Arte e Guerra

Posted in Estetica e Bellezza, Filosofia dell'arte on marzo 18th, 2022 by Francesco

di Francesco Campoli

Innanzi tutto mi devo scusare con i tanti amici che seguono assiduamente il mio Blog.
Questa volta il mio Articolo su SCULTURAECULTURA arriva con un po’ di ritardo rispetto alle cadenze abituali.
Purtroppo, come avrete immaginato, il ritardo è conseguenza di un tragico “cambio di programma”.
L’intento più volte dichiarato di SCULTURAECULTURA è trattare il tema dell’Arte, non in modo astratto e autoreferenziale, ma mettendola al centro della Vita e della Cultura del nostro tempo, esattamente in questo tempo, dove tutto appare sempre più una triste Farsa, invece quella che vediamo esplodere intorno a noi, assume ognigiorno di più i contorni di una Tragedia.
Ho voluto riscrivere l’Articolo ex novo, anche se ormai quello già scritto era ormai in via di pubblicazione, perché gli eventi epocali di questi giorni, non possono passare sotto traccia.
La Guerra in Ucraina ci ha colto impreparati, non perchè eravamo distratti, ma perchè ormai nella nostra testa, tutta orientata ad una malintesa autorealizzazione, la parola Guerra, nel linguaggio corrente “Politically correct“, sembra non dover essere contemplata.

Colosseo Ucraina

Il Colosseo illuminato con i colori della bandiera Ucraina

Per quanto mi concerne, certi accadimenti non devono essere affrontati senza far sorgere in se delle profonde domande esistenziali, come Essere Umano in generale, ma a maggior ragione per si picca di essere un Artista.
Scrivo “essere” invece che “fare”, non per un errore ortografico, ma nella consapevolezza che l’Artista non è un mestiere, una professione come le altre, ma coinvolge il proprio modo di essere, di vivere le emozioni, quelle personali, ma soprattutto gli stati d’animo collettivi.
Nulla di peggio di una guerra, che sicuramente ha risvolti sociologici e “sociali”, di grado esiziale, specialmente sui più piccoli che saranno le generazioni su cui si baserà il domani.

La Guerra è dissecante anche a livello esperienziale, spesso al punto di farci vivere una sorta di distacco dalla realtà, anche se si ritiene di essere individui emotivamente solidi.

Ucraina Guerra Milano

Milano manifestazione contro la Guerra in Ucraina

Le emozioni che si vivono in queste situazioni sono così dirompenti che è necessario analizzare, capire e soprattutto non smarrire la propria umanità.
La Dicotomia sorge in noi cercando di trovare un senso ad azioni inumane che, evidentemente, un senso non ce l’ hanno.
Se veramente, prima o poi (meglio prima), vogliamo dar reale valore all’affermazione “Mai più guerre”, che suona purtropo assolutamente retorica, ognuno deve fare veramente la sua parte.
Per gli Artisti è fondamentale misurarsi – professionalmente e umanamente – con tutte queste sconvolgenti emozioni, senza nascondersi dietro ad un malinteso simulacro di bellezza.
Retoricamente ci difendiamo sempre con le stesse scontate affermazioni, senza fare veramente passi più concreti.
Quando ripeto ossessivamente che, il superficiale accostamento di Arte e Bellezza, è un errore concettualmente madornale, mi riferisco proprio a chi nell’Arte cerca solo il “Bello” relegando l’Arte ad una mera funzione Estetica, oltretutto, “il Bello”, è un parametro assolutamente soggettivo e strettamente legato al contesto culturale di riferimento.
La vera Arte deve avere soprattutto una enorme valenza Etica, se non altro in virtù della sua penetrante efficacia comunicativa, talvolta veramente dirompente, che realmente è in grado di cambiare il mondo.
Vedere ripetersi continuamente il triste fenomeno della Guerra, ai nostri giorni, in ogni angolo della terra e nelle più svariate realtà socio-culturali mostra il senso del fallimento evolutivo di interi popoli.
La Guerra è la dimostrazione patente che questa regressione si conferma anche a livelli ancor più “globali”.
Uso la parola “globali” per stigmatizzare quanto quest’ultima, spesso sia usata in modo scorretto, in particolare nella descrizione dei fenomeni socio-economici che, come stiamo ormai chiaramente vedendo, stanno disarticolando la struttura stessa della Comunità Umana del nostro tempo.
Da molto tempo ormai, con “Globalizzazione”, si sottintende solo il fenomeno economico, invece, quello con cui ogni giorno ci scontriamo, non è solo un fenomeno economico, ma è prima di tutto, l’evidenza dell’allargarsi di crepe fatali nella struttura dell’intero  Organismo Sociale.
Queste fratture concettuali nei Principi socio-culturali (che noi stessi ci siamo sbrigati a canonizzare), rendono instabile e inadeguato un Sistema che invece si dovrebbe rispecchiare in Principi realmente “Etici”.
Le dinamiche socio-economiche sarebbero le prime che dovrebbero essere viste con la “lente” etica, ma invece si vede nel benessere economico come l’unico indice della Civiltà di una Nazione, questo diventa un principio estremamente pericoloso per la tenuta del “Patto sociale”.
Sappiamo tutti che questo metro di valutazione è sbagliato, ma sempre più siamo portati a girare lo sguardo ad accettare supinamente il concetto.
Non è strano per la gente dare per scontato che un benestante è anche una brava persona, mentre è più che evidente, che persone che hanno disponibilità economiche fuori dal comune, non sempre le conseguono in modo onesto ed eticamente ineccepibile.

Oligarchia

Oligarchia

In questi giorni sentiamo spesso la parola Oligarchi, usata come sinonimo di “Estremamente Ricco”, ma questo non è altro che il perpetuarsi del medesimo errore: Avere una visione essenzialmente Economicistica.
L’Oligarchia è essenzialmente una modalità elitaria di gestione del potere, non solo in forma etimologica (olígoi = pochi e arché = governo, “governo di pochi), ma soprattutto in termini politici.
Gli Oligarchi gestiscono il Potere, sono “Potenti”, non necessariamente sono  “Ricchi”, infatti, semmai sarebbe il meccanismo per il quale, questo genere di “Potenti” alla fine diventa sempre immensamente ricco.
Il principio è molto ben spiegato da Platone, in particolare nel suo trattato in forma dialogica “La Repubblica”.

Platone la Repubblica

Platone "La Repubblica"

Cito sempre Platone per mille motivi, nel libro VIII de “La Repubblica”, la forma di potere Oligarchica è molto ben circostanziata, invito chi non conoscesse quei passi a rivederseli, come al solito, gli scritti di Platone sono sempre estremamente illuminanti.
“La Repubblica” nei principi (ovviamente non in termini assoluti), non deve colpire perché sembra un riuscitissimo esercizio di preveggenza, per quanto stupefacente è semplicemente un ottimo esempio di “Speculazione Filosofica“.
Anche Aristotele nel suo “Politica” tratta diffusamente il tema, gli antichi Filosofi greci, proprio perché ritenevano fondamentale la gestione del Potere nella “Polis“, ragionavano molto sulla ripartizione Potere nella struttura gestionale delle loro “Città Stato”.
La gestione del Potere nella Democrazia da dêmos (Popolo’) e da kratéō (Comando), che come noto è stata ideata e applicata proprio dagli antichi Greci,  è un fattore assolutamente dirimente, non è un caso che tra i più grandi filosofi ne hanno profondamente ragionato.
Questo una volta di più, dimostra quanto la Filosofia sia sintesi razionale del Pensiero, come più volte ho scritto anche su SCULTURAECULTURA, l’Arte, essendo figlia prediletta della Filosofia, è l’altra forma essenziale del “Pensiero collettivo”.
La Filosofia è la forma analitica e razionale del “Pensare”, l’Arte è la forma di Pensiero più emozionale e creativo, a mio avviso la modalità più rappresentativa dell’ Essenza Umana.
Purtroppo Filosofia e Arte non sono le due uniche compagne del cammino evolutivo dell’Uomo,  la Guerra è stata da sempre un terribile “carattere recessivo“, e purtroppo “rigurgita” abbondantemente dalle pagine peggiori della Storia dell’ Umanità.
Al di la della terminologia para-genetica, questa esecrabile modalità di “risoluzione delle controversie”, non è una componente congenita, ma peggio, molte volte è stata e continua ad essere, una scelta “razionale”, spietata.
La Guerra mira solo alla conquista di vantaggi politici, territoriali e alla fin fine economici.
Anche nell’antico mondo greco, l’ Oligarchia sconfinava regolarmente nella “Plutocrazia“, dal Greco antico ploûtos (ricchezza) e krateín (potere), infatti sarebbe appunto più corretto chiamare così, il predominio di un ristretto nucleo di Ricchi sull’intero Organismo sociale.
La Plutocrazia è da sempre uno di quei “Caratteri recessivi” proprio della Russia, nella sua età “Sovietica” e ancor prima nella sua forma Zarista.
Questo per ricordare a me prima ancora che agli altri, che purtroppo esistono nei popoli, problemi socio-culturali “endemici”  e che la soluzione agli stessi, deve essere vista come la ricerca di una vera e propria “forma di evoluzione collettiva” delle rispettive Società.
La Guerra come “mezzo di risoluzione delle controversie”, è un evidente problema evolutivo dell’intero Genere umano,  anche la nostra coltissima Costituzione lo richiama diffusamente.
Nel testo fondamentale sul quale fu costruita la nostra Nazione, i rapporti Etico-sociali e quelli Economici, sono trattati addirittura in due differenti Titoli (Titolo II e Titolo III).

Benedetto Croce

Benedetto Croce

Non è un caso che uno dei Padri Costituenti, che definirei senza tema di smentita tra i più rappresentativi, fu Benedetto Croce, grande Filosofo anche lui, e in grandi passi della Costituzione italiana, si legge chiaramente la sua modalità ontologica e di costruzione del Pensiero.
Croce, anche per via del suo interesse accademico per l’Estetica, fu anche un apprezzatissimo Filosofo dell’Arte (vicino alla visione di Hegel) ad ulteriore conferma che, queste due discipline del Pensiero sono assolutamente complementari.
La rispettiva complementarità si evidenzia in modo ancor più eclatante, se si pensa che l’altro grande Filosofo, vicino anch’egli alla dottrina dell’ Estetica Hegeliana, Giovanni Gentile, che militò su fronti politici assolutamente opposti rispetto a quelli sostanzialmente “Liberali” di Benedetto Croce.

Giovanni Gentile

Giovanni Gentile

Giovanni Gentile fu l’ ideologo del Mussoliniano Partito Fascista, tant’è vero che alla fine venne ucciso dai Partigiani del G.A.P..
A mio modesto avviso, per le ragioni sopra esposte, è estremamente importante che l’Arte si confronti con la Guerra, ma non come magari ha fatto per secoli, come mero megafono celebrativo.
Così come avvenne per le vite dei Santi, gli Artisti molto spesso furono chiamati dai loro Committenti, a raccontare e celebrare le imprese di guerra di illustri antenati o di loro fidati Capitani di Ventura.
Non fanno eccezione neanche Michelangelo Buonarroti e Leonardo da Vinci, anche se per varie ragioni queste commissioni alla fine non si concretizzarono.

Battaglia di Cascina Michelangelo Buonarroti

Michelangelo Buonarroti "La Battaglia di Cascina"

Solo in epoca più recente, in particolare in quella Moderna, la Guerra venne finalmente fortemente stigmatizzata dagli Artisti, uno degli  esempi più eclatante fu Pablo Picasso.
Il grande artista spagnolo con il suo celeberrimo dipinto “Guernica“, denunciò e descrisse crudamente il barbaro bombardamento della cittadina basca da parte dell’aviazione nazista durante la guerra civile spagnola.
Il noto dipinto di Picasso (attualmente esposto al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía di Madrid), fu al centro di una famosa diatriba tra il grande artista e un potente gerarca Nazista.
Si narra che questo comandante Nazista (che era stato inviato da Hitler per gestire le operazioni in appoggio al Generalissimo Francisco Franco), a colloquio con Picasso, disse al grande Pittore spagnolo: “Maestro, l’avete fatto voi questo orrore? Pablo Picasso gli rispose seccamente: “No l’avete fatto voi !!!”.

Guernica Picasso

Guernica Picasso

Personalmente io considero “Guernica” una delle grandi cesure tra la concezione storica dell’Arte in forma rappresentativa, appunto quella malintesa come omologa di “Bellezza”.
Una delle peggiori dimostrazioni dell’oppressione Nazista, fu in particolare quella sull’Arte Moderna, ci fu addirittura una accanita campagna di distruzione di moltissime Opere d’Arte, estremamente preziose, sia artisticamente che storicamente.
La propaganda Hitleriana definiva quella evoluzione al di fuori dei cliché convenzionali dell’Arte Classica “Arte degenerata” e lavorava ossessivamente per farla scomparire, forse anche perché Hitler, come molti sapranno, era un Pittore oltremodo fallito, tant’è vero che spregiativamente è stato più volte apostrofato “Imbianchino”, aggiungo io senza offesa per gli imbianchini.
In verità anticamente, già Hieronymus Bosch aveva già scelto di allontanarsi dai soggetti aulici tipici di molti suoi contemporanei.

Hieronymus Bosch La Tentazione

Hieronymus Bosch La Tentazione

Georges Braque

Georges Braque

La destrutturazione dell’immagine pittorica, già ricercata da Paul Cézanne e poi canonizzata nel “Cubismo” di Picasso e del suo amico George Braque, aveva appunto lo scopo di allontanarsi dal concetto di “Belle Arti” a favore di un’Arte più emozionale, simbolica ed essenziale, più vicina alla sintesi poetica dell’Artista che alla mera rappresentazione com’era sempre stato.

Napoleone Bonaparte

Napoleone Bonaparte

Uno dei più importanti committenti di dipinti sull’epica della Guerra fu Napoleone Buonaparte, che scelse di comunicare la retorica di Guerra mediante l’Arte.
Per celebrare le sue imprese di conquista e sostenere la sua immagine di grande conquistatore ordinò moltissimi lavori ai più importanti artisti dell’epoca.

Giovanni Fattori Autoritratto

Giovanni Fattori

Persino Giovanni Fattori, non certo un guerrafondaio, ricevette molte commissioni in tema di grandi battaglie e rievocazioni di scene militari, ma usò sempre la sua maestria tecnica in uno stile che definirei “documentale”.
Le sue opere a tema bellico presentano ad esempio Divise sempre estremamente accurato, ma al contrario, non usò mai esaltare le attività belliche, come invece fecero molti dei suoi colleghi, nel corso dei secoli.

Giovanni Fattori battaglia di Magenta

Giovanni Fattori battaglia di Magenta

La battaglia di Waterloo William Sadler

La battaglia di Waterloo di William Sadler

Come ho raccontato sopra, l’Arte talvolta fu assolutamente asservita alla retorica della Guerra, in particolare come mezzo di propaganda ma in realtà, quella che poi cambiò, fu la libertà dell’Artista di scegliere i soggetti da rappresentare e sempre più spesso si trovò a stigmatizzarne gli orrori.

Quando l’artista eseguiva progetti imposti dai suoi committenti, era un mero surrogato della Fotografia,  nell’evoluzione moderna del concetto di Arte, Artisti come il su citato Picasso, rappresentarono soprattutto le personali emozioni che la guerra suscitava in loro, noi Artisti contemporanei, anche a causa dell’occultamento mediatico che di solito vela le guerre dei potenti , ci siamo confrontati poco con quello che continua ad essere il medesimo orrore.
Le guerre attuali sono molto diverse da quelle affrontate nei campi. La battaglia di Magenta si svolse nei campi, quella di Waterloo avvenne in una sperduta località belga, le battaglie, in tempi recenti, purtroppo hanno avuto le nostre città citta come teatro.

guerra ucraina

guerra in Ucraina, Mariupol distrutta il 90 per cento

La Siria, il Libano l’ex Jugoslavia e adesso le grandi città Ucraine, potrebbero essere molte delle nostre città.
I palazzi distrutti, gli Ospedali, le Scuole, potrebbero essere le nostri, stavolta gli Autobus colpiti in mezzo agli incroci e i Tank in coda sulle normali autostrade, ci lasciano sgomenti, inebetiti, anche per le modalità incomprensibili.
In realtà queste immagini inquietanti, diverse nell’ Outlook ma identiche nei contenuti, sono le stesse che troviamo nei bassorilievi sull’Arco di Costantino, duemila anni fa, niente di nuovo sotto questo cielo.

