Arte e Festival di Sanremo

Posted in Filosofia dell'arte, l'Arte in ogni Arte on marzo 9th, 2012 by

di Francesco Campoli

Mentre scrivo immagino i volti di coloro che leggono il titolo di questo articolo, un pezzo che arriva dopo altri, che hanno cercato di argomentare sull’arte nella sua accezione più elevata.

Teatro Ariston Sanremo

Teatro Ariston Sanremo

Siamo rimbalzati dalla filosofia di Platone ed Aristotele a Parmenide, Kant, Heidegger e altri “giganti” della filosofia di tutti i tempi, gente che di Arte ed Estetica ha trattato con indiscutibile competenza.
Potrebbe sembrare che io sia uscito dal “seminato” scrivendo questo articolo, ma non è così.
Per una mia vecchia “deformazione professionale” (essendomi occupato di Marketing e Pubblicità), mi sono trovato a leggere i dati di ascolto del Festival di Sanremo con il solito atteggiamento attento alle dinamiche socioculturali.
Si parla di 12,5 milioni di spettatori con uno “share” mediamente intorno al 45%, numeri come questi non possono essere ignorati, anzi vanno almeno analizzati attentamente, almeno nel loro valore antropologico.
Ho già scritto dell’iterazione tra l’arte e l’antropologia, ad esempio delle manifestazioni artistiche presso gli Aborigeni australiani, ma ho sentito “addetti ai lavori”, usare molto spesso la parola Arte commentando il festival di Sanremo oltre che descrivendolo come grande evento culturale.
Tutto questo articolare sulla “nostre“ parole d’ordine, non poteva che far nascere in me una delle mie riflessioni, che costituiscono l’ossatura portante di questo blog.
Con l’appellativo artista, ci si riferisce ai cantanti che si esibiscono, agli “artisti” che scrivono i testi delle canzoni, a  coloro che compongono melodie e arrangiamenti.
Parlando di cultura non si può ignorare, che essa sia strettamente connessa al contesto sociale e temporale nel quale si palesa.
Non esiste cultura che non si collochi in almeno un “cluster”, della struttura sociale nella quale si viene ad instaurare.
Quali esempi consolidati, mi basti citare la cultura “Hippy” negli anni 60/70

Il Volkswagen hippy

Il furgoncino Volkswagen il mezzo hippy per definizione

o fatti i dovuti distinguo, la cultura “EMO” ai giorni nostri,la cultura “Hip Hop” e il “Graffitismo” che ne è emanazione diretta quale forma d’arte di questo segmento sociale.

Tipico look Emo

Tipico look Emo

Tutti movimenti culturali da classificare come tali in senso antropologico.
Sono sempre identità culturali riconducibili a dei “cluster” giovanili delle rispettive strutture sociali, ma Dio solo sa quanto sono differenti i “panel valoriali” ai quali si rifanno.
Va preso atto che “discendono” dal rispettivo contesto socio-contemporaneo.

hip hop graffito metropolitano

Graffito metropolitano Hip Hop

Non voglio lanciarmi in un trattato di scienze sociali, semplicemente desidero affermare che ogni cultura è degna di essere considerata, ed è giusto valutare se esiste un collegamento diretto con l’arte, realmente definibile tale.
E’ indubbio che tra le arti vada inclusa la musica, alla quale è vocata

