Battisti

Il suo ultimo lavoro intitolato al noto filosofo dell’ “Assoluto”, evidenzia chiaramente la sua ferma intenzione di voler andare ben più al di là dei contenuti partoriti da Mogol.
I titoli di alcuni brani non lasciano adito a dubbi: oltre ad Hegel, c’è “Estetica”, “la Bellezza Riunita” ecc, il suo lavoro più ricco e ricercato.

Georg Wilhelm Friedrich Hegel 1831

Georg Wilhelm Friedrich Hegel 1831

Purtroppo anche nel suo caso, possiamo definirlo il suo “lascito”, la sua eredità per tutti noi, visto che la prematura scomparsa, fermo il suo lavoro di artista/ricercatore.
Qualche malalingua ha avuto il coraggio di definire questi lavori di Arte/Ricerca pura, “deliranti”, quando quel fervore di ricerca dell’Assoluto, è semplicemente il suo “duro e puro” misurarsi con l’arte.
Arte e “Ragione” per rimanere in ambito filosofico (Kantiano in particolare), non sono assolutamente in contrasto, anche se questa affermazione, per molto tempo ancora resterà incomprensibile ai più.
Nella nostra società continuiamo a “venerare” gli Ingegneri e a percepire gli artisti come poco più che barboni, non comprendendo il loro enorme apporto all’umanità, a quella caratteristica umana che ci rende unici, “Assoluti”.
Un vero artista ci costringe ad usare gli occhi, le orecchie, il cervello, il cuore (intesi soprattutto nella loro accezione metaforica), offre la possibilità di percepire l’ “Assoluto”,  senza obbligatoriamente doverlo comprendere del tutto.
Quel Assoluto del quale siamo fatti e al quale dobbiamo necessariamente tornare, per dare un senso al nostro “esistere”.
Qui bisognerebbe far entrare in gioco, il più grande dei misteri che abbiamo di fronte: la “Morte”, non pensata come il contrario di “vita”, ma il punto dove spazio e tempo coincidono nel medesimo concetto.
Sarei anche pronto a chiamare in causa il genio, che della filosofia ha fatto concretamente una scienza, non il contrario come oggi sembra normale:  Albert Einstein, ma sicuramente anche questo sarebbe tutto un altro articolo.

Francesco Campoli

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Arte e Antropologia

Posted in Estetica e Bellezza on gennaio 29th, 2012 by

di Francesco Campoli

In questo nuovo articolo, mi piace ricordare le mie intenzioni nella stesura di questo blog: lasciare all’interlocutore una risposta propria ma consapevole all’ interrogativo di fondante di questo blog: cos’è l’arte?
In ognuno di noi esiste il piacere “para-narcisistico”, di veder condivise le nostre idee, desidero andare oltre questo obiettivo autoreferenziale, procedendo però in modo raffinato, nella migliore accezione dell’aggettivo retorico.
In sintesi, nelle mie intenzioni, c’è la volontà di proporre una congrua quantità di argomenti a sostegno della mia tesi sull’Arte, per fare in modo che gli interlocutori, giungano consapevolmente a conclusioni in accordo con la tesi medesima.
Considero questo un compendio dell’attività di artista, in quanto, un’Opera d’Arte, nella mia convinzione, è una forma alternativa più diretta e sintetica di altre, di proporre contenuti ed emozioni.
L’artista pubblica la sua opera, con l’intenzione che sia condivisa nei contenuti o nelle emozioni che desidera provocare, in piena similitudine con il processo che descrivo sopra.
Ho esordito con questa lunga premessa per non essere machiavellico, intendo da subito richiamare l’attenzione su un fattore fondamentale della dinamica che desidero instaurare nel blog, per mio principio essa non può che essere pienamente bidirezionale.
L’importanza del fruitore è fondamentale soprattutto perché “influenza“ l’Opera con la sua personale schematica percettiva.
L’Opera d’Arte assume un suo significato in funzione del fruitore medesimo, in particolare in relazione alla sua cultura. E’ lo specifico “cluster” antropologico, che definisce i “valori” percepiti in un’Opera d’Arte, in correlazione al “panel” valoriale, comune tipici del nucleo culturale nel quale il fruitore si è formato .