Fregio con La Battaglia di Ponte Milvio

Arco di Costantino fregio con La Battaglia di Ponte Milvio

Roma arco di Costantino

Roma arco di Costantino

In realtà hanno tutte un denominatore comune: Il Male, non a caso in questi casi, in molti tratteggiano profili da Anticristo per i rispettivi protagonisti.

Ungaretti da poeta illuminato, ci ha rivelato gli orrori umani nelle trincee della prima guerra mondiale.
Richiama magistralmente in noi, immagini da gironi danteschi, rese ancora più crude attraverso il linguaggio “Ermetico” che sicuramente è il più adatto per tratteggiare poeticamente quegli orrori e soprattutto le emozioni destabilizzanti che facevano sorgere nei malaugurati attori.

Uomini in armi che si dibattono nel fango delle trincee come dannati dopo il giudizio universale.
Oggi raramente gli eserciti si affrontano totalmente sul campo, le trincee sono le barricate stradali, i missili arrivano da centinaia di kilometri di distanza, li viviamo distaccati, quasi fossero la ribalta di uno stupido videogame.
Molti dei focolai tutt’ora in armi ci sono praticamente sconosciuti, ma stavolta, in Ucraina è assolutamente diverso.

San Martino del Carso Ungaretti

Poesia San Martino del Carso di Giuseppe Ungaretti

Nelle accademie, nei Licei artistici e nelle scuole d’Arte non si insegnano tecniche adeguate a rappresentare lo sgomento che tutti noi proviamo.
Siamo spaventati soprattutto nel pensare che quel Male, probabilmente è anche parte di noi, con le parole di oggi, diremmo che è “Endemico” e nessuno se ne può sentire escluso.
Una cosa è certa gli Artisti in genere sanno leggere introspettivamente in se, quel Male riescono anche ad intravvederlo, ma non sappiamo ancora dipingere i quadri giusti, non abbiamo ancora i colori giusti, forse perchè quelli che abbiamo sono per “Belle Arti” e, nella guerra, non c’è proprio nulla di bello.
Siamo creativi, dovremmo saper urlare lo schifo per l’inutile morte di un bambino, ma la Guerra è distruzione, l’antitesi esatta della creazione.
Ci dovremo lavorare, dobbiamo trovare strumenti giusti, fare monumenti con brandelli di muri crollati, piramidi con i sacchi di sabbia, tappeti di schegge di vetri scoppiati.
L’Arte, lo sappiamo da un pezzo, perchè ce l’ha detto e ripetuto molto chiaramente Theodore Adorno, nel suo “Teoria Estetica“.
Abbiamo necessità di riconfigurare il ruolo per l’Arte, abbandonare l’esteticamente bello sostituendolo con il dannatamente vero.
Era appena finita la guerra quando Adorno scrisse quel suo saggio, un Filosofo ebreo, che sapeva bene che nulla sarebbe stato più come prima, in ogni guerra l’unica arma contro quell’orrore è l’Arte e la sua potente valenza taumaturgica.
Sono passati più di settant’anni e dovremmo stupirci di non aver capito ancora, che questo è un concetto fondamentale, l’Arte non è una bella statua in giardino o un bel quadro colorato in salotto, non possiamo continuare a pensare all’Arte come ad una vecchia modalità per descrivere Uomini e cose del passato.
L’Arte è viva e deve portare verità ogni giorno, deve aiutare a costruire il futuro, un futuro che nasca dentro le nostre anime più che nel nostro portafoglio, ma anche questo, come al solito, sarebbe tutto un altro articolo.

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Arte e “Processo Creativo”

Posted in Filosofia dell'arte on gennaio 27th, 2015 by Francesco

di Francesco Campoli

Eccoci qui, finalmente, dopo un bel po’ di tempo, per continuare a parlare d’ Arte, riflettendo insieme per andare al di là dei luoghi comuni che, superficialmente, vengono riproposti intorno a questa essenziale attività umana.
Desidero ripagare la vostra amicizia (bontà vostra siamo sempre di più) e soprattutto con un nuovo articolo più approfondito del solito, non solo per compensare qualche giorno di ritardo nella nuova pubblicazione, ma anche per accontentare coloro che mi chiedono di argomentare con ancora maggiore dettaglio.

statistiche al 1° gennaio

Sculturaecultura: statistiche al 1° gennaio

Come ho mostrato anche nel mio articolo precedente – proponendo un estratto delle statistiche degli accessi su “Sculturaecultura” – per informazione di tutti i lettori – voglio postare i numeri aggiornati ad “oggi”, con orgoglio, (visto che l’interesse è sempre molto alto e tendenzialmente crescente), ma senza vanità od ostentazione, perché capisco che il consenso crescente non è solo frutto della scelta “editoriale” controcorrente.
Crescono visitatori e il numero di pagine consultate (indice che i visitatori navigano più ampiamente nel blog), ma questo, non indica necessariamente che cresce l’adesione alle mie tesi (che pur cerco di circostanziare scrupolosamente), ma – cosa che considero ancora più importante – che crescono gli interessati ai contenuti proposti, cresce l’interesse nei confronti dell’Arte, un dato di fatto di per se estremamente più importante.
Gli accessi sostanzialmente constano di oltre 1.000 visitatori unici al mese (quindi nuovi) e di oltre 9.000 pagine viste, questo, in generale, evidenzia che esiste una necessità crescente di appagare un bisogno ancestrale dell’essere umano, di conoscere l’Arte, di capire, di “Sapere”, una cosa positiva in assoluto, a maggior ragione perché, l’Arte, è parte integrante dell’Essere, transfert delle emozioni più profonde.
Parlo di transfert non perché un’opera d’Arte trasporti le emozioni dell’artista che l’ha concepita – come erroneamente si pensa – ma esattamente il contrario: Essa attua il transfert delle emozioni già presenti nell’universo, che l’artista è chiamato a raccogliere, per renderle disponibili anche a chi, per i più svariati motivi, preferisce non lavorare sui suoi sensi, o ad esempio, non ritiene di avere tempo da dedicare a queste attività.
(Carl Gustav Jung, ha scritto un noto saggio sull’argomento: “Psicologia del Transfert“), che pubblicò nel 1946, un libro che anche ai nostri giorni rappresenta ancora un punto di riferimento per gli psicologi clinici, un libro nel quale Jung analizza un processo non particolarmente intuitivo, in grado di sollevare un gran numero di interrogativi in noi stessi e sul modo di relazionarci con le nostre emozioni.
L’Arte, nella mia visione, è una sorta di finestra sulle nostre emozioni, la sua attrattiva, è così profondamente stimolante, perché poggia  sul fatto che, contrariamente a quel che i più immaginano, di fronte ad un’opera d’Arte, siamo attori e non spettatori.
L’artista, come ho scritto in precedenza, è come uno sciamano, vive emozioni, percepisce emozioni “in nome e per conto”, il suo dono è creare un tunnel emotivo, con l’universo che è fuori e l’universo che è dentro, che “costituzionalmente” in una sorta di “curvatura” spazio/temporale del genere concretizzato e ampiamente dimostrato da Albert Einstein.
Macrocosmo e microcosmo, inner world and outside world, sono aspetti differenti, integranti, dello stesso percorso, ed eccoci quindi ritornare all’Alchimia junghiana, alla magia naturale, che non è altro che la presa di coscienza della necessità di una trasformazione, da “Piombo” (quale ci rendiamo conto di essere) in Oro, quell’essenza di Spirito della quale siamo portatori, solo specchiandosi nelle profondità dell’universo la nostra mente percepisce chiaramente quello che abbiamo dentro il cuore.

Bush Painting nel Natal (Sudafrica)

Più sopra ho definito ancestrale questo bisogno di “Conoscenza” (ma anche e soprattutto di Coscienza), in quanto, il desiderio di “Sapere”, è una delle costituenti essenziali del nostro essere Uomini, non foss’ altro perché questo ci caratterizza profondamente e caratterizza (anche se spesso non si direbbe), la nostra specie (Homo), che non a caso è definita  Homo Sapiens, che si distingue rispetto ai suoi antenati (e ad altre specie), proprio per l’elevato  livello di conoscenza.
L’Uomo, già allora, sentiva la necessità di raccontare le proprie esperienze, la propria vita di tutti i giorni, le paure e/o le emozioni, attraverso forme di “proto-arte” come le cosiddette pitture rupestri, come usiamo definirle in italiano.
Questa denominazione italiana, nasce, perché in Italia, queste rappresentazioni primordiali, le abbiamo rinvenute soprattutto in zone definibili come rupestri.
In altre terre (come ad esempio il Sudafrica), le “pitture rupestri” sono definite “Bush Paintings”, perché li, invece, esse sono rinvenute prevalentemente in aree situate nella savana (il Bush appunto), che, come sappiamo da recenti scoperte, è stata l’habitat originario dei nostri più antichi progenitori.
Chi ha già letto qualcuno dei miei articoli precedenti, conosce già la mia opinione sulla “cosiddetta” Arte, che caratterizza epoche man mano sempre più vicine a noi.
Questa attività ancora è definita Arte, ma, molto spesso, secondo il mio modo di vedere, in realtà non lo era.
Si trattava fondamentalmente di un’ attività tecnica – ovviamente di livello enormemente più evoluto rispetto alle “Bush Paintings” – ma spesso realizzata solo a scopo puramente documentale, spesso, atta a soddisfare il narcisismo di un ricco mecenate, e feci l’esempio del Bronzino.
A prescindere dalla maestria tecnica dell’esecutore, sia pure essa di livello eccelso, io non posso concepire come Arte, qualcosa che, addirittura, era realizzata su commissione, nascendo quindi, al di fuori di uno specifico Processo Creativo, mancante quindi della fase fondamentale la “Creazione”.

Bronzino, Il nano Morgante

Bronzino, Il nano Morgante

Per “su commissione”, intendo che il soggetto dell’opera, è dettato dal committente (non ne parliamo neanche se ci riferissimo ad un ritratto), un committente che, spesso e volentieri, sceglieva anche la tecnica (magari in base al costo), o, addirittura che, in conseguenza della tecnica preferita sceglie l‘Artiere – che per il suo gusto – meglio interpreta la tecnica più gradita.

Ho usato il termine “Artiere” anziché Artista, proprio perché (si veda il dizionario), in origine, questi due termini erano assolutamente sinonimi.
Risulta quindi evidente che la creatività, non è che fosse la prima delle competenze ricercata in un artista del tempo del Bronzino.
E’ giusto considerare gli artisti dell’epoca (o con il massimo rispetto, Artieri), pienamente inseriti nella Storia dell’Arte, così come non sono da biasimare i committenti, che come d’uso al loro tempo cercavano un buon artigiano che abbellisse le loro lussuose magioni, o, fotografasse la loro effige o quella dei loro cari nel modo che essi ritenevano migliore.
La Storia, giustamente, ha una lettura cronologica degli eventi che si trova a studiare, ma è evidente che non è suo compito attribuire giudizi di merito o di qualità, men che meno sugli attori degli eventi medesimi.
Lo stesso fa la storia dell’Arte, studia e documenta “cronologicamente” l’evoluzione del concetto di Arte, in funzione del loro tempo storico.
Per fortuna, da allora, il profilo dell’artista si è veramente modificato, ma non è questo il motivo del mio argomentare, ho voluto fare tutto questo inciso per porre l’accento sul fatto che, Arte è un concetto dinamico, che nel tempo è destinato a cambiare, mettendoci ogni giorno di fronte al dilemma che è l’anima di questo blog: cos’è Arte? la domanda alla quale ognuno di noi, se vuol essere veramente artista, è obbligato a porsi prima di mettersi a scolpire, a dipingere, a suonare, a poetare.
Non è facile, di primo acchito, pensare come artista un uomo di 40.000 anni fa. intento a graffiare le rocce, a tracciare sulle pareti con sassi di arenaria, colorando con terre e pigmenti primitivi.
Pensare a questa persona, male in arnese, più artista di colui che, magari abbigliato in ricchi abiti damascati, agisce in nome e per conto di un illustrissimo committente, è un esercizio “apparentemente” piuttosto “eretico”, in particolare in Italia dove il peso di millenni di storia dell’Arte continuano a rappresentare un fardello più che un plus culturale.
Per questa ragione, ho voluto ben circostanziare in modo chiaro la mia opinione, come il mio approccio “maieutico” – più volte dichiarato – mi obbliga a fare e per evitare mal’ intendimenti.

Un Uomo preistorico che non ha tecnica acquisita ma che è alla ricerca, che è mosso da qualcosa di interiore che non esiterei a definire spirituale, il cui lavoro è pregno delle emozioni sgorgate direttamente della propria anima, un’ anima pura, basica – essendo praticamente all’inizio del percorso evolutivo dell’Umanità – secondo il mio modo di concepire  l’Arte, è molto più “artista” di coloro che, hanno abdicato al compito fondamentale di una artista …. CREARE, progettare, avendo delegato questa fase alla propria committenza.
Spesso nell’analisi critica di molte opere citato il fatto che l’autore, per lasciar trasparire qualcosa di se, del proprio pensiero, del proprio Essere, era costretto a “citarsi”, magari in forma “nascosta” nei propri lavori realizzati su committenza.
A quei tempi, non era neanche così normale “firmare” i propri lavori, solo nel tardo rinascimento questa usanza cominciò a prendere piede, ma non tanto per valorizzare i diritti intellettuali, ma per mera pubblicità.
Il fruitore occasionale, poteva immediatamente individuare l’autore dell’opera, ed eventualmente, chiamarlo a realizzarne anche per lui, insomma una sorta di passaparola ad alto livello.
Per l’originario committente, avere un oggetto riconducibile ad un “firma” famosa, era – come ancora oggi capita – uno “status symbol”, che accresceva il proprio prestigio sociale, di conseguenza, come ormai sembra normale portare una borsa, un portamonete o una valigia completamente ricoperta del logo/marchio di chi quell’oggetto ci ha venduto a caro prezzo.

tragedia greca

Tragedia greca

Gli antichi Uomini-artisti, attraverso uno di quei disegni primordiali, proprio perché nascevano da emozioni e percezioni introspettive, erano più vicini a quell’intento catartico, che la vera Arte, liberata dall’obiettivo di rappresentazione è chiamata ad avere.

Questa necessità, con il trascorrere dei secoli e dei millenni, la ritroveremo ad esempio nell’antica “Tragedia greca”, la catarsi, infatti, è l’essenza del Teatro greco, o meglio nella Tragedia Greca, Tragedia non in quanto narrazione di fatti nefasti, ma in quale rappresentazione del sommovimento emotivo che, in quanto Uomini, creati ad immagine e somiglianza di Dio (Genesi capitolo 1 paragrafi 26-27-28), non possiamo non vivere.
Gli Uomini, posti davanti ai bivi che l’esistenza costantemente propone, sono necessariamente chiamati ad esprimere la loro vera essenza, il loro autentico Io, per dirla ancora nel linguaggio della psicanalisi.
Catartico è un aggettivo che, personalmente, amo molto associare ad Arte, in particolare al posto dell’inadeguato e abusato attributo “bello”, che, invece, superficialmente, edonisticamente, nella vulgata è associato quale prerogativa primaria di un’opera d’Arte.
Bella un’opera d’Arte può anche tranquillamente esserlo, come tranquillamente può farne a meno, ed essere invece espressione sincera e profonda dell’identità di Uomo conscio del proprio dovere di “Essere Spirituale”, di Anima, alla quale sono affidati compiti evolutivi fondamentali.
Uomo, per me, è sinonimo di Artista, o almeno dovrebbe esserlo, per aver ricevuto il dono pieno dell’intelletto.
Un Uomo che, nel suo lavoro artistico, non ricerchi null’altro che il bello, nella migliore delle ipotesi, non può che essere un bravissimo Artiere.
Essere Uomini non è un “diritto acquisito” (come ormai usa comunemente pensare anche in ambito socio-culturale), ma – a mio modesto avviso – è il risultato di quanto (e soprattutto di come), facciamo uso della nostra prerogativa più caratterizzante: l’Intelletto, inteso nella più larga delle accezioni.
Questa mia visione dell’Essere, all’apparenza assolutamente Illuminista, in realtà lo è solo in parte, si rifà piuttosto all’assioma fondamentale che, il grande Dante Alighieri, ebbe a lanciare nel famosissimo – e mai troppo fatto nostro – 26° canto dell’ “Inferno“:
“Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”.

inferno 25 dante alighieri

Dante l' Inferno (Divina Commedia)

Da questo concetto così ben sintetizzato da Dante Alighieri, padre nobile della nostra cultura, prende le mosse la mia – modestissima – “crociata”, per tentare di demolire il radicato, magari anche inconfessato ma latente, luogo comune dell’  ”Artista maledetto”.

