Artista o Sciamano

Posted in Filosofia dell'arte on aprile 12th, 2012 by

di Francesco Campoli

Nel mio esplorare l’Arte in tutti i sui aspetti non posso trascurarne gli aspetti antropologici, se non altro per inquadrarla meglio nell’ambito socio-culturale, che rappresenta una delle sue aree di pertinenza che più salta agli occhi. In un articolo precedente ho già accennato all’aspetto antropologico dell’Arte, senza mancare di citare la funzione dell’artista nel suo contesto socio-culturale. Antropologicamente la “Cultura” va intesa nel senso più ampio del termine, quale Ente caratterizzante della sfera sociale umana, la cultura è la condivisione di “Panel Valoriali” e dinamiche sociali collettivamente riconosciute e non l’insieme delle attività attinenti all’Arte, come spesso e volentieri, erroneamente viene intesa. Questa condivisione di valori e il riconoscimento di attività sociali (talune accettate, mentre altre socialmente invise), è l’aspetto fondante della specificità di una identità socio-culturale. Con il termine “Cultura”, più tecnicamente, si definisce un “organismo sociale” nel quale si condividono “valori” comuni, che in molti casi definiscono addirittura i “confini” della comunità medesima, come ad esempio avviene in comunità che si riconoscono in una specifica religione o, magari, ad individui che nascono in una specifica area geografica. Essendo l’Arte uno degli aspetti fondamentali di una “Cultura” (checché se ne dica), non si può non inquadrare antropologicamente anche la figura dell’artista, se non altro per cercare di dargli la giusta collocazione nel “Patto Sociale”. Seppure a prima vista l’accostamento nel titolo di questo articolo possa apparire strano, in effetti preavvisa molto sul suo contenuto, ma, sono certo, che la curiosità dei lettori non sia soddisfatta da questa minima anticipazione.

Professionisti

Professionisti

Innanzi tutto mi preme chiarire il mio definizione di “patto sociale”,  concetto nel quale tendo ad inserire anche il “compito” svolto delle varie “figure professionali”, nel contesto sociale di riferimento. Il medico ha il compito di custodire la salute di coloro che a lui si rivolgono, normalmente, a fronte dell’assunzione di questo importante impegno, gli viene riconosciuto un “rango” tra i più alti nella scala sociale propria di quel contesto. Un ingegnere, con la sua conoscenza, concorre alla progettazione e alla realizzazione delle strutture tecnologiche necessarie a “consolidare” l’ Habitat del vivere comune. Anche in questo caso, la società, riconosce giustamente a chi svolge questo ulteriore compito fondamentale, una dignità sociale perlomeno pari a quella del medico su citato. Per quanto concerne l’artista, quasi mai il riconoscimento di uno status sociale così elevato è altrettanto universale come negli esempi citati precedentemente. Per comprendere il valore della funzione dell’artista in una comunità, è necessario inquadrare bene la sua funzione nell’organismo sociale, per dar modo di classificarlo ad un livello di “considerazione sociale” proporzionato al suo reale apporto, che io, personalmente, ritengo ancor più fondamentale. Esaurita la funzione “documentaria” delle opere d’Arte, in virtù della quale l’apporto dell’artista al suo nucleo sociale era sufficientemente chiara, è necessario ridefinire la sua funzione, dopo l’avvento dell’arte informale o, come usa chiamarla sbagliando: Arte “Moderna”. L’opera d’Arte perdendo la sua funzione di “rappresentazione” della realtà (mimesi), consente all’artista di conquistarsi un ruolo socialmente molto più importante. Chi da allora intenda ritagliarsi un suo spazio nel mondo dell’Arte, si assume il compito di rappresentare i “valori” umani più “alti”, quelli più vicini all’essenza di “Umanità” stessa, che nulla hanno a che fare con l’Estetica, ne tanto meno con la “bellezza”, come invece spesso erroneamente usa credere. Certamente la perdita dell’oggettività della rappresentazione, in molti, ha aperto grandi problematiche nell’interpretazione delle opere. Non essendoci più l’oggettività, ne la necessità di elevatissime skills nelle tecniche (come invece poteva rilevarsi in un Agnolo Bronzino), dare un giudizio valore su ciò che si ha davanti diviene molto più impegnativo. Il coinvolgimento nell’interpretazione di sfere, (come ad esempio quella emotiva ed emozionale), sino ad allora poco prese in considerazione, rende questa attività molto complessa, anche tutt’ora, nonostante ormai l’arte informale sia parte integrante del nostro panorama percettivo. In molti fruitori, ma anche in tanti addetti ai lavori, si è consolidata l’idea che di un’opera d’Arte si possa dare una valutazione “soggettiva” (a me piace/a me non piace), sostituendola alla precedente valutazione su base oggettiva (del genere “è rappresentato” bene o male). Io sono certo che invece l’Arte sia sempre stata un “concetto assoluto”, non a caso insisto sulla mia tesi da quando ho iniziato a scrivere questo blog (anzi questo è il motivo per il quale il blog è nato), cercando di far concordare convintamente almeno i miei lettori, su una definizione di Arte pienamente condivisa, di conseguenza assolutamente non soggettiva. A mio modesto avviso, da questo fraintendimento di fondo, nasce l’equivoco dell’Arte sinonimo di “bello”, alla quale a suo tempo contribuì molto la visione di Benedetto Croce:

