Separazione tra arte e cultura

Posted in Filosofia dell'arte on gennaio 21st, 2011 by Francesco

di Francesco Campoli

Le accademie d’arte e i licei artistici italiani, sono come tutti gli altri enti del nostro paese.
Se si leggono i programmi non si può che restare soddisfatti, ma alla fine dell’iter proclamato, purtroppo i conti non tornano mai.
Nei nuovi programmi dei licei ad indirizzo artistico, si riconosce pienamente che l’opera d’arte che gli allievi saranno chiamati a produrre, sarà la “summa” di diversi “Layer” di competenze.
Si fa menzione di competenze “Umanistiche, Scientifiche e Tecnologiche”, si enuncia che l’opera abbisogna di un processo di progettazione, che deve tenere conto della fattibilità (tecnico-economica), della collocazione finale.
Si dice che va inquadrata nel contesto socio-culturale nel quale nasce, nella poetica personale dell’artista e allineata al suo cluster culturale e/o alle esigenze dell’eventuale  committente e mi fermo qui per non diventare noioso.
Non posso che constatare che tutte queste belle cose, sono incontestabili ma purtroppo rimangono assolutamente sulla carta.
Pur avendo poco da eccepire al fatto che un artista dovrebbe necessariamente avere una infarinatura gestionale, sociologica e comunicativa (per non formare un disadattato sociale come spesso invece avviene), devo però constatare che si perde completamente di vista l’aspetto concettuale.
Una visione del genere, che allineerebbe professionalmente qualsiasi artista ad un suo omologo professionista in qualsiasi altro settore, cozza con il tipo di formazione che molti docenti degli istituti ad indirizzo artistico hanno conseguito.
Nel loro approccio si intravede fin troppo l’ approccio “artigiano” di alcuni, l’approccio esclusivamente umanistico di altri, quello assolutamente artistoide di altri ancora.
Si continua a perpetuare l’errore di sempre nel nostro mondo artistico, di fondo in un artista si cerca il “talento”, che una persona per definizione possiede “per nascita”, come un titolo nobiliare e in fondo si considera la tecnica come un accessorio che fa rima con pratica.
Si creano istituti dove si insegna arte, nei quali al massimo viene insegnata la storia dell’arte.
Sono d’accordo che nella formazione di un artista italiano, non si può prescindere dal suo rapporto millenario con l’arte che permea il suo DNA, ma se non gli si insegna a gestirne l’influenza, lo si zavorra con tutta una stratificazione di “sedimenti artistici”, che possono offuscarne la creatività.
Non è raro riconoscere sulle opere di giovani artisti italiani, una patina concettualmente assimilabile a quella che offusca le nostre opere storiche, filtrandone la reale forza comunicativa.
Sono abbastanza in la con gli anni, per ricordare l’ ”unveiling ceremony” del “Giudizio Universale”, nella “cappella sistina” in Vaticano, restaurato da una troupe di “maestri del restauro” giapponesi, di riconosciuta eccellenza internazionale.
Alcuni “Soloni” dell’epoca (alcuni sono ancora sulla breccia), gridarono allo scandalo nel ritrovare i colori originali, stesi dal maestro incommensurabile Michelangelo.
La patina del tempo aveva offuscato la tavolozza del genio toscano.
La rimozione di quella patina e il consolidamento del supporto dell’enorme affresco, rimise letteralmente in luce, la cifra comunicativa voluta da Michelangelo.
Ci fu chi rimase scioccato dai quei colori intensi e brillanti come il pensiero del loro esecutore, protestarono per la scelta di rimuoverla completamente, pretendendo di far prevalere  la loro “critica”, sulle intenzioni pittoriche del maestro.
A mio avviso noi italiani debbiamo essere così bravi da liberarci della nostra storia, pur conservando nella nostra anima, la proiezione dei nostri giganteschi maestri.
I nostri maestri dell’arte moderna, talvolta hanno esagerato talmente nella tecnica, arrivando a crittare concetti e simboli sui quali costruivano le loro opere.
Non stento a credere che questo, sia avvenuto proprio per una sorta di smania, di liberarsi del peso della nostra storia.
In Italia non sarebbe mai potuto nascere un Andy Warhol, che partorisce la “Pop Art”, proprio sulle basi della poca stratificazione storica che caratterizza l’America (suo paese di elezione) e a maggior ragione dalle sue radici “Rutene” (popolo nomade tra Slovacchia/Ucraina/Polonia), che di certo non lo hanno seguito oltre oceano.
Il nostro patrimonio culturale (inteso quale genetico), è duro da scrollarsi di dosso, a meno di essere totalmente cechi o ignoranti.
La nostra cultura, purtroppo non insegue solo i nostri artisti, ma anche collezionisti e committenti, ma questo è tutto un altro articolo……..

Francesco Campoli

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