Questa immagine è ancor più radicata in alcuni, che facilmente si adagiano negli stereotipi, specie se riferiti all’artista moderno, figlio negletto delle avanguardie storiche del ‘900, l’artista scapestrato, che vive fuori dalla realtà o che ne viene inesorabilmente travolto.
Un Uomo che “geneticamente” non dispone dei mezzi psichici, – né tanto meno di quelli spirituali – per far fronte alle alterne vicende dell’esistenza, utile per essere messo all’indice come esempio negativo di Uomo socialmente disadattato.
Questa iconografia morbosa, sembrerebbe ben adattarsi, ad esempio, a Jackson Pollock, con i suoi problemi di alcoolismo e depressione o, magari, a Jean Michel Basquiat, con i suoi enormi problemi di inadeguatezza e tossicodipendenza che poi lo porteranno alla morte per overdose.
Questa rappresentazione superficiale dell’artista, anche e soprattutto in questi particolari casi, è enormemente sbagliata, anzi, spesso è artatamente costruita dai soliti noti: quelli che usano l’Arte per farne puro mercimonio.
Ritengo che questo modo superficiale di raccontare un artista, spesso e volentieri ha come intento un puro disegno di marketing, un fenomeno che credo di aver ben raccontato nel mio precedente articolo “Arte o Investimento“.

Jackson Pollock

Jackson Pollock

Per sostenere questa mia tesi, stavolta, voglio proprio esagerare, spararla grossa, voglio citare il Signor Michelangelo Merisi…., si…., proprio lui….., il Caravaggio.

Lui, scelto da mecenati illuminati, porporati come il cardinal Francesco Maria del Monte, nobili del nord come del sud, come il marchese Giustiniani a Roma, a Milano e Venezia.
Caravaggio come è noto, fu attivo a Roma per il principe Filippo I Colonna, a Napoli sempre sotto l’egida dei Colonna in particolare lavorando per la Marchesa Costanza Colonna, poi a Malta, dove sempre per intercessione dei Colonna, entra in contatto con il gran maestro dell’ordine dei cavalieri di san GiovanniAlof de Wignacourt, ecc.
Nella vulgata viene dipinto come un frequentatore di osterie di quart’ordine, un rissoso, un assassino, praticamente ben al di là del limite della criminalità comune, ma, riflettendoci, a voi sembra plausibile che dei principi romani si mettessero in casa una persona così pericolosa, uno squilibrato, un criminale?
Le cosiddette risse e il cosiddetto “omicidio di Ranuccio Tomassoni da Terni”, per la maggior parte non furono altro che duelli con rivali in amore.

il duello Caravaggio Tomassoni

Caravaggio - Tomassoni duello alla Pallacorda

Papa Paolo V ritratto dal Caravaggio

Proprio nel duello col Tomassoni, anche Michelangelo Merisi da Caravaggio rimase gravemente ferito.
Venne ricoverato presso l’ospedale della Misericordia (ci sono i verbali storici), dove dichiarò di essere caduto per sbaglio sulla sua stessa spada.
Non dico che questa pratica degli scontri mortali all’arma bianca fossero un comportamento particolarmente edificante, ma non si può ignorare che la condanna a morte, gli venne inflitta da Papa Paolo V, il “Papa Re” di allora, convinto sostenitore del divieto dei duelli, che a quei tempi causavano tante inutili morti, specialmente tra i giovani nobili delle famiglie più in vista.
Papa Paolo V promulgò l’editto contro i duelli, che prescriveva che giuridicamente  si dovesse considerare “assassino”, il vincitore di qualsiasi duello a prescindere dalle ragioni che lo avevano generato.

spiaggia della feniglia

Porto Ercole spiaggia della Feniglia

Lo stesso Papa Paolo V (Camillo Borghese), grande ammiratore del Caravaggio che riteneva il genio artistico del suo tempo (tanto è vero che gli aveva anche commissionato il famosissimo ritratto mostrato sopra), stava preparando la grazia per Michelangelo Merisi (o addirittura sembra l’avesse già fatta consegnare alla Marchesa Costanza Colonna), pochissimi giorni prima che il Caravaggio morisse a Porto Ercole, si narra sulla spiaggia della Feniglia.
A mio avviso, sarebbe sufficiente prendere in considerazione la raffinatezza delle opere di Caravaggio e la genialità della sua ricerca formale, per comprendere che, rappresentare il Caravaggio come un pazzo attaccabrighe criminale, sia come minimo forzato.
Per quanto mi consta, non ho molti dubbi che gli odierni “inventori di mostre” – il più possibile remunerative – puntualizzando esageratamente qualche forte “tratto umano” del maestro lombardo, gli vogliano ancora “far pagare”, per invidia (gli straordinari risultati dal Caravaggio, ottenuti facendo fruttare il proprio talento) o per semplice marketing commerciale (cercando di sfruttare l’ormai ben noto fascino dei personaggi negativi).

Basquiat con Andy Warhol

Basquiat con il suo mentore Andy Warhol

Tutto questo lungo ragionamento, ci conduce finalmente all’ argomento protagonista di questo articolo: il “Processo Creativo”, quel percorso apparentemente individuale, che, invece, attinge all’Anima collettiva, a quel “filo rosso” che ci riporta alla nostra comune, divina, origine.
Esiste si un approccio individuale (o se volete individualizzabile), che addirittura mi spingerei a definire “caratterizzante”, che porta l’artista a lavorare ad una specifica opera, con una specifica tecnica, in uno specifico momento storico.
Questo processo è determinante e, nella vita dell’artista, in genere parte da lontano.
Comincia a delinearsi pian piano, poi sempre più chiaramente man mano che l’esperienza di vita apporta il suo fondamentale contributo.
Accennavo sopra, che la mia idea di Umanità non è di derivazione totalmente illuminista come invece potrebbe sembrare al primo impatto.
La concezione illuminista, di norma, si caratterizza anche per una visione “anti-metafisica”, che invece, nel mio pensiero, non esiste assolutamente, anzi, io, nel “metafisico” intingo abbondantemente il “pennello” della mia poetica.
Portare la mia esperienza potrebbe sembrare poco rappresentativo, ma, questo genere di approccio, fu adottato anche da tanti illustri colleghi come ad esempio Leonardo da Vinci, supportato dalla sua ricerca platonica (sui solidi platonici), condivisa con fra’ Luca Pacioli alla corte di Ludovico il Moro.

Jacopo deBarbari ritratto di Frà Luca Pacioli

Frà Luca Pacioli e i solidi platonici

Alla visione “positivista” di alcuni neo-illuministi moderni – ma ancor più di tal’altri contemporanei – che fondano il loro pensiero solo sulla fenomenologia spiegabile con leggi fisiche, io, nel “mio” percorso creativo, preferisco un approccio di ben più ampio respiro, e, sicuramente tiene in conto anche variabili di natura metafisica.
Le cosiddette “Leggi Fisiche” solo apparentemente sembrano consolidate, invece, esse sono in costante evoluzione e assestamento, come largamente dimostrato dalla “rivoluzione quantistica” figlia degli studi di Einstein (appunto).
Le leggi della fisica quantistica, prima, non erano conosciute, la meccanica celeste consolidata era praticamente territorio esclusivo di Newton e Keplero, e prima di Galileo Galilei, era eresia affermare che la terra è una sfera, mentre ai nostri giorni, sarebbe eresia affermare il contrario.
Lo scienziato che si apre anche a “dinamiche percettive” in aggiunta (non in alternativa), a quelle logico/scientifiche e che non esclude aprioristicamente quelle di carattere spirituale, ha sicuramente una visione con maggiori prospettive di chi si ostina ad avere concezione ottusamente secolarizzata.
Un’impostazione maggiormente possibilista – senza arrivare alla creduloneria – dota la ricerca di un “arsenale” incommensurabilmente più ampio.
Ovviamente questo vale anche nella ricerca artistica, e, visto che l’Arte è una componente costitutiva della vita, anche quest’ultima offrirebbe in una ampiezza altrettanto incommensurabile.

essere secondo èarmenide

l'Essere secondo Parmeide

Come ho scritto in altri articoli, mi piace pensare ad un Uomo nella sua accezione più ampia, come nella visione parmenidea dell’Essere, di completezza e perfezione (almeno nelle potenzialità).
In Parmenide l’Essere è simbolizzato dalla sfera, una sfera nella quale tutto è già inscritto e, fuori dalla quale, insiste tutto ciò che non ne è elemento connaturato, immagino un Uomo che dia piena dignità alle capacità delle quali è naturalmente dotato.
L’artista al contrario di tutti gli altri professionisti, nella progettazione di un’opera (il processo Creativo è paragonabile a quello che interviene in altri contesti professionali), deve sommare l’attività creativa, a quella che conferisce al proprio lavoro l’ “alito vitale”, quel “surplus” che innalza l’opera d’Arte ben oltre un’ edonistica attuazione del puro pensiero estetico.
Il “Processo Creativo” può essere un percorso complesso, non facile da definire nei confini temporali, né in quelli esperienziali, sino a configurarsi come un vero e proprio rituale propedeutico alla creazione e/o all’elaborazione di un concetto o di un’identità artistica.
Parliamo di una fase troppo importante, fondamentale per non essere ben compresa e valorizzata e, per quanto possibile, insegnata nei licei artistici e nelle accademie.
Per quanto mi riguarda, è possibile che, dall’innesco del Processo Creativo fino al momento nel quale vedo concretizzarsi l’opera nella mia mente, trascorra anche molto tempo.
E’ come se piantassi un seme, lo annaffiassi delle tecniche che conosco, lo “concimassi” con le letture che ho fatto, con le esperienze del mio vissuto e con le emozioni che hanno attraversato la mia anima fino a quel momento.

botti e buon vino

maturazione dell'idea creativa

Dal momento che tutto questo processo è compiuto, non è detto che l’opera si “concretizzi” istantaneamente, sicuramente l’idea è pronta a maturare, ma è come un buon vino che invecchia e, solo col tempo acquisisce tutte le sue prerogative, quelle sfumature personali che, in fin dei conti, sono il suo maggior valore aggiunto.
In effetti sono in molti ad aver studiato il Processo Creativo, inteso con una accezione più estesa di modalità per l’ideazione e la realizzazione di opere d’Arte.
Come ho già affermato in un vecchio articolo del 2011 “Artista o ricercatore“, io concepisco un artista appunto come un ricercatore, concettualmente assimilabile ai ricercatori “scientifici” come quelli di ambiente universitario.
L’analisi proposta dallo psicologo ed educatore inglese Graham Wallas, autore già nel 1926 del saggio “The art of thought” (L’Arte del pensiero).
In questo testo si cerca di identificare le fasi caratterizzanti del Processo Creativo, proprio anche dei ricercatori in ambito scientifico, alla luce di quanto detto sopra è una analisi particolarmente illuminante.
Il Processo Creativo in Wallas è avvicinato anche ai contesti non circoscritti al mondo dell’Arte (contesto nel quale la Creatività sarebbe da dare per scontata).
Ormai è universalmente noto che, il massimo dei risultati nella ricerca – così come nel “problem solving” più in generale – si ottengono sommando l’intelletto (la “razionalità”), alla creatività e alle cosiddette “Soft Skills“.

Per Soft Skills si intende la miscela di conoscenze e predisposizioni istintive, con la quale si perseguono risultati progettuali ed esecutivi nettamente migliori (in quantità, ma anche in qualità), di quelli ottenuti con metodiche riconducibili a tecniche gestionali “tradizionali”.

Problem solving

Problem solving cloud

• Preparazione: questa fase prevede la raccolta delle informazioni su cui lavorare e la loro organizzazione disponendo di conoscenze sufficienti a riconoscerne attinenza e coerenza (Problem Solving).

Le caratteristiche di questa fase sono: Capacità di individuare un problema e avere l’orientamento a trovare una soluzione (le problem solving skills appunto).

• Incubazione: Fase di elaborazione mentale dei dati e delle informazioni alla ricerca di un ordine processo che si sviluppa per flussi di pensiero apparentemente disordinati (conosciuto anche come Brain Storming), che continua anche in momenti nei quali l’attenzione “cosciente” potrebbe sembrare apparentemente sospesa (come ad esempio nel sonno).
Cartesio riferì di aver intuito le nozioni fondamentali della geometria analitica in due sogni.
Friedrick Kekulé dichiarò che, grazie ad un sogno, nel quale vide atomi che danzano in un anello – l’anello benzenico – intuì la modalità di combinazione del carbonio con l’idrogeno nel benzene.

flood ark tablet

tavoletta babilonese

Hermann Hilprecht, notissimo archeologo e assiriologo tedesco, decifrò durante un sogno un’iscrizione cuneiforme babilonese – sino ad allora intraducibile – presente su una tavoletta di terracotta nella quale si narra dell’Arca di Noè e del diluvio.
Albert Einstein, a sedici anni intuì il significato della velocità della luce in taluni fondamentali processi fisici e comprese che il problema può essere risolto mettendo in discussione il concetto di tempo.
Nel 1915, mentre lavora a tempo pieno all’ufficio svizzero dei brevetti, concepì la universalmente nota teoria della relatività generale.

• Illuminazione o insight: l’intuizione, spesso istantanea, della soluzione cercata.
Sembra nascere in modo istintivo, spesso arriva in concomitanza con una forte emozione e molto spesso è completamente diversa dalle soluzioni valutate precedentemente.
Wallas in effetti avrebbe inquadrata anche una ulteriore fase, l’ Intimation, che però, non sempre è presente e può essere pensata come una pre-fase, con l’insorgere della sensazione di avere imbroccato la via giusta unita ad una eccitazione crescente che, a volte, può precedere l’insight.

• Verifiche: prove, messe a punto e formalizzazione.
Il metodo scientifico prevede la “formalizzazione” di una scoperta attraverso un’ampia documentazione, ribadita se possibile da una serie di assiomi inequivocabili.
Einstein a chi gli chiedeva come approcciasse a concetti così lontani da una logica intuitiva come quelli sui quali incentravano le sue teorie, diceva: … “è molto raro che io pensi con parole. Mi balena il pensiero, e solo più tardi posso cercare di esprimerlo…Naturalmente, questo senso, spinge in una direzione precisa, c’è sempre qualcosa di logico; ma per me, si presenta sempre…. visivamente.

Albert Einstein

Albert Einstein

E’ evidente che, il Processo Creativo, è un’alternanza tra logica e intuizione in una miscela sempre differente da persona a persona, lavorando su differenze, suggestioni, metafore e quindi con difformità evidenti nei risultati, anche direttamente dipendenti dell’esperienza personale (materiale e spirituale) acquisita.

Eindhoven e Vinacke nel 1952, giunsero alla conclusione che siano da definire fasi un po’ diverse per definire l’attività creativa degli artisti, puntualizzando soprattutto che, esistono notevoli differenze nel Processo Creativo riconducibile ad artisti giovani, messo a confronto con il percorso attuativo preferito da artisti più “esperti”.
L’esperienza, può essere sintetizzata dal neologismo anglofono “saissement”: quella differenza nel percorso di vita – in positivo o magari in negativo – che, porta l’artista a diventare più recettivo alle percezioni mondane o magari più sensibile al trascendente.
Il saissement, nel corso del tempo, è stato ricercato anche in forma consapevole, oserei dire scientifica, anche passando per le vie brevi.
Si sentiva spesso (e purtroppo si sente ancora), parlare di artisti dediti ad eccessi e forzature di vario genere (alcool, droghe, sesso, satanismo, ecc.), tanto che, si diede la stura ad esperienze come il movimento “psichedelico” della prima ora, figlio anche dell’uso dell’ L.S.D. (l’acido lisergico), tristemente noto per le conseguenze dirompenti, e talvolta permanenti sulla psiche di colui che lo assumesse.