Non è difficile intuire che, intendo mettere sul tavolo un altro parametro che personalmente ritengo utile per rispondere alla “key question” di questo articolo: L’Arte ha una stretta identità antropologica.
Specifiche tematiche estetiche, definite dall’artista all’atto della creazione dell’Opera, vengono riconosciute per specifiche caratteristiche – una di queste, è ad esempio può essere l’assenza di un utilizzo pratico (Che definisce invece l’Artigianato) – per le quali l’Opera assume lo “status” di Opera d’Arte.
E’ pienamente intuitivo che questa sensibilità è diversa tra i diversi popoli, quindi un’Opera può essere intesa come artistica in una specifica area antropologica, come può essere assolutamente incomprensibile in un’altra, anche per questioni di tipo sociale.

Arte Aborigena australiana

esempio di Arte Aborigena australiana

Questo legame tra l’antropologia e l’arte, è stato a lungo indagato dall’antropologo inglese Alfred Gell. Gell lavorò caparbiamente per produrre una definizione “scientifica” di “Opera d’Arte”.

l'antropologo Alfred Gell

l'antropologo inglese Alfred Gell

Utilizzo in particolare confronti antropologici piuttosto interessanti, come ad esempio la distanza geografica e culturale tra le etnie che prese in considerazione.
Gell propone una distinzione molto accurata (che vi risparmio), fra considerazioni di natura filosofica (in particolare di Estetica), ma fondamentalmente analizza l’iterazione dell’Opera con il contesto antropologico nel quale è nata ed insiste.
In particolare, lo stimolava la ricerca di un denominatore comune che collegasse l’Opera pletoricamente riconosciuta nella nostra cultura, messa a confronto con alcune Opere Aborigene, che nei rispettivi luoghi di origine, godono della definizione di Opera d’Arte (massivamente riconosciute come tali).
L’idea di ricercare un denominatore comune tra le casistiche individuate ha piena dignità scientifica, ma certamente non un fattore facile da individuare.
Questo carattere comune, probabilmente è collocato molto in alto, nella scala valoriale e percettiva dei rispettivi nuclei antropologici, probabilmente in ambito spirituale.
Io personalmente posso raccontare un aneddoto che reputo estremamente calzante  di questo fenomeno antropologico: Qualche anno fa un amico ravennate, sposò una ragazza brasiliana di Manaus (Amazzonia Brasiliana).

Manaus ponte sul rio delle Amazzoni

Manaus ponte sul rio delle Amazzoni

Quando questa ragazza lo raggiunse definitivamente in Italia, lui si affannò molto per fargli conoscere il nostro Paese in modo che si ambientasse rapidamente.
Io ero presente durante la sua visita a Roma e in quella a Venezia.
Notai la sua faccia di fronte alle bellezze di questi due gioielli figli della nostra storia, così ricchi d’arte e di architettura.
Alle insistenti richieste di lui, “Ti piace?” con gli occhi che a lui stesso brillavano dalla meraviglia, la risposta di lei si limitò ad  una laconica: “Linda….” (bella), pronunciata con uno smarrimento e un’assenza che tradiva i suoi pensieri:
“Che avrà di bello stò posto, mi sembrano tutti matti a rimirare queste case vecchie, tutte allagate intorno”…. Si vedeva chiaramente che proprio non comprendeva la nostra ammirazione.
Nella sua Cultura, intesa appunto in senso antropologico – in quanto tra l’altro ce ne era anche una accademica, visto che nel suo Paese era anche laureata e lavorava in una grande banca brasiliana – la “nostra” Arte, era totalmente lontana dalle sue corde emozionali, magari sarebbe stata più pronta ad ammirare un particolare bosco italiano (venendo dall’ Amazzonia cuore verde del Brasile), sicuramente più vicino alla sua realtà socio-culturale.
Ho sempre pensato che la bellezza delle nostre città d’Arte (come vengono chiamate), fossero un punto indiscutibile, uno stereotipo universalmente riconosciuto, come lo è il mare al tramonto o il sole sulle “tre cime di Lavaredo” o l’alba sul Monte Bianco.