La musa Euterpe

La musa Euterpe

la musa Euterpe, segno che questo status gli è riconosciuto sin dai tempi più antichi.
Nel caso del festival di Sanremo la musica accompagna i testi, che spesso si sente definire “vere e proprie poesie”, ma ovviamente non si possono non fare dei distinguo.
La poesia è senza dubbio arte, anzi, l’arte delle arti, infatti in tutte le forme d’arte si cerca di comprendere (consciamente o inconsciamente), la “poetica” specifica di quell’ artista.
In sintesi si cerca di intuire la struttura “Estetica” (vedi articolo Ridefinire l’Arte), sulla quale l’artista costruisce la sua produzione.
Aristotele nel suo trattato “Poetica”, oltre che a Poesia; Musica, Pittura, Scultura ecc. estende al teatro greco in tutte le sue forme (Tragedia, Epica e Commedia), questo concetto di chiara origine “Estetica”.
Aristotele canonizzò anche i concetti di “Mimesi” e “Catarsi”, in questi due  termini io intravedo il compito fondante dell’artista.
Così come nel teatro greco, l’attore cerca di far nascere forti emozioni, simulando nella rappresentazione (mimesi vuol dire appunto rappresentazione, imitazione), con l’obiettivo è che ne derivi una “Catarsi” (una purificazione), benefica per lo spettatore, ogni artista fa la stessa cosa con la sua arte (se è un vero artista).
Ognuno di noi sa che quando fruisce di un’opera d’arte, nella migliore delle ipotesi è di fronte ad una “rappresentazione”, eppure se ne lascia coinvolgere, emozionare.
Se l’artista ha fatto bene il suo “compito”, colui che ne fruisce prova una emozione, non necessariamente bella, ma che dentro di lui si configura come assolutamente vera.
Talvolta una emozione invasiva, talaltra sin anche invadente, emozione che l’artista ha volontariamente inteso generare nei fruitori della sua opera, spesso incaricandosi di provale per loro.
Io spiego con questo fenomeno, il fatto che al presunto artista, si riconosce benevolmente la definizione di genio collegato con la sregolatezza, quale come se fosse un “Valore” ineluttabilmente collegabile a chi “si incarica” di fare arte.
In fondo alla propria Ragione, si riconosce questo compito “sciamanico” all’artista, consentendogli una vena di follia, quella che in proprio non si ha il coraggio di liberare, e quindi la si delega all’artista.
Cos’è questo se non un atto catartico, l’opera prende vita delle emozioni reali dell’artista, che le mette a disposizione del pubblico, che ne prende atto condividendole e vivendole in modo profondo anche se virtuale.
Tornando allora al festival di Sanremo, quali emozioni fanno nascere i cosiddetti artisti al festival della canzone italiana?
Mi trovo davanti ad un altro “vaso di Pandora”, ma non mi tirerò certo indietro dall’aprirlo e dire la mia come al solito, anche se sò che rischierò di allungare un pò troppo l’articolo.
Sinceramente è piuttosto difficile individuare il germe dell’arte, nella maggior parte di ciò che sentiamo e vediamo al festival di Sanremo, comunque uno spunto interessante credo si possa trovare.
Per chi ha letto altri miei precedenti articoli, ho già parlato del mio modo di distinguere Arte da espressione, la differenza che vedo tra “Arte e tecnica” e soprattutto quella che ritengo la differenza tra Artista e Artigiano.
Anche al festival di Sanremo, si può riscontrare lo stesso “fenomeno” che si riscontra in altre performance artistiche.
I cosiddetti artisti spesso sono al massimo buoni (talvolta ottimi) artigiani: Operatori esperti nella loro specifica “tecnica”, ma che poco hanno a che vedere con l’arte.
Alcuni cantanti sono particolarmente intonati, nella voce di altri si riscontrano “colori” estremamente particolari, in altri si distinguono chiaramente grandi capacità interpretative, ma l’arte dov’è?
Ne ho già parlato nell’articolo: “l’Artista o la sua tecnica”, l’artista con qualsiasi Arte si misuri, ha il dovere di vedere “oltre”, di “sconfinare”, insomma di “ricercare” nel mondo delle emozioni o magari anche oltre, mettendo a disposizione del pubblico il frutto della sua ricerca.
Il “vulnus” è proprio qui, al Festival di Sanremo gli artisti/ricercatori, hanno sempre avuto magre soddisfazioni, questo denota la carenza di contenuti artistici, e la poca competenza di chi è chiamato a valutare, al massimo viene  promossa una buona “qualità artigiana”.
Gli esempi che personalmente ricordo sono diversi: Vasco Rossi al festival di Sanremo del 1983 si classificò al penultimo posto, con “Vita Spericolata” e poi sappiamo tutti come è andata a finire.
Furono scartati a Sanremo anche Lucio Battisti, Luigi Tenco, Lucio Dalla e altri, proprio i veri artisti/ricercatori.

La musa calliope

La musa calliope

Alcuni possiamo definirli veri e propri poeti oltre che ispirati musicisti, figli prediletti di Euterpe e di Calliope (musa della poesia), la “canzone” infatti è musica con in più poesia, infatti permette di ottenere dalla “rappresentazione” (l’esecuzione), il massimo di “spinta” emozionale possibile.