Segale Cornuta

La segale Cornuta

Il Movimento Psichedelico, fu un movimento culturale che prese le mosse negli Stati Uniti e che, si consolidò in seguito anche in Europa, mutuando attività tipiche delle esperienze sciamaniche degli “Uomini della Medicina”, caratteristico della cultura dei nativi americani (ma presenti anche in particolari etno-zone dell’Asia e dell’Africa).
Le cerimonie messe in atto dagli “Uomini della Medicina”, avevano l’obiettivo di indurre (o meglio auto-indurre), il cosiddetto “Viaggio sciamanico” .
Il viaggio sciamanico, era ricercato con danze rituali ossessive o più spesso con l’uso di sostanze psicotrope di derivazione naturale.
Queste cerimonie rituali, prevedevano appunto l’uso (l’assunzione) di tuberi, erbe e funghi, contenenti sostanze atte a facilitare uno stato di coscienza alterato, tra le quali ad esempio la “Segale Cornuta” (Claviceps Purpurea), una delle fonti naturali di ergotamina  (o meglio del sale tartrato dell’ergotamina), dalla quale gli sciamani (grandi esperti di erbe, piante, e proto-chimica), sono in grado di sintetizzare l’Acido Lisergico naturale (L.S.D.).
Purtroppo, questa sostanza, venne poi prodotta chimicamente in disponibilità e concentrazioni micidiali, in preparazioni contenenti principio attivo di enorme potenza, soprattutto se confrontato con il prodotto naturale.
La concentrazione di principio attivo, unito alla mancanza di dimestichezza e basi sperimentali serie sulle dosi di somministrazione, produssero i disastri che tutti ben conosciamo, e che ancora ben ricordiamo.
Queste esperienze estreme di coscienza alterata, purtroppo, portarono alla pazzia e alla psicosi irreversibile milioni di persone.

Giovani Hippy

Giovani Hippy

Io stesso ricordo bene quando a Roma nel 1972 (avevo intorno ai 13 anni), a Villa Doria Pamphilij – il parco più grande di Roma, esattamente di fronte a casa mia – dove io andavo a giocare con gli amichetti, e, dove si tenne un famosissimo “Festival Pop/Rock” (noto anche come “la Woodstock di Roma“), al quale parteciparono gruppi musicali e grandi artisti che, all’epoca, avevano già fatto la storia della musica.

Era appunto il giorno dell’esibizione dei “Soft Machine” uno dei maggiori gruppi di rock psichedelico insieme ai Pink Floyd di “Ummagumma“, era una bella serata d’estate, vidi un ragazzo, vestito da Hippy (come usava molto tra i giovani dell’epoca), seduto a braccia conserte, rivolto a sud, verso il tramonto del sole.
Mi colpì particolarmente perché oscillava ossessivamente, avanti e indietro, come in un rituale saluto al sole.
Vicino a lui un altro ragazzo che lo guardava, gli parlava, mentre lui continuava ad oscillare, mentre noi ragazzini continuavamo a giocare.
Solo in età più adulta scoprii che, quel secondo ragazzo, era l’accompagnatore nel “viaggio lisergico”, che come era d’uso, aveva il compito di assistere il “viaggiatore”, che aveva assunto “l’acido” per confortarlo e cercare di ricondurlo alla realtà, in caso avesse subito allucinazioni incontrollabili e sconvolgenti (niente affatto rare con l’Acido Lisergico).
Purtroppo il ricordo non finisce qui, alcune ore dopo, ridendo della insolita situazione – come solo dei ragazzi inconsapevoli possono fare – ci avviammo verso le rispettive case per la cena accorgendoci che il ragazzo a braccia conserte che continuava ancora, ossessivamente ad oscillare.

Pineta Villa Pamphilij

La pineta di Villa Pamphilij

Meno risibile fu la situazione che ritrovammo nel pomeriggio del giorno dopo, quando, tornando a giocare nello stesso luogo al limitare della pineta di alberi secolari, vedemmo il ragazzo vestito da hippy nello stesso identico posto, che continuava ad oscillare verso il sole.
Il sole era tramontato e poi nuovamente risorto e di lì a qualche ora sarebbe nuovamente tramontato.
Mi resi anche conto che l’accompagnatore non era più li – probabilmente vinto dalla sete, dalla fame, dall’umido della notte – invece, il “viaggiatore”, immerso nel loop cerebrale che l’acido gli aveva lasciato attivo, era rimasto ancora lì.
Ricordo chiaramente l’angoscia che mi pervase, quando, ormai a sole nuovamente tramontato, avviandoci verso casa, lasciammo il ragazzo hippy a dondolarsi, verso quello che, ora me ne rendo bene conto, era ormai il nulla.
Probabilmente dondolava nel buio della sua mente, il buio che seguiva gli sfolgoranti caleidoscopi che, come è noto, si susseguivano senza soluzione di continuità nella mente di chi assume l’ L.S.D.
Il peggio venne all’indomani, tornando al solito posto per far volare gli aquiloni – non c’erano le Playstation allora – e, il ragazzo hippy non c’era più.
Ebbi la chiara percezione che fosse volato via anche lui, come un aquilone legato male (allora gli aquiloni ce li costruivamo da soli).
Ricordai la profonda tristezza di quella sensazione, lungamente, negli anni a seguire, continuai a viverla in lunghi e strani sogni, fino a quando, finalmente, i sogni erotici tipici della pubertà e le belle ragazze sostituirono le immagini di quel vallone di villa Pamphilij, pieno di prati verdi illuminati dall’oro del tramonto.

arte psichedelica

Tipico esempio di arte psichedelica

Queste esperienze di ricerca artistica estrema, vennero tentate da molti famosi gruppi musicali, arrivati poi alla fama globale (come appunto i Pink Floyd, i Doors, o i Soft Machine), esperimenti talvolta riusciti dando luogo ad album leggendari, talvolta, riusciti molto meno, infatti il ragazzo hippy non fu nè il primo nè l’ultimo a volare via come un aquilone.

Quelle esperienze a volte tragiche, furono un tentativo rimuovere le sovrastrutture e i vincoli psicologici che spesso e volentieri impediscono e/o limitano la generazione e la fruizione dell’Arte nella sua essenza, quella che insieme a voi, sto cercando in questo blog.
Ho citato ciò che avvenne nella musica, ma anche in altre forme di Arte, compresa la pittura (si pensi all’Arte Psichedelica) che nella San Francisco dell’epoca, trovò il centro mondialmente riconosciuto.
Stati emotivamente alterati, per essere più chiari, sono stati cercati anche con sollecitazioni estreme di natura diversa da quelle indotte dalle droghe pesanti.
Furono cercati gli stimoli di natura psicologica estrema, come l’immersione totale nel silenzio, quelli da sollecitazioni fisiche estreme, come l’astinenza da bisogni umani essenziali (astinenza dal bere, dal mangiare, dal sesso ecc.), o sollecitazioni di tipo “meccanico”, come l’immobilità prolungata (Yoga o meditazioni prolungate) o al contrario con cinèsi estremizzate (movimenti ossessivi ripetuti e prolungati), come ad esempio nelle danze dervisce o nella meditazione Kundalini proposta da Osho Rajneesh.

Osho

Osho Rajneesh

Per quanto mi riguarda, mi rendo conto che molti fruitori, cosi come purtroppo anche molti artisti (o presunti tali), vivano l’esperienza dell’Arte, filtrata attraverso una serie di sovrastrutture socio-culturali, prima fra tutte quella Estetica, in una sorta di “edonismo culturalista”.
Parimenti, mi rendo conto che però per rimuovere quelle sovrastrutture, non è necessario ricorrere a metodiche tanto estreme quanto inutili e conseguire i benefici psico-spirituali dell’Arte.
Con il neologismo di “edonismo culturalista”, definisco l’attuale tendenza della fruizione di Arte nella più assoluta superficialità, l’esatto contrario della sua natura fondante.
Questa modalità scellerata che sempre più mi è dato di vedere, vede una mostra, un teatro o un cinema, alla stregua di una “happy hour”, come si trattasse di un qualsiasi aperitivo, e, devo confessare che mi è giunto più di un invito a manifestazioni di questo tenore, come fruitore ma anche come Exibitor, ma ho sempre puntualmente e convintamente rifiutato.

Andare per mostre è divenuto un “Must” irrinunciabile, insieme a tanti altri, in particolare, questo è vero nel “cluster” socio-culturale emergente (mi scuso per il rigurgito di linguaggio da “marketer” che, ogni tanto, riemerge dal mio passato da pubblicitario).
Questa parafilia verso l’arte “in pubblico”, quasi come fosse un “plus” da esibire, ed essere riconosciuti e accettati in una “Élite sociale differenziale”, ovviamente migliore rispetto alle classi incolte.
Non è un bello spettacolo (almeno per me), vedere gente che ad una mostra, parla bellamente con il proprio accompagnatore degli “affari propri”, scorrendo tra i lavori in esposizione, dando distratte e fugaci occhiate verso i lavori, che, magari, sono frutto di enormi sforzi creativi e di dolorosi investimenti emotivi.
Io li chiamo “Quelli del bello”, comprano il catalogo, chiedono il programma dell’evento, il libretto del concerto (che testimonia la partecipazione) e commentano per superlativi (bellissimo, interessantissimo, bravissimi…).

Vernissage

Vernissage, ovviamente nessuno guarda le Opere

Questa “supervalutazione”, non serve a valorizzare ciò che hanno visto in mostra, o la “pièce” o il concerto al quale hanno assistito, ma sottintende un rafforzativo di valore della propria partecipazione, della propria scelta culturale.

L’insight (l’ispirazione), è comunque una dinamica mentale (io aggiungo spirituale), piuttosto misteriosa e complessa.
Il Processo Creativo, probabilmente, può essere rappresentabile come una struttura frattale, nella quale, una scelta creativa, si situa all’ interno di un’altra e all’ interno della quale se ne situa un’altra ancora, che a sua volta ne contiene un’altra identica alle altre – anche semplicemente come struttura – che all’interno, è costituita da altre strutture identiche in una dinamica ricorsivamente  iterata, e, così via, costituita da altre scelte creative iterate nella struttura generale, che ne contiene altre ancora,  e così via tendendo all’infinito, come avviene appunto in un frattale.
Questo modello di rappresentazione di particolari funzioni matematiche, profondamente iterate (riscontrabili anche in natura come ho ampiamente descritto nel mio precedente articolo “Arte e matematica”,

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sono stati studiati e approfonditi dal matematico Benoit Mandelbrot e che, allo stato, è la rappresentazione logico/matematica che più ci avvicina alla rappresentazione del concetto di CAOS.

CAOS è un concetto che spesso concepiamo come casuale, che invece è probabile possa avere una dinamica para-casuale (simile cioè alla funzione “RANDOM“, un algoritmo implementatato in tutti i microprocessori.
Decrittata quindi la dinamica “caotica”, riusciremmo a dare un senso logico anche a dinamiche fisiche (e non solo), solo apparentemente casuali, facendoci fare uno scatto in avanti nella progettazione in generale (quindi anche in quella Artistica) essendo consapevoli di dinamiche attualmente indecifrabili.

frattale di Mandelbrot

frattale di Mandelbrot

Sia gli studiosi del Processo Creativo e le persone che hanno avuto esperienza di intuizioni creative, concordano che la capacità di visualizzare strutture logiche complesse e/o di pensare per immagini (le immagini sono il codice psichico più denso e immediato), presentino la vera caratteristica identificativa dell’essere umano.
Questa modalità di comprensione evoluta non è riscontrabile in altri animali che non siano dei primati, che – uomo a parte - ne presentano solo piccoli accenni (come ad esempio riconoscere un proprio simile in una immagine), ma non hanno piena percezione di se nella propria immagine.
Non è un caso che si usi il termine “immaginazione” intendendo la qualità primaria di coloro che riescono a pensare per immagini mentali, infatti, gli Artisti, sono accreditati dei massimi livelli di immaginazione, in quanto, oltre a pensare per immagini, a queste, riescono a dare concretezza formale rappresentativa.
Immaginazione e creatività in genere sono intese come sinonimi, ma la creatività è il processo di unire elementi tramite connessioni logico/rappresentative (mappe mentali) innovative, che spesso prevedono il superamento di regole e status quo, come nel caso della rappresentazione artistica “cosiddetta” astratta, che mantiene collegamenti con il concetto (magari semplicemente in forma emotiva o emozionale), che l’artista “sente” di voler comunicare.

Vassili Kandinsky

Vassilij Kandinsky: Astratto niente affatto astratto

Nel Processo Creativo si uniscono disordine ed ordine, paradosso e metodo.
Come spesso ho detto su “Sculturaecultura“, queste capacità sono insite in ogni Essere umano, ognuno di noi le può adoperare a patto che, come in ogni forma di competenza, ci si impegni a svilupparla, come si afferma molto chiaramente – e da persona ben più illustre di me – anche nella famosa “Parabola dei Talenti” (cfr. Matteo 25,14-30), che, se a qualcuno interessa, a questo link può trovarla – meravigliosamente – spiegata da un fine teologo come S.S. Benedetto XVI.
Ogni giorno dovremmo riservare del tempo per pensare, per sognare, per immaginare, dovremmo consentire al cervello di metabolizzare tutto ciò che gli viene dato in pasto, di rielaborarlo sotto nuove forme e come ho detto sopra, come se si trattasse della documentazione di una ricerca, imparare a valorizzarla, a trasmetterla e magari ad insegnarla, insomma, un classico “Processo Creativo”.
Tutti abbiamo la possibilità di essere creativi, la creatività introduce nelle nostre azioni la nostra identità, possiamo, anzi ne abbiamo il dovere morale (ma anche quello sociale), soprattutto se vogliamo portare un nostro personale contributo ai valori di questa Umanità.
Questo genere umano che appare sempre più egoista, o per meglio dire “egoico”, in virtù dell’accezione narcisistica che in questo sinonimo possiamo ritrovare.
A nessuno è preclusa questa opportunità, così appagante ai livelli più profondi dell’essenza Umana, ma chi proprio non trovasse questa prerogativa in se stesso, può attingere alla funzione “sacerdotale” ricoperta dall’artista, come ho tentato di ben illustrare in un mio precedente articolo.
Un Processo Creativo si impernia quindi su pochi ma fondamentali cardini, e, prende le mosse dall’ispirazione, e si conclude con la Produzione.
L’ispirazione, che sembra essere molto difficile da conseguire e che invece è ovunque, basta guardarsi attorno, basta saper ascoltare, saper vedere, leggere, ascoltare, esplorare la Natura, comprenderla nella sua perfezione, insomma semplicemente Vivere, e non è un caso se scrivo in maiuscolo questa parola.

Ma l’ispirazione può arrivare anche da quanto l’uomo ha prodotto nei millenni, è sufficiente lasciare aperta la porta dell’intuitività.
Ma è da qui che ci si rende conto che siamo di fronte ad un vero “Processo”, infatti, l’intuizione non va subito tradotta passando alla Produzione.
Un’opera d’Arte va elaborata e rielaborata mentalmente (e spiritualmente), sino a quando in noi non diventa talmente definita da “essere” reale.
Una volta che questo “pensiero concreto” entra nella “realtà speculare” della nostra anima (che come sopra già ho detto), è a sua volta “specchio di Dio e dell’Universo”, necessita soltanto di essere messa in pratica, nella tecnica (o mix di tecniche), che si ritiene più adatta.
Si scelgono i materiali più attinenti, ci si pone nello stato mentale più giusto per questo “viaggio cosmico”, dove “cosmo” deve essere inteso nel suo significato originario – dal greco “kosmos”: “ordine”.
Per ordine, si intende il luogo/non luogo, dove tutte le cose sono al loro posto, per chi ci crede, al posto che Dio gli ha assegnato.
Tutto questo evidenzia l’importanza dell’affidabilità dell’artista, la sua onestà intellettuale, perché non si può non tenere in conto il reale impegno nella ricerca, per quanto sopra ho faticosamente descritto.
Purtroppo tanti lavori, spesso quelli più ruffiani, che, magari con particolari scelte estetiche, assecondano l’indole del fruitore, gli strizzano l’occhio semplicemente con un malcelato approccio commerciale, una forma di “Captatio Benevolentiae” che non si fonda certo sulla concretizzazione di una ricerca schietta e aperta, ma piuttosto sulla bieca facilità di vendita.