Benedetto Croce

Benedetto Croce

L’arte non può essere riflessione o giudizio, non ha nulla a che fare né con l’utile né col piacere né con la morale. Dunque è completamente autonoma. L’unico scopo dell’arte è l’arte stessa ovvero la bellezza artistica. Per Benedetto Croce, se un’opera non è “portatrice di bellezza”, non è un’ opera d’Arte. Molta dell’opinione pubblica e accademica italiana, ancora oggi è molto influenzata dalla visione “crociana”, ma spero che ormai dopo tante parole, almeno i miei lettori, concordino con me che questo è lontanissimo  dall’essere vero. Mi sembra inutile ribadire che questo principio crociano, che in parte deriva anche dalla concezione di Baumgarten (fondatore della moderna Estetica), può a malapena essere applicato alla funzione  “decorativa”, che inopportunamente molte opere d’Arte hanno svolto in altri periodi storici e che purtroppo, spesso e volentieri continuano a svolgere, anche ai giorni nostri. La decorazione  non è da considerare Arte, il decoratore è un artigiano non un artista, per quanto possa svolgere il suo mestiere in modo sublime. C’è da dire che per la decorazione, il rango di opera d’Arte viene meno “per definizione”. In Estetica, l’opera d’Arte deve mancare di una funzione utilitaristica, di una funzione pratica (lo ribadisce anche Croce dopo Baumgarten), l’opera d’Arte non può avere una funzione, quindi su questo tema non vi è alcun ulteriore luogo a procedere. Ho parlato molto della distinzione tra artista ed artigiano in un mio precedente articolo, soprattutto di come questo equivoco sia tuttora perpetrato nei licei artistici italiani, qualora abbiate la compiacenza di andare a rileggerlo sono certo che concorderete con me.

Probabilmente la proliferazione delle varie figure di critico, che sempre più spesso ci troviamo a dover ascoltare ai “vernissage”, è dovuta proprio alle incertezza che si è ingenerata su molte delle nostre attività artistiche. Spesso e volentieri, nei consessi artistici, il critico di turno parla ancora prima dell’artista, prima che egli possa spiegare gli obiettivi del proprio lavoro.

critico d'arte

Ascolta il critico all'opera sulle opere

Sembrerebbe non essere possibile un “tunneling emozionale” diretto, tra l’artista e il fruitore delle sue opere. Ci fanno apparire scontata la necessità di qualcuno che “santifichi” il lavoro dell’artista. Il Critico come “Sacerdote”, il solo preposto a somministrare il “sacramento artistico”, a legittimare l’artista in nostro nome e per nostro conto. Ovviamente non ho usato questi termini virgolettati a caso, anzi: Il parallelismo para-religioso non è casuale, così come non è casuale che la religione sia da comprendere tra le dinamiche tipicamente “Culturali”. Sono millenni che l’uomo si dibatte in questo equivoco, concordando o meno sulla necessità di un “filtro esterno”, al proprio personale “Senso del Trascendente”. Il “Senso interiore del Divino” è innato in ogni uomo, anche se si professa ateo. Esso vive a prescindere dalla disponibilità o meno di un “ministro” che lo gestisca in nostra vece.