In questo novero è giusto citare in primo luogo Luigi Tenco e Lucio Dalla, entrambi cantautori, (compositori di musica e testi), estremamente preparati sul piano musicale (entrambi provenienti dall’ambiente Jazzistico).

Luigi Tenco

Luigi Tenco

Luigi Tenco aveva addirittura fatto l’arrangiatore alla “Ricordi”, ed entrambi avevano la poesia che gli scorreva nelle vene, in particolare Dalla.
Nel caso di Lucio Dalla dobbiamo sottolineare anche che la grande preparazione nelle esibizioni dal vivo, che gli derivavano dalla frequentazione del Jazz.

La qualità dagli innumerevoli concerti tenuti, ha rappresentato la strada maestra, attraverso la quale il cantautore bolognese ha consolidato nei decenni il rapporto con il suo pubblico.

annuncio morte luigi tenco

annuncio morte Luigi Tenco

Luigi Tenco spinse ai massimi confini la sua ricerca della catarsi, morì suicida a causa della sua esclusione dal festival di Sanremo, mise a disposizione le sue emozioni più estreme, per dimostrare quanto credesse nella sua arte, la Tragedia portata al suo compimento.
Non è facile esprimere opinioni su una persona che compie un gesto così estremo, non essere capiti è un destino comune a tanti artisti, ma io credo si debba attendere che il pubblico comprenda, magari accompagnandolo a capire, lavorando duro con coerenza.
Battisti invece è stato un esempio molto diverso, parliamo di un altro grande artista, che è maturato cammin facendo, mettendosi continuamente in discussione e rivedendo continuamente i propri contenuti e il suo approccio alla composizione.
Ai successi enormi della prima ora che lo videro coautore con Giulio Rapetti  (Mogol), di una lunghissima serie di album divenuti famosissimi, Battisti contrappose un lavoro di altissimo livello, assolutamente meno commerciale.

Lucio Battisti

Lucio Battisti

Nel 1972 fondò la sua casa discografica, la “NUMERO 1”, per non dover sopportare coercizioni di sorta nella sua ricerca musicale e avere massima libertà dai vincoli commerciali.
Furono i tempi de “Il mio canto libero”, brano entrato nella storia, nel 1982 nasce “E’ Già” il primo album senza Mogol, nel quale Battisti comincia a cercare nei suoi dischi un “mood” completamente nuovo, fondato su una poetica abissalmente diversa da quella della prima ora.
Lo sconvolgimento della poetica, lo portò a collaborare col poeta Pasquale Panella, che concettualmente condivideva pienamente anche la sua ricerca musicale.
Battisti evolve verso un suono molto più sofisticato e ai massimi livelli di modernità (anche per il largo impiego di musica elettronica, estremamente avanti per quei tempi.
I testi prendono un’aura estrema nel quale concretizzare un simbolismo ermetico, miscelandosi perfettamente con il tappeto musicale che li supportava.
Il nuovo sodalizio si concretizzò in C.S.A.R. primo risultato della sua frequentazione con la poesia Ermetica di Pasquale Panella, che Battisti riusciva a cantare  con grandissima disinvoltura, anche perché si confaceva moltissimo al suo modo di esecuzione.
L’ultimo album uscito poco prima della sua prematura scomparsa, nel 1994 si chiamerà “Hegel” a ribadire un ulteriore evoluzione della sua arte, un svolta che sottintendeva la filosofia, come primaria fonte di ispirazione.

Album Hegel Battisti

Album Hegel di Lucio Battisti

Il suo ultimo lavoro intitolato al noto filosofo dell’ “Assoluto”, evidenzia chiaramente la sua ferma intenzione di voler andare ben più al di là dei contenuti partoriti da Mogol.
I titoli di alcuni brani non lasciano adito a dubbi: oltre ad Hegel, c’è “Estetica”, “la Bellezza Riunita” ecc, il suo lavoro più ricco e ricercato.