Talvolta questo accade per scelta deprecabile dell’artista, ma ancor più spesso, avviene per spinta del suo gallerista.
Il gallerista, inteso quale anello primo della catena commerciale, talvolta, arriva ad indurre nell’artista una tristissima “cristallizzazione” del Processo Creativo, facendolo concentrare su un “filone” di lavori che magari ha conseguito un buon successo commerciale.
Come più volte ho ribadito, anche qui su “Sculturaecultura”, non ho nulla contro la “cessione onerosa” di Opere d’Arte, ma troverei più giusto che l’acquirente possa pensarla come sostegno al lavoro di un artista che si sente vicino, piuttosto che un mero atto di acquisizione della proprietà.
Questo senso di vicinanza, questa empatia che si percepisce con l’artista, spesso e volentieri, è proprio figlio di quell’operare in forma sacerdotale, sciamanica, che l’artista attua “in nome e per conto”.
Ne ho scritto esaustivamente nell’articolo “Arte o Investimento” e in altri articoli sul “Valore dell’Arte“. Se quella “commerciale” diviene la motivazione primaria, possiamo immaginare quanto tutto possa essere mistificante, specialmente se messo in atto con il solo intento speculativo, privando quindi l’opera di ogni valenza spirituale.
In più di un’occasione, ho cercato di portare alla vostra attenzione, proprio questo comportamento “arimanico” – per usare una terminologia Zarathustriana cara a Nietzsche e a Leopardi (Inno ad Arimane 1833, testo incompiuto: “Re delle cose, autor del mondo, arcana Malvagità, sommo potere e somma Intelligenza, eterno Dator de’ mali e reggitor del moto) -
Arimane “re delle cose” come lo definisce Leopardi in incipit, può essere inteso come la componente satanica tipica del materialismo, ed ecco che risulta chiaro che, il “culto del materiale” che non è certo marginale nelle dinamiche del mondo dell’Arte, basti pensare a molte forme di collezionismo basate prevalentemente sull’accumulo più che sui contenuti ricercati dagli autori.
E’ importante mantenere un filo diretto con l’artista, a maggior ragione, visto che i “canali” che portano al pubblico il lavoro degli artisti sono in mano a pochi “eletti”.

E’ fondamentale mantenersi al di fuori da logiche collezionistiche (attività talvolta malate, in quanto spesso mosse da una logica del possesso), modalità di acquisizione altrettanto negativa quanto quella puramente edonistico/estetica per non parlare di quella ridicola dell’investimento.
E’ importante sostenere maggiormente l’artista puro (se vogliamo purista), perché è un Uomo che queste logiche arimanico/materialiste le rifiuta per costituzione, quando costui lavora a un’opera teatrale o scrive poesie o compone un brano musicale, potete star certi che ci crede al punto da sentirlo come un’atto eroico, un dono al mondo prima ancora che a se stesso come è giusto per colui a cui iene concesso il sacro dono dell’Arte.
Purtroppo, esistono invece “personaggi” – che non voglio chiamare artisti visto che ne sono la chiara antitesi – che lavorano solo per se stessi e/o al massimo per i critici o per il gallerista, e questo,non è sentirsi un telescopio puntato verso la luce in fondo all’universo.

universo

Scrutare in fondo all'Universo

Questo tedioso argomento mi piace sempre porgerlo quale oggetto di riflessione, ma il suo approfondimento è stato, e sarà, senz’altro, tutto un altro articolo.

di

Francesco Campoli

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Arte e Scienza

Posted in Filosofia dell'arte on giugno 2nd, 2014 by Francesco

di Francesco Campoli


Come è d’uopo inizio sempre ogni articolo su “Sculturaecultura” con un “incipit“, un “cappello” teso ad indurre interesse sull’argomento che con l’articolo intendo condividere.

Mi sembra ormai inutile ribadire l’intento “maieutico“, che più volte ho dichiarato apertamente, sapete tutti che è praticamente ingenito in ognuno dei miei scritti su questo blog.

busto di socrate

busto di Socrate al Louvre

Ma l’obiettivo fondante è sempre e comunque cercare di costruire un’ opinione condivisa, cosciente dell’intendere il concetto di Arte, nell’auspicio che sia la meno “conformista”.

Questo “ambizioso” progetto appare ogni giorno di più un’aspirazione utopica dal momento che, è proprio il conformismo lo stato d’animo più comune nell’esprimere opinioni su questo dibattuto argomento, purtroppo sempre più frequente.
Anche a fronte di un’ apparente, generale, crescita d’interesse – non foss’altro a giudicare dalle file per accedere alle mostre più in voga – questa apparente contraddizione, a mio avviso è indice invece di un fenomeno ben preciso, rilevabile purtroppo anche in molte altre attività sociali proprie di questa nostra decadente società.
Crearsi una opinione propria, difenderla anche da linciaggi “apparentemente” autorevoli, (quello di taluni critici ad esempio), non è certo l’approccio più comodo.
Conformarsi è meno “emotivamente dispendioso”, è più facilmente accettato dalla “massa” a dispetto dall’ allure intellettuale delle attività a sfondo artistico, generalmente intese come elitarie.
L’ utilizzo della parola “massa” – che non a caso ho virgolettato – parrebbe ingiustificato se applicato al mondo dell’Arte, è invece divenuto un termine giustificabile, dal momento che “essere interessati all’Arte”, è ritenuto un comportamento socialmente qualificante, dal quale non si può più prescindere pena l’autocollocazione in un “cluster sociale” vicino all’emarginazione.
Dichiarare di aver visto la mostra del momento, deve necessariamente accompagnarsi all’aver visto l’ultimo film di tendenza, all’ aver letto il più recente degli “Istant Book” o all’ aver presenziato al concerto del momento.
E’ in quest’ ottica piuttosto superficiale, “edonista“, che sorgono molti degli equivoci di fondo – come ad esempio, che Arte e Bello siano sinonimi, equivoco che su “Sculturaecultura”, sin dai primi articoli, ho ampiamente stigmatizzato.

statistiche sculturaecultura

Statistiche di Sculturaecultura

Dai riscontri che ricevo, (circa 3.000 visitatori unici al mese su questo Blog), la necessita di far luce sul concetto di Arte appare piuttosto sentita, non foss’ altro in virtù della particolare condizione socio-economica che stiamo vivendo.
Lo status quo della nostra struttura sociale “scricchiola”, sollevando inesorabilmente pesanti dubbi esistenziali e, costringendoci, volenti o nolenti, a cercare nuovi e più cogenti punti di riferimento.
Il disastroso contesto di crisi che attraversiamo da almeno cinque anni – figlio del crollo delle “certezze” economiche quale incongruo surrogato della “compiutezza dell’ Essere” – aveva visto eleggere a Moloch il “Dio Danaro”.
Si è creato un “idolo” trasversale anche alle “classi sociali”, (definizione che se accettata, di per sè configura una partizione in senso economicistico dell’Umanità), un idolo al quale sacrificare la maggior parte della propria Etica e della propria Morale, nella vana speranza di felicità su questa terra, anche a dispetto del resto del genere Umano.
Il crollo di questa effimera certezza, ogni giorno più conclamato ed evidente, ha generato e continua a generare in molti, la necessità di ridefinire radicalmente il proprio “Panel valoriale”, talvolta, con l’istituzione di altri Moloch, magari a sfondo paraspirituale (es. quel fenomeno conosciuto come “new age“), che assume forme sempre più radicali, configurandosi talvolta in una insana “voglia di credere“, da qui, anche il fenomeno in grande espansione delle “Leggende Metropolitane“.

morbo di morgellon

Le cosiddette scie chimiche

Storielle e/o panzane, anche delle più fantasiose (per non dire cervellotiche), vengono accettate con atteggiamenti di creduloneria sconcertanti, come purtroppo abbiamo avuto modo di rilevare anche tra molti eletti in parlamento.
Ridefinire i propri valori è sempre un’ operazione enormemente complessa, talvolta dilaniante come i molti suicidi dei quali abbiamo sentito riferire, quasi quotidianamente, sugli organi di informazione.
Questo genere di accadimenti, tristemente, testimoniano che questa “rivisitazione” obbliga ad attuare un analisi a posteriori della propria esperienza di vita, degli obiettivi raggiunti e/o mancati non sempre è affrontata nella chiave giusta.
Tornare analiticamente sui sui propri passi esistenziali, è un’attività che necessita sempre dell’uso della logica, una ferrea, consolidata logica, non sempre patrimonio intellettuale di tutti, magari provati da esperienze inaspettate e con la prospettiva di un “domani”, che, obiettivamente, appare tutt’ altro che dorato e ancor meno facile da prevedere nei suoi futuribili assetti.
Il positivo però esiste anche in questo sconcertante scenario: diviene naturale cercare un modo di “far luce” sul Kaos che quotidianamente ci si presenta davanti, una confusione magari amplificata anche dal pressapochismo (o dalla malafede) dei molti, che a vario titolo, propongono la personale, salvifica, ricetta (ogni riferimento ai populisti che vanno per la maggiore non è assolutamente non casuale).

albero del Budda

l'albero del Budda

Moltissime di queste “ricette”, che tutto prevedono forchè la necessità di sederci sotto al grande albero (come fece anche il Budda) a cercare attentamente nella nostra anima (la piccola scintilla di universo che tutto contiene), quella luce necessaria ad illuminare finalmente l’impervia strada rappresentata dal nostro incerto futuro, proprio come in un uno scenario neo-illuminista, che però beneficia dell’ evoluzione in scienza e coscienza, che la società e l’individuo hanno avuto dai tempi di Kant.
L’ Arte, a mio modesto avviso, può essere avvicinata, metaforicamente, al grande albero di buddista memoria, arte che finalmente, possiamo comprendere nella sua reale funzione.
Arte non è “rappresentazione della realtà” (Arte Mimetica), ma il contrario, e il mezzo per svincolarci da essa in senso spazio/tempo/cognitivo, anche perchè un approccio maggiormente spirituale, evidenzierebbe che la “cosiddetta realtà” è tutto, forchè reale.
L’ incontro dell’Uomo con l’ Arte, deve essere pensato come una attività biunivoca, al contrario della consueta modalità fruitoria, sostanzialmente a carattere passivo, che non rende l’Essere parte attiva in quella che sopra, non a caso, ho definito “liturgia”.
L’Arte “Catartica”, rituale, nella cui liturgia  l’Artista non è il “sacerdote”, ma che come spesso ho detto, deve rappresentare il “ponte”, il costruttore di Link assoluti con l’essenza di universo che è in noi, che ci avvolge e ci comprende quale elementi costitutivi, nella più piena visione Parmenidea.

Parmenide di Elea

Parmenide di Elea

Questo “incipit”, che ormai tende ad includere l’intero articolo, più che un “Teaser” (riemerge  il mio passato di pubblicitario), vuole lasciar intuire l’estensione della tesi complessa, l’ impervio confronto (Arte e Scienza) che ho scelto come argomento di questo articolo.
Il titolo di questo articolo, appare quasi come un “ossimoro“, una apparente, provocatoria, “contraddizione in termini”.
Come spesso ho ribadito nei miei scritti precedenti, l’uso della euclidea “reductio ad absurdum“, è il metodo dimostrativo che tra tutti mi è più congegnale.
E’ facile comprendere che desidero dimostrare che questa apparente contraddizione, in realtà, non esiste, che semmai, invece di un confronto, Arte e scienza, sono utili se viste come frecce nella stessa faretra, strumenti per l’acquisizione di una piena “Coscienza”.
Ma purtroppo anche questa purtroppo è una parola abusata e magari anche mal’usata.
L’abuso di un termine, rende consueto il suo uso, e tutto quello che è consueto è “scontato”, rende apparentemente inutile una attensione semantica verso quell’espressione.
In realtà la sua etimologia (con-scienza), chiarisce molto intuitivamente il suo reale significato, sarebbe da intendere  appunto nella sua accezione “neo-illuminista” alla quale sopra accennavo.
L’intento retrocognitivo della reductio ad absurdum, pur sussistendo, deve rappresentare un modo efficace di perseguire una reale consapevolezza nell’interlocutore , una piena “coscienza” appunto.
Quanto anticipato nel lungo incipit, in realtà, vuole essere il primo passo di una immodesta speculazione filosofica, ben più articolata che quindi, per essere plausibilmente prospettata, richiedeva quanto esposto in antefatto.
Il superamento dell’ Arte in quanto rappresentazione della realtà, è un punto fermo di tutto il ragionamento (e forse anche dell’intero Blog) – non è un caso che siamo nella categoria del blog che ho chiamato “Filosofia dell’Arte” – questa è una categoria che ho creato proprio perchè per quanto mi concerne, tra le due “discipline”, vedo moltissimi punti di contatto, anzi, le vedo spesso compenetrarsi rispettivamente.
Ogni scienza, portata ai suoi livelli estremi, assume caratteri di filosofici e dando per dimostrata la vicinanza tra Arte e Filosofia, ecco, che ci siamo avvicinando a grandi passi verso il dichiarato obiettivo (rischiando di cadere nel più classico dei sillogismi paradossali).
Un esempio che ho già portato in uno degli articoli di maggior successo: “Arte e matematica” si può trovare nella “Sezione aurea”, o anche nella Sequenza di Fibonacci della quale contestualmente ho discettato ampiamente.

Pentagono sezione aurea

La sezione aurea nel pentagono regolare

In un altro mio articolo precedente:  “Arte contro tecnica“, cerco di mettere in risalto le “colpe” del nostro “Sistema formativo” in generale, ed in particolare quello delle Scuole d’ Arte, dei Licei Artistici e delle Accademie di belle Arti.
L’enorme mole del programma di “Storia dell’Arte” distoglie i docenti dall’ obiettivo formativo originario, la generazione di nuovi “Creatori” d’ Arte.
Salvo rari e particolari casi, tutto l’iter formativo verte intorno ad un intensivo bombardamento dei discenti a base di Tecniche – antiche e moderne – e su un recursivo ripercorrere la nostra “Storia dell’ Arte”, non evidenziando chiaramente la chiave di lettura “storica” di quanto presentato.
Si  continua a creare l’equivoco che la vera Arte, sia praticamente sempre riferibile ad un qualcosa di antico, e che l’approccio dell’artista moderno e contemporaneo, sia solo un disperato tentativo da parte di “operatori” tecnicamente inadeguati.
Passa facilmente il concetto che, non potendo competere con la bravura tencica dei loro predecessori storici, essi si arrabattino a cercare uno spazio in un alveo ormai definitivamente colonizzato da “quelli classici” tentando pratiche non ortodosse, velleitarie.
Nella testa dei futuri artisti (e purtroppo anche di molti futuri critici (molti dei quali purtroppo sono ormai “attuali”, si è creata l’errata convinzione che l’unica Arte sia quella che caratterizzante il nostro illustre passato.

Quadro di antiquariato

Quadro di antiquariato

Tanto per essere chiari, qui ribadisco – repetita juvant – che “non è l’antico che fa necessariamente Arte”, anche perchè, la parola antico (come anche moderno), è relativa ad una collocazione temporale e di conseguenza ad un determinato contesto socio-culturale (Es. “Il Risorgimento”), ogni epoca poggia su un contesto socio-culturale le cui dinamiche lo caratterizzano anche sotto l’aspetto della percezione valoriale ed estetica.