congregazione per la dottrina della fede

congregazione per la dottrina della fede

Come tutti sappiamo, ci sono alcune persone che legittimate da articolate strutture gerarchiche, si arrogano il compito di canonizzare i tratti della “Fede”, di certificare l’aderenza o meno del fedele ai precetti, che, in molti casi, sono essi stessi a definire. Non essendo questo articolo un trattato di “Teologia Comparata”, vi risparmio esempi circostanziati di come questo fenomeno sia individuabile praticamente in ogni “Credo”. Mi preme però prendere le distanze dalla necessità di “ministri” (i critici ), dispensatori di “precetti di ortodossia artistica”, non per partito preso, ma per un motivo fondamentale della mia concezione del fare Arte, in tutte le sue declinazioni. Per quanto mi riguarda, credo che, nei confronti dell’Arte, esista una “coscienza interiore” che ogni uomo possiede innata , parimenti al senso del trascendente, che guarda caso si ripropone in tutte le culture, siano esse quelle antiche o dei nostri giorni. Il rapporto con un’opera d’Arte deve essere personale, se un “sacerdote” esiste (etimologicamente sacerdote deriva da Sacer (sacro) e Dot (fare), quindi “colui che fa ciò che è sacro”),  quello è l’artista medesimo. Sono certo che la pantomima delle spiegazioni preventive del critico di turno debba essere assolutamente evitata, proprio in ossequio a quanto sopra argomentato. Cosa c’è di più normale che lasciar parlare le opere d’Arte? E’ sufficiente pensare che, se l’artista è un vero artista, le sue opere sono nate proprio a questo scopo. Tornando alla collocazione sociale dell’artista e al suo compito nel contesto socio-culturale di riferimento, secondo me, l’artista ha un ruolo paragonabile a quello di uno Sciamano.

Sciamano Aborigeno Australiano

Sciamano Aborigeno Australiano

Nelle culture (Organizzazioni sociali) che ne prevedono la figura e l’operato (qui si comincia a capire il titolo dell’articolo), lo Sciamano è un ruolo che investe una persona del nucleo sociale a prescindere dalla sua volontà. Essere Sciamano è una ineluttabilità per colui che viene toccato da questo dono/maledizione.

sciamano pellerossa

sciamano pellerossa

Si dice che chi rifiuta il “dono” patisca pene e sofferenze indicibili, sino anche a rischiare la follia. Prendo a sostegno della mia tesi anche la prospettiva di questa condizione, mi viene di pensare alle vicessitudini psichiatriche di Antonio Ligabue, Vincent Van Gogh, Jean Michel Basquiat, Edvard Munch e molti altri sofferti artisti. Tra i poeti che hanno vissuto questa condizione troviamo l’esempio di Alda Merini, che trascorse molti anni in manicomio, prima che il suo “abbandonarsi” alla forza taumaturgica della poesia, gli restituisse la libertà e la dignità sociale che le spettava.

Alda Merini

la poetessa Alda Merini

Parlando ancora di poeti va citato il caso di Dino Campana.

dino campana

il poeta Dino Campana

Il suo rifiuto del sacro “dono” dell’Arte, in lui si concretizzo con la scrittura di un unico libro “I canti Orfici”, libro nel quale il viaggio “onirico” (che ne è il filo conduttore), ricorda moltissimo il viaggio “misterico” caratterizzante l’attività dello Sciamano. L’incompleta espressione del suo immenso talento, il rifiuto di mettere la sua Arte al servizio dell’umanità, portò Dino Campana a concludere tristemente la sua vita in un manicomio. Parimenti al dono sciamanico, il “dono artistico” non può essere rifiutato, se ce l’hai e lo rifiuti, il materialismo,  sul quale spesso si fonda questa scelta, in qualche modo distruggerà l’esistenza del pavido in virtù di una esistenza appiattita nel conformismo sociale. Un conto è non avere “mezzi cognitivi” che mettano in grado di valorizzare l’aspetto spirituale della vita, un conto è sopprimere volontariamente il richiamo del proprio “Karma”, un qualcosa di più del “destino, che, come in un ossessivo “Giorno della Marmotta“, ripresenterà all’anima la sfida che ha tentato di sfuggire