Georg Wilhelm Friedrich Hegel 1831

Georg Wilhelm Friedrich Hegel 1831

Purtroppo anche nel suo caso, possiamo definirlo il suo “lascito”, la sua eredità per tutti noi, visto che la prematura scomparsa, fermo il suo lavoro di artista/ricercatore.
Qualche malalingua ha avuto il coraggio di definire questi lavori di Arte/Ricerca pura, “deliranti”, quando quel fervore di ricerca dell’Assoluto, è semplicemente il suo “duro e puro” misurarsi con l’arte.
Arte e “Ragione” per rimanere in ambito filosofico (Kantiano in particolare), non sono assolutamente in contrasto, anche se questa affermazione, per molto tempo ancora resterà incomprensibile ai più.
Nella nostra società continuiamo a “venerare” gli Ingegneri e a percepire gli artisti come poco più che barboni, non comprendendo il loro enorme apporto all’umanità, a quella caratteristica umana che ci rende unici, “Assoluti”.
Un vero artista ci costringe ad usare gli occhi, le orecchie, il cervello, il cuore (intesi soprattutto nella loro accezione metaforica), offre la possibilità di percepire l’ “Assoluto”,  senza obbligatoriamente doverlo comprendere del tutto.
Quel Assoluto del quale siamo fatti e al quale dobbiamo necessariamente tornare, per dare un senso al nostro “esistere”.
Qui bisognerebbe far entrare in gioco, il più grande dei misteri che abbiamo di fronte: la “Morte”, non pensata come il contrario di “vita”, ma il punto dove spazio e tempo coincidono nel medesimo concetto.
Sarei anche pronto a chiamare in causa il genio, che della filosofia ha fatto concretamente una scienza, non il contrario come oggi sembra normale:  Albert Einstein, ma sicuramente anche questo sarebbe tutto un altro articolo.

Francesco Campoli

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Arte Vs Tecnica

Posted in Tecnica Vs Concetto on aprile 15th, 2011 by

di Francesco Campoli

Identificare l’arte con virtuosismi nell’uso delle tecniche espressive, è un errore che sussiste praticamente da sempre, questo in effetti non valeva neanche quando un opera era talmente fedele alla realta da risultare un efficace surrogato della fotografia che non era ancora stata inventata.

Eleonora da Toledo e Giovanni de' Medici

Eleonora di Toledo e Giovanni de' Medici

Qui a fiaco vediamo un’opera del Bronzino che ne evidenzia la maestria tecnica, realista al punto da eguagliare sostanzialmente una fotografia, ma concettualmente si può mettere sullo stesso piano un artista e una macchina fotografica, fossanche una Hasselblad.
Bronzino in questa opera, non ha fatto molto per distanziarsi dalla definizione di ottimo artigiano (so già che si griderà all’eresia), ma per quanto tecnicamente di altissimo livello, quest’opera in pratica è una fotografia, infatti Agnolo Bronzino poteva essere definito il fotografo di Cosimo de’ Medici.
Spesso si sente definire l’Italia come quel paese che detiene il 70% del patrimonio artistico mondiale, non sono daccordo con questa definizione.
Il nostro è un patrimonio di enorme valore storico, semmai un enciclopedia “a cielo
Aperto” della storia dell’arte, come è noto da quanto ho scritto sinora il mio concetto di arte, “immodestamente” è molto diverso.

Agnolo Bronzino Nano Morgante

Agnolo Bronzino ritratto del Nano Morgante

Bronzino nel 2010 è stato protagonista di una frequentatissima mostra, ed è stato celebrato in pompa magna da notissimi critici mostra pubblicizzata stavolta si veramente ad arte.
Che fosse il “fotografo” di corte è indiscutibile, basti vedere che Cosimo de’ Medici, gli commissionò il ritratto del suo nano preferito (ne teneva 5 a corte), per carità realizzato in modo tecnicamente superbo, e visto che di certo il soggetto non può essere definito dei più ispiranti, realizzato con una professionalità incontestabile, ma  di artistico ha ben poco, almeno secondo il mio impudente punto di vista.
C’e stato un periodo nel quale si è incorsi nell’errore opposto, considerando arte il modo più sconclusionato di mettere insieme colori e forme, senza soluzione di continuità.

Marcel Duchamp

Marcel Duchamp

Il mitico Marcel Duchamp, sotto questo profilo seppe (artisticamente) ben sottolineare questa ridicola tendenza.
Dadaista della prima ora, genio multi disciplinare, fece un gesto clamoroso presentando ad una mostra nel 1917, sotto lo pseudonimo di R. Mutt, la famosa “Fontana”, un orinatoio “decontestualizzato”, nella migliore tradizione dadaista.
Gli stessi dadaisti, che davano di se stessi la definizione di fautori dell’arte non arte, in effetti avevano l’obiettivo di ridefinire, ampliare il concetto di arte:
Ccercavano di interrompere l’escalation di stravaganze “pseudoartistiche”, che ormai sovrastavano una produzione artistica, fatta di contenuti più che di forme e di colori in libertà.