In effetti di Arte ancora più “antica” della nostra – così come tecniche artistiche nettamente alternative alle nostre – e radicate in dinamiche socio-culturali completamente diverse dalle nostre (ne parlo ampiamente nel mio precedente articolo “Arte e Antropologia“), ne esistono veramente a volontà.
Risulta evidente quindi che, per evolvere come artisti è necessario liberarsi dal “pantano” (mai definizione fu maggiormente ingiusta), della nostra “Estetica Decadente”.

la pittura del canaletto

la pittura del "Canaletto"

Non vi è dubbio che l’Arte di Raffaello, di Leonardo, come quella prima di loro di Giotto e senza potersi concedere dall’escludere, il Caravaggio, il Tintoretto, Tiziano, Pietro da Cortona, scultori come Bernini, Canova e di nuovo Michelangelo Buonarroti medesimo (e mi fermo solo per un’ ovvia ragione di spazio), fù  una meravigliosa finestra, affacciata su un meraviglioso panorama, ma che purtropp, ora, impedisce spesso a molti di noi italiani il “guardare oltre” l’orizzonte davanti ai nostri occhi.
Si inibiscono i nuovi artisti, che se non sono delle identita volitive, fanno fatica a guardare verso quell’infinito, vero obiettivo dell’ Artista schiettamente inteso.
Questa mia apparentemente “sacrilega” ma ben radicata convinzione, per fortuna non è solo mia – come invece verrebbe naturale di pensare – ma è confortata da molti altri artisti che fortunatamente ho avuto modo di conoscere, dei quali, fortunatamente ho avuto modo di ascoltare personalmente l’opinione.
L’ultima che ricordo – solo in ordine di tempo – è riferibile ad un mio carissimo amico, con il quale ho avuto il piacere di cenare poco prima delle recenti festività: mi riferisco al pittore Giuseppe De Matthaeis,

il Pittore Giuseppe de Matthaeis

il Pittore Giuseppe de Matthaeis

classe 1946, allievo di Guttuso e Mazzacurati all’Accademia di belle Arti di Roma, che nelle nostre infinite e spesso – purtroppo – notturne  discussioni sull’Arte, sulla origine creativa dei sui suoi vecchi e nuovi lavori e delle rispettive esperienze creative.
Giuseppe mi racconta che solo ora, alla splendida età di 68 anni (vista la forma e l’energia che ancora possiede), comincia a liberarsi dei pesanti condizionamenti, generati in lui dalla frequentazione dell’Accademia di Belle Arti.

- La Partita - Giuseppe de Matthaeis

- La Partita - Giuseppe de Matthaeis

Stiamo parlando comunque di un professionista che ha frequentato l’Accademia in tempi nei quali l’anticonformismo veniva agitato come una bandiera di libertà, ed i professori erano del calibro di quelli sopra citati.
Figurarsi ora, epoca nella quale il conformismo e l’omologazione sono religione per molti di coloro che si formano nelle strutture statali di formazione artistica.
C’è da dire che per molti, questo trend delle “Post Avanguardie”, rappresenta l’unica forma di” Identità Artistica” alla quale si sono riusciti a ricondurre.
C’è chi “rinnega” il secolo appena trascorso e le sue “evoluzioni/rivoluzioni”, ricacciandosi mani e piedi legati, alla suddetta Arte “Mimetica” (di maniacale imitazione della natura).
Sto parlando ovviamente dei “Neo-Iperrealisti” che ripercorrono malamente (in quanto ritardatari e quindi anti-creativi), la strada degli Iperrealisti come John De Andrea, che a mio avviso, già erano discutibili nel post “Pop Art”, figuriamoci ai nostri giorni.

de andrea

"Susan" di John De Andrea

Il mio provocatorio paragone tra Arte e Scienza, che come spero di aver dimostrato in quanto le ritengo entrambe “figlie della ragione”,  è meno velleitario di quanto potesse sembrare ad una prima analisi.
Magari pensando ad una ragione intesa con una significato maggiormente allargato, comprendente aspetti animici, filosofici e perchè no magico-sciamanici che sono componenti fondanti dell’ Uomo in quanto tale, e a maggior ragione se pensato quale artista.

sanguisughe

Sanguisughe succhiano il sangue di un paziente

Avete mai sentito qualcuno, vantare il valore della medicina antica, nella quale la cura migliore era la purga e/o il far succhiare il sangue “malato” del malcapitato paziente mediante delle disgustose sanguisughe – e parlo dei tempi di mio nonno nel 1935 non ai tempi del “dottor Purgone” magistralmente rappresentato da Moliere ne “Il malato immaginario“.
Forse ho scelto l’esempio sbagliato…. visto che qualche “nostalgico delle sanguisughe esiste ancora – e non solo in Cina – anche ai giorni nostri, ma voglio considerare anche questo uno di quei passaggi della sopradetta “reductio ad absurdum“.
Scherzi a parte, ritengo che siano in pochi coloro che si farebbero operare per applicare un “By pass” Aorto-Coronarico o anche solo un’ appendicite, in un “gabinetto medico” (mai nome fu più azzeccato) del XIV secolo.

by pass

By pass Aorto-Coronarico

Le tecniche come le scienze evolvono, l’ Arte “moderna”, si è evoluta anch’essa a vantaggio di un’ Arte più “ampia”, più piena di concetti e simboli più o meno contemporanei, se vogliamo, secondo il mio modo di intendere, più tendente all’ Arte assoluta, quell’ Arte radicata nell’animo e nell’intelletto profondo di ogni “vero” artista, così come in quelli di qualsiasi Essere Umano conscio di questo suo “Status”.
Quello che al limite può cambiare, è la posizione di ognuno nei confronti dell’atto artistico, non certo la misteriosa attrazione “costitutiva” che ogni Essere Umano ha nei confronti di un’ opera d’Arte che sia degna di questo nome.

Aquila in volo

Aquila in volo librato

Ognuno di noi è in grado di apprezzare la bellezza di un cielo notturno, dell’onda violenta che s’infrange su una scogliera, cosi come il volo di un’aquila sulle termiche di un costone di montagna battuto dal sole o i profumi della natura dopo un temporale.
In queste situazioni non vi  è bellezza, ma la sensazione primordiale di essere ricondotti all’universo al quale apparteniamo e che ci appartiene.
Al di la di forme, colori, tecniche, simboli o materiali costituenti, un’ opera d’ Arte comunica che in essa possiamo rispecchiarci e, di riflesso, possiamo scorgere in noi la scintilla di universo che ci ha generato.
Il piacere che ne riceviamo è la contezza dell’immensa fortuna che sappiamo di avere nel farne parte, a fronte dell ‘immensa paura di “perderci” in quell’ infinito, quell’infinito profondo, inesplorato, che alla fin fine siamo noi stessi, come unicum e contestualmente quale “insieme” con i nostri “fratelli in spirito”.
Parmenide e Pitagora sono la stessa cosa, così come Aristotele e Platone, come Kandinsky e Raffaello, o Mondrian e Botticelli, Chagall e Piero della Francesca.
Prendendo coscienza di ciò avremo compreso l’ Arte, quando sapremo leggere il “Trait d’union”, il “filo rosso” (proprio come quello che Paola Grossi Gondi ha tentato di rappresentare nell’androne della G.A.M. di Roma)

"Filo rosso" di Paola Grossi Gondi

il “Fil Rouge” che ricollega tutte queste “apparenti” contraddizioni, così,  non si vedrà più una contraddizione nell’ accostare Arte e Scienza, come immodestamente ho fatto nel titolo.
Forse non è possibile farlo consciamente, ma magari, scopriamo che spiritualmente, siamo già capaci di percepirlo, ma forse anche questo è tutto un altro articolo.

Francesco Campoli

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Arte e Matematica

Posted in Filosofia dell'arte, l'Arte in ogni Arte on giugno 14th, 2012 by

di Francesco Campoli

Dopo aver tentato di “reinserire” l’artista nel contesto sociale, tentato di rivedere la funzione dell’opera d’arte per il singolo e per la collettività, messo in discussione il modo di attribuire “Valore” alle opere d’arte, messi in discussione i licei artistici e le accademie d’arte, nella loro funzione formativa per gli artisti, sconfessato i critici d’arte e le loro esegesi delle opere, “a prescindere” dalle scelte artistiche di chi le ha realizzate, oltre a tante altre riflessioni personali che trovate leggendo questo blog, vorrei tentare ora un’altra “operazione impossibile”: Cercare un collegamento tra l’Arte e la Matematica e se esiste scoprirne i perchè. In effetti avevo gia tentato speculazioni simili in alcuni articoli precedenti, sempre alla ricerca del “filo rosso” che collega tutte le forme d’Arte, quello che “Matematicamente” parlando potremmo definire il “Comune Denominatore”.
Individuare questo “Comune Denominatore”, equivale ad individuare il perno sul quale “ruota” l’Arte di ogni genere e di ogni stile, sia essa Poesia, Musica, Pittura, Scultura ecc. L’intento provocatorio di Accostare Arte e Matematica, ad alcuni lettori potrà sembrare quasi una bestemmia, specialmente per coloro che vedono l’Arte attraverso preconcetti “fantasiosi”, alla fin fine sono proprio questi preconcetti che desiderei abbattere. L’ Arte per più di qualcuno è sinonimo di sregolatezza, di “Espressione” in libertà, c’è chi la descrive come un “Dono” per pochi eletti, il che presuppone automaticamente che solo pochi illuminati la possono capire. Con la mia analisi e le mie provocazioni, tendo a sostenere che l’essenza dell’Arte è insita in ogni “Essere” e che anzi, ne è un importante costituente, va da se che è necessario accordarsi sul temine Arte.
Torniamo quindi a quella che io definisco la “Main Question”, l’ interrogativo centrale di SCULTURAECULTURA: Cos’è Arte? Come è ormai noto io credo nell’artista “Creatore”, nell’artista “Ricercatore”, in piena similitudine ad altri “professionisti” della ricerca, l’artista Sciamano “ponte” tra l’umanità e lo spirito e che sostengo che la razionalità “illuminista”, aggiunga un qualcosa al lavoro dell’artista, o almeno non lo sminuisce di certo.
Sono certo di poter dare un contributo a questa comune ricerca, con le mie opere, lavorando sulla concretezza dei contenuti, con una metodica quasi scientifica, ma lasciando aperta una porta verso l’universo, come credo sia giusto in ogni vero artista.
Cerco di dimostrare la bontà delle mie convinzioni, tentando una seria confutazione, una sorta di “Reductio ad Absurdum” nella migliore tradizione Socratica.

Socrate

Socrate

Come avrete certamente notato, l’intera linea editoriale di questo blog, è costruita sul metodo Socratico, del quale faccio un ampio e “immodesto” uso. Il “Metodo Socratico” per chi non ne conoscesse i termini, prevede il “Dialogo” tra Maestro e Discepolo, un dialogo fatto di stimoli e domande mirate, che il “Maestro” offre al discepolo per far emergere, la “Conoscenza Immanente”, bagaglio innato in ogni “Essere”. L’obiettivo è aiutare a costruire una coscenza critica personale, molto più utile di un bagaglio pleonastico di nozioni e di dogmi conformisti. Per il solo fatto di essere parte del creato, quell’ “Organismo Comune” che chiamiamo “Natura”, ogni “Essere” (per come lo intende Parmenide), è intriso del “Soffio Divino” che gli ha dato vita,

Parmenide

Parmenide

“Conoscenza Immanente”, che purtroppo non tutti sanno far fruttare come si dovrebbe. Anche se quella Maestro-Discepolo, non è l’esatta configurazione del rapporto comunicativo che stiamo istaurando, in ogni caso ritengo che la validità “comunicativa” del metodo socratico, sia assolutamente fuori discussione e, anche se immodestamente, continuerò ad usarlo. Il cosiddetto metodo Socratico fu convintamente adottato anche dal più illustre dei discepoli di Socrate. Parlo ovviamente di Platone, che lo utilizza in modo esclusivo nei suoi “Dialoghi”, dai quali ho attinto molte delle informazioni che sto per citare. In particolare mi riferisco al “Timeo”, un dialogo non a caso con un “Pitagorico” quale egli stesso fù, dialogo nel quale Platone ormai in età matura, avanza molte delle teorie sulle quali si fonda la moderna scienza.

platone

Platone

Io credo nella nostra “Memoria Cosmica”, un qualcosa di molto simile alla “Conoscenza Immanente” che richiamavo sopra, un “Ente” molto importante per cercare di confutare l’intuizione, che la Matematica possa facilmente essere collegata all’arte, e siccome non credo si possa discutere l’importanza della matematica nella vita dell’uomo, per “qualità transitiva”, lo stesso dev’essere accettato nei riguardi dell’arte.
Vorrei iniziare da un esempio e circostanziarlo per bene: Il legame tra Musica e Matematica, che ovviamente non mi sento di far passare come la scoperta del secolo, ma che indubbiamente rappresenta l’esempio migliore per argomentare su questo tema. La scoperta del mio amore per l’Arte, passa per una passione giovanile per la musica (in particolare per la chitarra), concretizzatosi poi in seguito in un rapporto più “Maturo”, per il Blues, il Jazz e le loro “Evoluzioni” in chiave moderna. Parlo quindi sapendo sufficientemente quello che dico, non sono un “Compositore” (un artista della musica), al massimo mi potrei definire uno discreto Musicista. Tutt’ora partecipo a qualche “Jam Session” , suonando con amici di vecchia data (anche considerata l’anagrafe), alcuni dei quali sono tutt’ora musicisti di professione. Nel pieno rispetto delle ragioni che sostengo sin dalla nascita di questo blog, pur suonando discretamente (tecnicamente) un paio di strumenti, non mi considero un “artista della musica”, al massimo uno scarso “Artigiano della musica”.
A chi non ha letto un mio precedente articolo su questo tema, per comprendere meglio questa affermazione, potrebbe essere utile rispolverare “Arte contro tecnica”, un articolo di successo ancora presente nell’archivio del blog. Nel campo musicale ho rinunciato a quella “Ricerca”, a quella “Creazione” che a mio avviso, rappresenta la vera attività di un artista nel pieno delle sue funzioni. Dalla Musica dei primi passi, mi sono evoluto artisticamente verso la Scultura, passando ovviamente anche attraverso la pittura, senza una completa soddisfazione.
Per ragioni che non è il caso di andare ad approfondire ora, ritengo la Scultura più adatta alla mia “Poetica” in particolare la scultura in ceramica, ma prima o poi ne parleremo. Per arrivare al dunque, credo che sia noto a tutti che sul rigo musicale, oltre alla “Chiave”, nella quale deve essere eseguita la melodia, esiste sempre una “Frazione”, con la quale il “Compositore” indica il Ritmo, con il quale la sua composizione deve essere eseguita.

Le chiavi musicali

Le chiavi musicali

quattro quarti

quattro quarti

si sente spesso parlare dei famosi “4/4” (quattro quarti), dei “3/4” (tre quarti) ecc. una prima evidenza del collegamento che cerco di dimostrare.
Se pensiamo ad uno strumento a corde, come ad esempio l’Arpa, la Chitarra o il Violino (in realtà anche il Pianoforte sarebbe uno di questi), salta agli occhi che il musicista per produrre una specifica nota, schiaccia la corda con le dita in punti ben precisi della tastiera (matematicamente precisi).

Croma: Un Ottavo

Croma: Un Ottavo

In verità, in altri casi, può lasciar vibrare liberamente la corda medesima, che comunque ha una lunghezza accuratamente predeterminata dal Liutaio (la distanza tra Capotasto e Ponticello). Questo “Gesto Tecnico” che sembra scontato, in effetti ha un preciso significato matematico: Una corda schiacciata sulla tastiera ad un ½ della suddetta lunghezza (riecco le frazioni), suona la stessa nota sulla quale è intonata, ma ad un’ottava superiore.

due quarti

Nota da due quarti

Se la corda è schiacciata ai 3/4 della sua lunghezza riproduce una “quarta”, ai suoi 2/3 una “quinta”, ecc. Quando parliamo della “terza”, della “quarta”, della “quinta”, della “settima” ecc, ci si riferisce alla progressione della scala (do, re, mi, fa, sol, ecc.), che di norma evolve un “tono” alla volta, fatti salvi i casi di # (Diesis) e il b (Bemolle), ma non è questo il luogo per fare un trattato di “Teoria Musicale”.

Tasti corde chitarra

Posizione tasti sulle corde della chitarra

Quando parliamo di un “Accordo in Maggiore”, tutti i musicisti sanno che si suona rientrando nello schema: “Tonica+Modale+Dominante”, (prima/terza/quinta della scala), cosi come per un “Accordo in Settima” si aggiunge una nota, che è appunto la “Settima” nella progressione della scala a partire dalla nota Tonica. Pur se queste mie (per forza di cose) “sommarie” asserzioni, potrebbero apparire utili alla confutazione della mia “Tesi”, in effetti c’è un signore (illustre matematico), ben più competente e geniale del sottoscritto, che ha fatto molto di più sul collegamento tra Musica e Matematica, parlo ovviamente di Pitagora.