Alba sul monte Bianco

Alba sul monte Bianco

tramonto sulle Tre cime di Lavaredo

tramonto sulle Tre cime di Lavaredo

Evidentemente invece esiste una differenza sostanziale tra bellezza ed Estetica, un discrimine strettamente legato anche alla propria origine antropologica, una differenza fondamentale tra il “bello percepito” e il “bello assoluto”, ma questo, come dico sempre, è tutto un’altro articolo.

Francesco Campoli

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Illuminismo nell’arte

Posted in Filosofia dell'arte on gennaio 5th, 2012 by

di Francesco Campoli

Non è questo il terreno per approfondimenti di filosofia, ma al contrario ritengo che sia il posto giusto per ribadire il collegamento tra filosofia e arte.
Non può essere che un artista, nel suo mood personale, nella sua concezione artistica, non si colleghi in qualche modo ad uno o più concetti filosofici.
Certo è lecito affermare che questo non debba necessariamente avvenire in modo coscente, ma allora in coerenza con il l’interrogativo di fondo del blog, viene da chiedersi: Nel caso di “incoscenza filosofica”, possiamo realmente parlare di un artista?
Per argomentare una risposta a questa ferale domanda,  ci viene in aiuto Immanuel Kant, filosofo fondamentale, del quale non sono certo io il primo a scoprire la qualità e l’importanza dell’opera.

Immanuel Kant

La cosa caratterizzante di Kant è la sua visione rivoluzionaria, come la chiama lui stesso “rivoluzione copernicana” del modo di concepire  e soprattutto di applicare la filosofia.
La visione kantiana ribalta completamente, le modalità con le quali definire la conoscenza e i “Valori” con i quali interiorizzare le cose del mondo.
Sicuramente Kant è definibile un  illuminista, non foss’altro per la maniera in cui valorizza l’uso de “la Ragione” (il Pensiero), addirittura estendendone i margini rispetto all’illuminismo settecentesco.
Le specifiche del pensiero kantiano, a mio avviso, lo rendono molto utile a comprendere l’essenza della creazione artistica, soprattutto per chi come me da moltissima importanza  alla fase di ideazione.
Egli non rinuncia ad aprire “razionalmente” anche ad un approccio empirico.
L’empirismo da sempre è stato visto come l’unico approccio possibile, per la comprensione del “creato” artistico.
La rivoluzione kantiana, a mio avviso allarga l’uso della Ragione nel verso giusto, con l’obiettivo di costruire un nuovo approccio di “pensiero integrato”, sicuramente più adatto, alla comprensione del messaggio artistico, in barba alla sterile contrapposizione Razionalismo/Empirismo.
Kant si distacca chiaramente anche da quest’ultimo, che vede possibile l’acquisizione di conoscenza, solo passando attraverso l’esperienza diretta, l’Arte è la riprova che questo non è assolutamente vero: Chiunque può percepire la bellezza di un’opera di Mozart, senza saper suonare o comporre.
Secondo Kant “la Ragione”, non consente a nessun essere umano, la percezione dell’assoluto di ciò che gli appare, ognuno ha una percezione propria, in genere filtrata dalle personali capacità di giudizio.
Da questo sembrerebbero possibili, infinite percezioni di una medesima rappresentazione (in particolare artisticamente parlando”, ma Kant individua l’universalità della percezione, deducendola dall’universalità del “processo” di percezione, che ritiene identico in ogni essere umano, a prescindere dal suo livello di conoscenza.
Ecco secondo Kant  il motivo dell’universalità del bello: Ci sono cose che in ogni essere umano, trovano collocazione nella “categoria del “Bello”.
Il tramonto, i fiori e i loro colori, la Luna piena di notte sul mare, sono stereotipi assoluti della percezione del bello, percezione alla portata di tutti.
Questo  filosoficamente parlando, ci porta dritti dritti alla necessità di arrivare ad una definizione di “Estetica”, in generale e, secondo la visione di Immanuel Kant.
Kant tratta di Estetica in accordo che i valori sui quali fonda la sua filosofia, in “Critica della ragion pura”, ma questo è tutto un’altro articolo.

Francesco Campoli

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