Marcel Duchamp La fontaine1917

Marcel Duchamp La fontaine1917

Duchamp desiderava sottolineare che l’opera, non prende corpo dalla manualità dell’artista, ma nel suo pensiero, elevandola da opera materiale ad opera spirituale.
L’opera prende significato (e quindi valore), per quello che l’artista gli conferisce con la sua visione personale, spesso alternativa rispetto al comune “sentire”  dell’ epoca nella quale essa nasce.

La confusione che ancora sussiste sull’arte è anche frutto dello scarsa propensione alla concretezza di chi si aggira a vario titolo nel mondo dell’arte.
Quelli che vengono etichettati quali artisti solo perché escono dalle scuole d’arte, spesso è volentieri sono talmente prigionieri dei propri anni di studio, che al massimo diventano degli ottimi artigiani.
Un’altro modo per prendere la “patente” di artista, è attendere che sia rilasciata da un critico di grido, ma spesso è rilasciata più per meriti commerciali che per meriti artistici.
I licei artistici le scuole d’arte e le accademie di belle arti, anche per conformarsi nelle tempistiche ad altri corsi di studio legalmente riconosciuti, mettono in atto l’errore più madornale che si possa commettere nell’arte:
Mano a mano che si evolve negli studi, si è costretti a scegliere delle specializzazioni, queste sono quelle incluse nell’offerta formativa dell’accademia di belle arti di Roma:

  • Pittura
  • Decorazione
  • Scenografia
  • Scultura
  • Grafica d’Arte
  • Grafica editoriale
  • Didattica e comunicazione dell’arte
  • Comunicazione e valorizzazione del patrimonio artistico contemporaneo
  • Teorie e Tecniche dell’Audiovisivo

Come se si potesse essere artisti a compartimenti stagni, come se si potesse confinare un genio in una singola tecnica espressiva, semmai è vero esattamente il contrario.
Leonardo da vinci e Michelangelo Buonarroti, sono degli esempi sin troppo lampanti che questo non ha proprio alcun senso, visto quello che hanno espresso dentro e fuori il mondo dell’arte.
L’artista vero è l’incarnazione della creatività, crea dunque è, con una parafrasi di cartesiana memoria.
Il vero artista crea sempre e in qualunque modo ritenga di esprimersi, altrimenti sente di non esistere,  come artista ne men che meno come essere umano.
Imbrigliare l’arte in categorie, è come ergere cancelli sul mare.
Non è per fare sempre confronti, ma parlando del periodo ellenistico e romano, un artista era uso cercare ispirazione evocando una delle ben note muse.

le muse ispiratrici

le muse ispiratrici

Entrando nell’aura spirituale di queste divinità, si svolgeva attraverso la forma di espressione di “specifica competenza”, la funzione di mediatore tra umano e trascendente, che per me è il compito reale di ogni artista.
L’artista canalizza la “conoscenza” mostrandola nella più piena delle forme di coscienza.
Rileggendo certi personaggi alla luce di questa constatazione, si capisce l’essenza della loro opera Essi non hanno mai confini, ne geografici ne di tecnica, men che meno di contenuti.
Quello che l’artista rappresenta, è sempre prevalentemente simbolico.

Dosso Dossi Giove che dipinge farfalle

Dosso Dossi Giove che dipinge farfalle

Rappresentando una farfalla non si fa un’ opera di entomologia, ma si rappresenta la leggiadria con la quale vola il nostro pensiero.
Ali brillanti di colore che nel volgere del volo apparentemente senza meta, si fondono con l’ambiente in cui esistono.
Nella dinamica del battito, i colori sfumano gli uni negli altri cosi come fanno i pensieri,  si diluiscono gli uni negli altri, collegati da fili sottili che ne travalicano i limiti generando un “pensiero primordiale”, senza soluzione di continuità, il pensiero emancipato dal nostro libero arbitrio, vicinissimo a quello del nostro creatore.
L’arte non è confinabile in nessuna tecnica, l’arte prevalentemente è puro simbolismo, talvolta magari anche inconsapevole, ma anche questo è tutto un altro articolo.

Francesco Campoli

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