PitagoraPitagora nacque nell’isola di “Samo”, nella prima metà del VI secolo A.C, ma si trasferì nell’allora Magna Grecia (La parte del sud Italia colonizzata dai greci), dove a Crotone (nella moderna Calabria), costituì la nota scuola detta dei Pitagorici.
Per i suoi seguaci, il rispetto per il fondatore rasentava la venerazione assoluta (com’era uso comune nelle scuole dell’antica Grecia), in effetti più che una scuola come la intendiamo ai giorni nostri, quella Pitagorica era più vicina a quella che noi contemporanei definiremmo sociologicamente una setta. Nella Scuola Pitagorica lo studio approfondito della matematica, implicava anche l’approfondimento degli aspetti metafisici ad essa collegati o collegabili. Nella comunità pitagorica lo studio della Matematica (e di sua sorella Geometria), non escludeva gli aspetti pratici dell’esistenza sui quali essa insisteva, anzi, i pitagorici li ritenevano strettamente collegati. Per aspetti metafisici della Matematica, dobbiamo intendere l’uso simbolico dei numeri (riecco anche i Simboli), il loro collegamento diretto con alcuni importanti concetti filosofici e la ricorrenza di alcuni valori specifici: le Costanti Matematiche.
Al tempo si riteneva che la “Natura”, rispondesse pienamente ai “Precetti Geometrici” e non si può dire che si fosse molto lontani dalla realtà. Alle Costanti Matematiche spesso si attribuiva un importante significato simbolico, incredibilmente esse sono tutt’ora dei capisaldi della Geometria e della Matematica moderna (di conseguenza anche della Fisica), dico incredibilmente visto che alcune costanti, sono state comprese e dimostrate già 500 anni prima di Cristo. Non si deve essere tratti in inganno da questi continui “sconfinamenti” tra realtà e mito, per gli antichi greci (e non solo per loro), il mondo spirituale e quello materiale non erano così rigidamente “separati” come li concepiamo ai giorni nostri. I matematici studiando le teorie pitagoriche, allo scopo di accostarle alla pratica del mondo di tutti i giorni, si resero pienamente conto, che anche la musica è pienamente spiegabile (quindi comprensibile), tramite equazioni e teoremi matematici, convinzione sulla quale anche ai giorni nostri, sono pochi a nutrire dei dubbi. Una delle applicazioni degli studi pitagorici sulla musica, fu l’Intonazione Pitagorica (basata appunto sulla scala pitagorica), la quale in questa sede sarebbe superfluo approfondire, ne accenno solamente quale ulteriore “Confutazione” dello stretto collegamento tra Musica e Matematica.

Nota: Do1 Re1 Mi1 Fa1 Sol1 La1 Si1 Do2
Frequenza: 1 9:8 81:64 4:3 3:2 27:16 243:128 2

*Il numerino susseguente la nota, indica l’ottava di appartenenza della medesima (Do1 rappresenta il Do nella prima ottava, Do2 quello della seconda, ecc). Il “Tono” corrisponde a 9:8, il “Semitono” a 256:243. L’esercizio per il quale, da sempre, si ricerca un collegamento tra la Natura e la Simbologia Numerica, deriva anche dal fatto che i Pitagorici, individuarono molte delle “Costanti Numeriche” che avevano a che fare con le cose del mondo. Essi ritenevano che queste costanti, potessero consentirci di capire a fondo molte realtà fisiche e anche quelle Metafisiche, essendo l’Arte secondo il concetto platonico (la musica è una delle tecniche artistiche) una “Mimesi” della natura e della vita, non esisteva dubbio alcuno su questo collegamento diretto.
Una di queste famose “Costanti” la conosciamo perfettamente tutti, mi riferisco a Π (pi greco), il famoso “3,14…” che utilizziamo nella determinazione dell’area del cerchio, nel calcolo del volume del cilindro, di quello della sfera, ecc.

Archimede

Archimede

Questo valore fondamentale è conosciuto anche come “Costante di Archimede”, ma il matematico siracusano non fu certo l’unico a comprenderne l’importanza. Leonardo Fibonacci (matematico pisano del 1170) lavorò moltissimo alla sua ottimizzazione (puntando alle sue approssimazioni migliori), ma il “Fibonacci” è considerato tuttora uno dei matematici fondamentali, in quanto comprese e descrisse le caratteristiche matematiche della cosiddetta “Sequenza di Fibonacci”.

La sequenza 0, 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89 …ecc.

fibonacci

Leonardo Pisano detto Fibonacci

nella quale ogni termine è la somma dei due che lo precedono, presenta mille stupefacenti “Caratteristiche Matematiche”, che la collegano ad un’altra discussa costante “Matematico/Geometrica” la cosiddetta “Sezione Aurea”, della quale cercherò di farvi scoprire i misteri. L’importanza per l’Arte, così come per molte manifestazioni naturali, della costante “nascosta” nella sequenza di Fibonacci, ci porterà certamente all’obiettivo dichiarato, ma per rivalutare la matematica non certo per svilire l’Arte.

spirale di Fibonacci

spirale di Fibonacci

Dalla rappresentazione grafica della sequenza di Leonardo Fibonacci, si ricava facilmente l’altrettanto nota “Spirale di Fibonacci”, uno dei “Segni” che più chiaramente possiamo leggere con i nostri occhi anche in natura. Vi sono molte spirali che si presentano evidenti anche in Natura e, se molte cose del mondo assumono di fatto una “Matrice comune”, evidentemente non può essere un caso, queste costanti devono avere una importanza particolare.

nella Ragnantela la spirale di Archimede

nella Ragnantela la spirale di Archimede

La “Spirale di Archimede” procede con una diversa dinamica rispetto alla spirale logaritmica (quella di fibonacci), ad esempio essa compare  sempre nella ragnatela. Si vede chiaramente che la spirale che il Ragno realizza (a partire dal centro), allargandosi “a passo costante” verso l’esterno, è la vera “chiave di volta” di questa enigmatica struttura ingegneristico/naturale. Oltre a costituire un aspetto “strutturalmente” importante per la ragnatela, la “Spirale di Archimede”, ha anche un fondamentale aspetto funzionale: Il ragno attraverso le sue spire, mantiene il totale controllo su ogni centimetro quadrato del suo “Terreno di caccia”, garantendosi così la migliore resa “Sforzi/Benefici”.

Tutti sappiamo che il Ragno può attendere la sua preda, fermo immobile nel centro della sua tela, risparmiando energie, in una delle migliori espressioni di efficienza dell’intero mondo dei predatori.
Il Ragno esegue la spirale di Archimede “istintualmente”, come pescando da una “Memoria Comune dell’Universo”, è incredibile infatti constatare che questa stessa spirale, è la “Matrice” di forma sulla quale “si adagiano” alcune tipologie di galassie.

Ngc 1232 una galassia spirale

Ngc 1232 una galassia a spirale

La spirale di Fibonacci invece è la “linea guida”, per la forma del guscio nella Conchiglia Nautilus o nella Chiocciola, volgarmente chiamata “Lumaca”.

Spirale nella chiocciola

Spirale nella chiocciola

La spirale nella conchiglia Nautilus

La spirale nella conchiglia Nautilus

La disposizione a “Spirale di Fibonacci” garantisce la massima insolazione ai semi del girasole, evitando ogni sovrapposizione e quindi ombre indesiderate.

Spirale nel Girasole

Spirale nel Girasole

La spirale di Fibonacci è chiaramente individuabile, anche nella disposizione dei petali della Rosa, oltre che nella disposizione dei semi nel Girasole.

Spirale nei petali della rosa

Spirale nei petali della rosa

Anche la disposizione delle foglie sul fusto della pianta del girasole (ma anche in moltissime altre specie botaniche), prevede una disposizione delle foglie sul fusto su una traiettoria, che si avvolge con il passo della ormai nota spirale.

Fillotassi nelle piante

Fillotassi nelle piante

Questa caratteristica è così comune nel mondo delle piante, che in botanica è stata studiata e compresa già ai tempi dei greci e prende il nome di “Fillotassi”, ulteriore importante esempio di presenza della “Sequenza di Fibonacci” in qualità di “Costante Significativa”.
La Costante che si evince dalla sequenza di fibonacci, è la famosa “Φ” (Phi), nota appunto come “Sezione Aurea”, alla quale molti artisti e molti architetti (che già nell’antichità avevano una connotazione comune), hanno attinto quale “impalcatura” delle loro opere e dei loro progetti. 1,6180…ecc. chiamata anche “la Costante di Dio”, per la sua ricorrenza in moltissime situazioni nell’intero universo, per i più convinti, rappresenterebbe  la “Firma Occulta” del Creatore.

La ricorrenza della “Sezione Aurea”, oltre a rappresentare la dinamica dell’albero genealogico delle api in un alveare, cosi come quella della dinamica della riproduzione dei Conigli (il miglior esempio di efficienza nella riproduzione), è facilmente rilevabile anche nell’uomo: L’esempio più facile da vedere è nel sorriso “perfetto”, nel quale possiamo notare che la proporzione tra la dimensione di un dente nei confronti del suo omologo seguente, segue indiscutibilmente il “Rapporto Aureo”. )

Fidia sezione aurea

Fidia e la sezione aurea

Molto più modestamente in molti la chiamano “Costante di Fidia”, scultore e architetto greco al quale dobbiamo moltissime sculture e templi (ad esempio il Partenone di Atene). Sembrerebbe che nelle Opere  d’Arte, nella quali la costante “Aurea”, è stata rilevata (a prescindere dalla volontà “Cosciente” dell’artista di inserirvela), si percepisce una sorta di “Bellezza Immanente”, che nulla ha in comune con il “Concetto Estetico di Bellezza” (anche a questo ho dedicato un interessantissimo articolo nel blog). Ciò che vi si percepisce lo potremmo definire un “Valore” assoluto, rilevabile da chiunque anche in modo inconscio.

Le Corbousier

Le Corbousier

Anche Le Corbusier lo storico architetto/designer svizzero/francese, che rivoluzionò l’architettura e il design del suo tempo (e anche del nostro). Attraverso l’uso del “Rapporto Aureo” (nella scia di Fidia), cercava la “Bellezza Assoluta” in accordo con l’efficacia nella fruizione, la “Bellezza della Funzione” il sogno di ogni architetto o designer. La “Sezione Aurea” la ritroviamo in molti dei suoi progetti, anche perchè molti dei suoi progetti, furono “proporzionati”, attraverso l’uso del suo “Modulor”, una “scala di grandezze” mutuata dal “Rapporto Aureo”.

Il Modulor di Le Corbousier

Il Modulor di Le Corbousier

Il “Modulor” puntava a realizzare una “Ergonomia Estetica” in “Armonia Aurea” con l’ ”Essere” Umano. Il “Modulor” partiva dal concetto che l’Uomo è proporzionato all’Universo, nel quale universo, il Rapporto Aureo rappresenta la linea guida fondamentale.
Dal “Modulor” derivarono molti progetti famosi di Le Corbusier, come la celeberrima “Chaise longue LC4”, che inserita in spazi progettati in accordo alla medesima filosofia, sarebbe un esempio di perfetta “Ergonomia”.

La Chaise long di Le Corbousier

La Chaise long di Le Corbousier

Per arrivare giustamente anche ad Internet, si dice che molti web designer, vedano nella “sezione aurea”, la proporzione migliore sulla quale costruire i loro “Template”, voi che ne dite?

Sculturaecultura layout spirale

Sculturaecultura layout Sezione Aurea

Scherzi a parte potrei continuare con molti altri esempi la dimostrazione dell’interazione della Sezione Aurea con una  “Estetica Assoluta”, perchè sembra quasi che  “Valorizzi” qualsiasi cosa tocchi, quasi una sorta di “Pietra Filosofale”, sarebbe inutile, ormai è chiaro che esempi ce ne sono fin troppi. Ecco quindi che  l’accostamento della matematica all’arte, alla luce di questi fatti, può apparire un pò meno “blasfemo”. Ai tempi di Pitagora la distanza tra Arte e Matematica, non era affatto percepita come evidente, così come non esisteva molta distanza, tra l’approccio “Magico Naturale” di uno Sciamano, quello Simbolico/Magico degli Gnostici Medievali o quello Magico/Spirituale di un Alchimista. A questo scopo potremmo citare il “Parmigianino”, noto come pittore, ma anche come fervente alchimista.

Parmigianino

Girolamo Francesco Maria Mazzola: il Parmigianino

Va detto che anche il Parmegianino cita Socrate e Platone, in particolare i famosi “Solidi Platonici” che sono tra le forme più “citate” nella storia dell’arte:

Diogene Parmigianino

Diogene indica il Dodecaedro "La Quintessenza" il Parmigianino

I “Solidi Platonici” sono così chiamati, in quanto rappresentano un contributo del più famoso discepolo di Socrate: Platone appunto. Su questi solidi poggia l’intera ricerca alchemica, nei Solidi Platonici la “Sezione Aurea”, è una presenza fondante, un esempio chiarificante è il Dodecaedro Platonico.

il dodecaedro nel Diogene

diogene il dodecaedro

Il Dodecaedro regolare è la “Solidificazione” del Pentagono, uno dei simboli più importanti a causa del suo ferreo collegamento con il Rapporto Aureo. Il pentagono contiene in se 5 “Triangoli Aurei”, unendo i vertici opposti è molto facile individuarli, a loro volta al centro descrivono un ulteriore pentagono regolare, all’interno del quale si possono iscrivere 5 nuovi triangoli in proporzione aurea e di nuovo, essi inscrivono un nuovo pentagono regolare e così via per una infinita quantità di volte.

Il pentagono regolare

Il pentagono regolare Microcosmo e Macrocosmo

Nel pentagono regolare nasce l’icona più rappresentativa nel mondo della magia, : il Pentacolo.

Pentacolo

Pentacolo

I triangoli “Aurei” lo descrivono chiaramente e, iscritti nel Pentagono regolare, che è la figura del Micro e del Macrocosmo e come dimostrato nella figura qui sopra, “simbolicamente” li contiene entrambi, iteratamente l’uno nell’altro in perfetta proporzione (seguite i colori), dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo. Anche nel mondo dell’arte, ricorrono spesso i “Solidi Platonici”, come  a sancire una comunione non così improbabile. Un esempio abbastanza recente e significativo è “L’ultima Cena” di Salvator Dalì, opera nella quale Il Dodecaedro rappresenta il “contenitore”, nel quale avviene la nascita della massima espressione della liturgia cristiana: La “Eucaristia”.

dodecaedro dali'

Dali'.."L'ultima cena"

Salvador Dali'

Salvador Dali'

Il riferimento Simbolico/Alchemico di Salvador Dalì è evidentissimo, il Solido Platonico in questione, rappresenta il “Quinto Elemento” alchemico”, la “Quintessenza” (l’Etere Aristotelico), l’Elemento Euclideo che insieme ad Aria, Fuoco, Acqua e Terra, rappresenta la componente essenziale dell’universo, quella che ne colma gli spazi apparentemente vuoti, per i credenti la “Conoscenza” intesa con una accezione integrale, lo spirito del Cristo appunto.

La lezione del Lucedello

La lezione del Lucedello

Nel dipinto del Lucidello che vediamo a sinistra,   (un pittore fiammingo), che rappresenta chiaramente una importante lezione, dell’allievo Johann Neudörffer e il suo maestro Nicolas Neufchatel nel quale il Dodecaedro (La quintessenza), ritorna prepotentemente.
Nel quadro del Lucidello, il Dodecaedro è inserito quale “metafora” di “Conoscenza” trasmessa nei suoi aspetti più alti.
Un altro importante simbolo campeggia su tutta la scena, il “Quadrato Magico”.

Il Quadrato magico introdurrebbe un’altra variabile matematica, che spesso viene definita la “Costante della Magia”, con una similitudine magari un pò azzardata con la Φ (Phi).
Il “Quadrato magico”, è una tabella quadrata (una Matrice matematica), nella quale la somma dei numeri presenti in ogni riga, in ogni colonna e in entrambe le diagonali da sempre lo stesso numero.

Melencolia I Durer

Melencolia I di Durer

Qui a sinistra si può vedere un dettaglio di un notissima incisione di Albrecht Dürer “Melencolia I“, il pittore incisore che notoriamente frequentava ambienti “Neoplatonici” dei suoi tempi.

Durer autoritratto 1498

Durer autoritratto 1498

Vi sarebbero molte evidenze anche sulla costante della magia e quindi sul “Quadrato magico”, ma questo articolo stà diventando veramente troppo lungo. Per gli interessati è sufficiente seguire questo link, si troveranno approfondimenti maggiori anche dell’aspetto matematico della questione, ad ulteriore conferma che un collegamento Arte-Matematica esiste eccome. Per verità andrebbe citato un’altro imprescindibile sostenitore della “Sezione Aurea, ” Fra Luca Pacioli” (che vediamo ritratto nel quadro qui sotto), fu lui a denominare Phi “Divina Proporzione”.

Jacopo de' Barbari Ritratto di Fra Luca Pacioli

Jacopo de' Barbari Ritratto di Fra Luca Pacioli

L’immancabile “Solido Platonico” che sembra catalizzare l’attenzione di Luca Pacioli e del suo allievo, è l’ennesima riprova che anche Jacopo de Barbari (il ritrattista), riconosce una dignità particolare a questa figura geometrica. Una importanza tanto particolare da farne elemento paritario (se non preponderante) nella composizione del ritratto, con la figura del frate francescano. L’opera di divulgazione più conosciuta di questo matematico”particolare”, fu “De Divina Proporzione”, che annovera quale illustratore un discreto pittore, scenziato, ingegnere e diciamolo pure genio indiscusso a tempo pieno: Leonardo da Vinci. Entrambi questi personaggi furono chiamati alla corte di Ludovico il Moro a Milano, fu li che condivisero le loro “Sapienze”, con vari influssi reciproci, tanto che molti storici dell’arte, si affanano ancora oggi a cercare i prodromi di “De Divina Proporzione” nelle opere di Leonardo. Entrambi condividevano i saperi euclidei, che gia allora erano fondamentali per chiunque facesse il pittore, così come il matematico o l’ingegnere, figuriamoci Leonardo che era tutte queste cose insieme. Il “De Divina Proporzione”, era una riedizione de “Gli Elementi” di Euclide, Fra Luca Pacioli nel rivederla e aggiornarla, certo non disdegnò l’aiuto del genio di Vinci. Quest’opera non è solo un’opera matematica, ma ha ambizioni ben più larghe, tanto che sfiora anche l’astronomia, cercando di indagare le leggi del sistema solare allora conosciuto. Anche Keplero trovò grande ispirazione in Euclide, tanto che inizialmente sposò completamente la teoria che i pianeti e le orbite fossero collegabili ai solidi platonici: Gia Platone stesso collego i solidi in questione, ognuno dei quali ricordiamolo ha un rapporto specifico con la “Costante di Dio”, ai costituenti (simbolici) dell’universo.

Solidi Platonici

Solidi Platonici

La Terra, immobile, plastica e solida, è legata l’Esaedro, il Cubo.
L’Acqua è associata all’Icosaedro, la forma meno mobile dopo il Cubo, la più grande e la meno acuta.
All’Aria si collega l’Ottaedro, forma intermedia per mobilità, anche come grandezza e acutezza; Al Fuoco si associa il Tetraedro, la forma più mobile, piccola e acuta, che chiamiamo anche Piramide, che meriterebbe da sola un’altro articolo, ma ve lo risparmio volentieri perchè non aggiungerebbe molto alla confutazione della”Tesi” che vengo a sostenere.
Forse però non è un caso che gli alchimisti sentissero Platone molto vicino, forse a causa della profonda “conoscenza”  dei “Solidi Platonici” o forse per molte altre cose. Esiste quindi un collegamento diretto anche tra Arte e Magia? Una bellissima domanda….., in parte si “legge” tra le righe, ma anche qui bisognerebbe accordarsi sul temine ”Magia” e come al solito non sarebbe facile. Va detto in mia parziale discolpa, quale sostenitore di tesi piuttosto “azzardate”, che nel bene e nel male anche qualcun’altro lo sostenne molto apertamente:  Sto parlando di Pablo Picasso, scusate se è poco.

Pablo Picasso

Pablo Picasso

“Dipingere non è un’atto “Estetico”, è una forma di magia, che deve fungere da mediatore tra questo mondo strano e ostile e noi stessi” Giuro che non avevo mai letto le parole del Maestro Picasso, non sicuramente prima di scrivere “Artista o Sciamano” o “Il Brutto dell’Arte“, mi sono arrivate davanti agli occhi ieri, durante le mie solite letture da comodino. Per qualcuno può non significare molto, che io e Pablo Picasso concordiamo su questo punto, pero a me conforta avere un così illustre collega che la pensava come me. Tutto certamente interessante, ma anche il rapporto tra Arte e Magia andrebbe approfondito, al dila di affermazioni più o meno estemporanee, e ancora una volta, sarebbe tutto un altro articolo.

Francesco Campoli

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Arte Vs Tecnica

Posted in Tecnica Vs Concetto on aprile 15th, 2011 by

di Francesco Campoli

Identificare l’arte con virtuosismi nell’uso delle tecniche espressive, è un errore che sussiste praticamente da sempre, questo in effetti non valeva neanche quando un opera era talmente fedele alla realta da risultare un efficace surrogato della fotografia che non era ancora stata inventata.

Eleonora da Toledo e Giovanni de' Medici

Eleonora di Toledo e Giovanni de' Medici

Qui a fiaco vediamo un’opera del Bronzino che ne evidenzia la maestria tecnica, realista al punto da eguagliare sostanzialmente una fotografia, ma concettualmente si può mettere sullo stesso piano un artista e una macchina fotografica, fossanche una Hasselblad.
Bronzino in questa opera, non ha fatto molto per distanziarsi dalla definizione di ottimo artigiano (so già che si griderà all’eresia), ma per quanto tecnicamente di altissimo livello, quest’opera in pratica è una fotografia, infatti Agnolo Bronzino poteva essere definito il fotografo di Cosimo de’ Medici.
Spesso si sente definire l’Italia come quel paese che detiene il 70% del patrimonio artistico mondiale, non sono daccordo con questa definizione.
Il nostro è un patrimonio di enorme valore storico, semmai un enciclopedia “a cielo
Aperto” della storia dell’arte, come è noto da quanto ho scritto sinora il mio concetto di arte, “immodestamente” è molto diverso.

Agnolo Bronzino Nano Morgante

Agnolo Bronzino ritratto del Nano Morgante

Bronzino nel 2010 è stato protagonista di una frequentatissima mostra, ed è stato celebrato in pompa magna da notissimi critici mostra pubblicizzata stavolta si veramente ad arte.
Che fosse il “fotografo” di corte è indiscutibile, basti vedere che Cosimo de’ Medici, gli commissionò il ritratto del suo nano preferito (ne teneva 5 a corte), per carità realizzato in modo tecnicamente superbo, e visto che di certo il soggetto non può essere definito dei più ispiranti, realizzato con una professionalità incontestabile, ma  di artistico ha ben poco, almeno secondo il mio impudente punto di vista.
C’e stato un periodo nel quale si è incorsi nell’errore opposto, considerando arte il modo più sconclusionato di mettere insieme colori e forme, senza soluzione di continuità.

Marcel Duchamp

Marcel Duchamp

Il mitico Marcel Duchamp, sotto questo profilo seppe (artisticamente) ben sottolineare questa ridicola tendenza.
Dadaista della prima ora, genio multi disciplinare, fece un gesto clamoroso presentando ad una mostra nel 1917, sotto lo pseudonimo di R. Mutt, la famosa “Fontana”, un orinatoio “decontestualizzato”, nella migliore tradizione dadaista.
Gli stessi dadaisti, che davano di se stessi la definizione di fautori dell’arte non arte, in effetti avevano l’obiettivo di ridefinire, ampliare il concetto di arte:
Ccercavano di interrompere l’escalation di stravaganze “pseudoartistiche”, che ormai sovrastavano una produzione artistica, fatta di contenuti più che di forme e di colori in libertà.

Marcel Duchamp La fontaine1917

Marcel Duchamp La fontaine1917

Duchamp desiderava sottolineare che l’opera, non prende corpo dalla manualità dell’artista, ma nel suo pensiero, elevandola da opera materiale ad opera spirituale.
L’opera prende significato (e quindi valore), per quello che l’artista gli conferisce con la sua visione personale, spesso alternativa rispetto al comune “sentire”  dell’ epoca nella quale essa nasce.

La confusione che ancora sussiste sull’arte è anche frutto dello scarsa propensione alla concretezza di chi si aggira a vario titolo nel mondo dell’arte.
Quelli che vengono etichettati quali artisti solo perché escono dalle scuole d’arte, spesso è volentieri sono talmente prigionieri dei propri anni di studio, che al massimo diventano degli ottimi artigiani.
Un’altro modo per prendere la “patente” di artista, è attendere che sia rilasciata da un critico di grido, ma spesso è rilasciata più per meriti commerciali che per meriti artistici.
I licei artistici le scuole d’arte e le accademie di belle arti, anche per conformarsi nelle tempistiche ad altri corsi di studio legalmente riconosciuti, mettono in atto l’errore più madornale che si possa commettere nell’arte:
Mano a mano che si evolve negli studi, si è costretti a scegliere delle specializzazioni, queste sono quelle incluse nell’offerta formativa dell’accademia di belle arti di Roma:

  • Pittura
  • Decorazione
  • Scenografia
  • Scultura
  • Grafica d’Arte
  • Grafica editoriale
  • Didattica e comunicazione dell’arte
  • Comunicazione e valorizzazione del patrimonio artistico contemporaneo
  • Teorie e Tecniche dell’Audiovisivo

Come se si potesse essere artisti a compartimenti stagni, come se si potesse confinare un genio in una singola tecnica espressiva, semmai è vero esattamente il contrario.
Leonardo da vinci e Michelangelo Buonarroti, sono degli esempi sin troppo lampanti che questo non ha proprio alcun senso, visto quello che hanno espresso dentro e fuori il mondo dell’arte.
L’artista vero è l’incarnazione della creatività, crea dunque è, con una parafrasi di cartesiana memoria.
Il vero artista crea sempre e in qualunque modo ritenga di esprimersi, altrimenti sente di non esistere,  come artista ne men che meno come essere umano.
Imbrigliare l’arte in categorie, è come ergere cancelli sul mare.
Non è per fare sempre confronti, ma parlando del periodo ellenistico e romano, un artista era uso cercare ispirazione evocando una delle ben note muse.

le muse ispiratrici

le muse ispiratrici

Entrando nell’aura spirituale di queste divinità, si svolgeva attraverso la forma di espressione di “specifica competenza”, la funzione di mediatore tra umano e trascendente, che per me è il compito reale di ogni artista.
L’artista canalizza la “conoscenza” mostrandola nella più piena delle forme di coscienza.
Rileggendo certi personaggi alla luce di questa constatazione, si capisce l’essenza della loro opera Essi non hanno mai confini, ne geografici ne di tecnica, men che meno di contenuti.
Quello che l’artista rappresenta, è sempre prevalentemente simbolico.

Dosso Dossi Giove che dipinge farfalle

Dosso Dossi Giove che dipinge farfalle

Rappresentando una farfalla non si fa un’ opera di entomologia, ma si rappresenta la leggiadria con la quale vola il nostro pensiero.
Ali brillanti di colore che nel volgere del volo apparentemente senza meta, si fondono con l’ambiente in cui esistono.
Nella dinamica del battito, i colori sfumano gli uni negli altri cosi come fanno i pensieri,  si diluiscono gli uni negli altri, collegati da fili sottili che ne travalicano i limiti generando un “pensiero primordiale”, senza soluzione di continuità, il pensiero emancipato dal nostro libero arbitrio, vicinissimo a quello del nostro creatore.
L’arte non è confinabile in nessuna tecnica, l’arte prevalentemente è puro simbolismo, talvolta magari anche inconsapevole, ma anche questo è tutto un altro articolo.

Francesco Campoli

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Separazione tra arte e cultura

Posted in Filosofia dell'arte on gennaio 21st, 2011 by Francesco

di Francesco Campoli

Le accademie d’arte e i licei artistici italiani, sono come tutti gli altri enti del nostro paese.
Se si leggono i programmi non si può che restare soddisfatti, ma alla fine dell’iter proclamato, purtroppo i conti non tornano mai.
Nei nuovi programmi dei licei ad indirizzo artistico, si riconosce pienamente che l’opera d’arte che gli allievi saranno chiamati a produrre, sarà la “summa” di diversi “Layer” di competenze.
Si fa menzione di competenze “Umanistiche, Scientifiche e Tecnologiche”, si enuncia che l’opera abbisogna di un processo di progettazione, che deve tenere conto della fattibilità (tecnico-economica), della collocazione finale.
Si dice che va inquadrata nel contesto socio-culturale nel quale nasce, nella poetica personale dell’artista e allineata al suo cluster culturale e/o alle esigenze dell’eventuale  committente e mi fermo qui per non diventare noioso.
Non posso che constatare che tutte queste belle cose, sono incontestabili ma purtroppo rimangono assolutamente sulla carta.
Pur avendo poco da eccepire al fatto che un artista dovrebbe necessariamente avere una infarinatura gestionale, sociologica e comunicativa (per non formare un disadattato sociale come spesso invece avviene), devo però constatare che si perde completamente di vista l’aspetto concettuale.
Una visione del genere, che allineerebbe professionalmente qualsiasi artista ad un suo omologo professionista in qualsiasi altro settore, cozza con il tipo di formazione che molti docenti degli istituti ad indirizzo artistico hanno conseguito.
Nel loro approccio si intravede fin troppo l’ approccio “artigiano” di alcuni, l’approccio esclusivamente umanistico di altri, quello assolutamente artistoide di altri ancora.
Si continua a perpetuare l’errore di sempre nel nostro mondo artistico, di fondo in un artista si cerca il “talento”, che una persona per definizione possiede “per nascita”, come un titolo nobiliare e in fondo si considera la tecnica come un accessorio che fa rima con pratica.
Si creano istituti dove si insegna arte, nei quali al massimo viene insegnata la storia dell’arte.
Sono d’accordo che nella formazione di un artista italiano, non si può prescindere dal suo rapporto millenario con l’arte che permea il suo DNA, ma se non gli si insegna a gestirne l’influenza, lo si zavorra con tutta una stratificazione di “sedimenti artistici”, che possono offuscarne la creatività.
Non è raro riconoscere sulle opere di giovani artisti italiani, una patina concettualmente assimilabile a quella che offusca le nostre opere storiche, filtrandone la reale forza comunicativa.
Sono abbastanza in la con gli anni, per ricordare l’ ”unveiling ceremony” del “Giudizio Universale”, nella “cappella sistina” in Vaticano, restaurato da una troupe di “maestri del restauro” giapponesi, di riconosciuta eccellenza internazionale.
Alcuni “Soloni” dell’epoca (alcuni sono ancora sulla breccia), gridarono allo scandalo nel ritrovare i colori originali, stesi dal maestro incommensurabile Michelangelo.
La patina del tempo aveva offuscato la tavolozza del genio toscano.
La rimozione di quella patina e il consolidamento del supporto dell’enorme affresco, rimise letteralmente in luce, la cifra comunicativa voluta da Michelangelo.
Ci fu chi rimase scioccato dai quei colori intensi e brillanti come il pensiero del loro esecutore, protestarono per la scelta di rimuoverla completamente, pretendendo di far prevalere  la loro “critica”, sulle intenzioni pittoriche del maestro.
A mio avviso noi italiani debbiamo essere così bravi da liberarci della nostra storia, pur conservando nella nostra anima, la proiezione dei nostri giganteschi maestri.
I nostri maestri dell’arte moderna, talvolta hanno esagerato talmente nella tecnica, arrivando a crittare concetti e simboli sui quali costruivano le loro opere.
Non stento a credere che questo, sia avvenuto proprio per una sorta di smania, di liberarsi del peso della nostra storia.
In Italia non sarebbe mai potuto nascere un Andy Warhol, che partorisce la “Pop Art”, proprio sulle basi della poca stratificazione storica che caratterizza l’America (suo paese di elezione) e a maggior ragione dalle sue radici “Rutene” (popolo nomade tra Slovacchia/Ucraina/Polonia), che di certo non lo hanno seguito oltre oceano.
Il nostro patrimonio culturale (inteso quale genetico), è duro da scrollarsi di dosso, a meno di essere totalmente cechi o ignoranti.
La nostra cultura, purtroppo non insegue solo i nostri artisti, ma anche collezionisti e committenti, ma questo è tutto un altro articolo……..

Francesco Campoli

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