Sciamano Indiano

Sciamano Indiano

A fronte di questa viltà si riceverà in cambio solo l’omologazione, il pensiero inquadrato, castrante, dissecante per chi potrebbe sviluppare i propri talenti.
Senza scomodare Cristo e la “Parabola dei Talenti”, si potrebbe citare il “Sommo Poeta” Dante, che piazza all’inferno “Colui che per viltade fece il gran rifiuto“. Dante non identifica chiaramente il personaggio al quale rivolge questa accusa di “sacrilegio”, si dice che si riferisse a  Celestino V, il Papa che per paura del gravoso impegno, rifiutò il soglio pontificio ritirandosi poi in eremitaggio. Taluni altri esegeti del sommo poeta affermano che si tratti di Ponzio Pilato, il console romano in Israele, che si lavò le mani sull’ingiusta condanna irrogata a Gesù di Nazareth. Lo sciamano può essere immaginato come un “ponte” tra il mondo terreno e il mondo dello spirito, un ponte a disposizione dei membri della società nella quale è chiamato ad operare. L’artista ha un ruolo assolutamente paragonabile, questo ci si rende palesemente chiaro se abbiamo ben compreso che, l’ Arte afferisce al mondo della spiritualità, non certo a quello della manualità, anche per questo un’opera d’Arte  non può avere un prezzo, semmai ha un “Valore” che è tutta un’altra questione. Come è noto anche gli Sciamani godono di una dignità sociale ai massimi livelli della scala, riscuotono un enorme rispetto, purtroppo, nella società materialista dei nostri tempi, non è così per l’artista.

sciamano tibetano

Sciamano tibetano

Si tende a riconoscere senza remore il ruolo del medico così come quello dell’ingegnere (del professionista in generale), ma non si fa lo stesso per il ruolo dell’artista. Non si comprende che l’artista è il nostro tramite con il trascendente, soprattutto se il suo lavoro e la sua poetica, sono intrisi della necessaria purezza e onestà intellettuale. L’Arte non è un fatto di Estetica, piuttosto, assomiglia ad una pratica magica che l’Artista/Sciamano compie, in nome e per conto di coloro che hanno rifiutato il “sacro dono”, praticamente lavorando per salvargli l’anima. Un’opera d’Arte è una specie di “feticcio”, essa è in grado di assolvere pienamente la sua opera “taumaturgica”, anche se la si vive solo da fruitori. Nello sciamanesimo e in altre antiche culture animiste, il “feticcio” non era certo una pratica inconsueta. Lo Sciamano realizza per i suoi assistiti, dei “feticci”  ai quali tenta di conferire poteri magici. Il feticcio è la “concretizzazione” del suo operato presso gli spiriti, che egli va ad incontrare nel  viaggio sciamanico” e presso i quali cerca di ottenere soluzioni per coloro che a lui si rivolgono.

Feticci Magici

Feticci Magici

L’animo umano essendo puro spirito, nel mondo materiale (nella peggiore delle accezioni) vive molto male, ecco perché ha bisogno di mantenere un contatto, un legame (anche solo simbolico) con la propria “casa spirituale”. Parlo di quell’aldilà del quale sappiamo ancora molto poco e del quale, spesso, abbiamo una profonda paura, il terrore del non conosciuto appunto. Mettendo un quadro in casa, una scultura in una piazza, ascoltando una poesia o un concerto, riapriamo quel “tunnel” che ci rimette in contatto con il mondo origine del nostro spirito, che come dei feticci, danno la concreta speranza di mantenere aperta quella porta sull’universo. Amando l’opera d’Arte della quale ci siamo innamorati, senza conoscere il vero perchè, evitiamo di sentirci dissecati, separati dalla nostra metà più vicina alla verità. Ogni essere umano in modo assolutamente incomprensibile a livello razionale, percepisce una mancanza, uno iato che spesso cerca di colmare in modi non sempre ortodossi. Chi si lascia assalire dalla depressione, chi si abbandona alla droga o alle cattiverie più gratuite o alle abiezioni più squalificanti. Spesso sentiamo che la cattiveria umana, apparentemente, non ha un senso evidente, ma riflettendoci si comprende che è una forma di rivalsa, una vendetta scellerata contro il profondo dolore che, l’essere umano prova senza capirne coscientemente il perchè. Molti illustri psichiatri e impegnati psicologi, si chiedono il perché dell’aumento esponenziale della depressione e delle manifestazioni d’ansia patologica (ad esempio gli attacchi di panico), ma non trovano la giusta chiave di lettura per questa triste fenomenologia. Queste crescenti difficolta dipendono molto probabilmente dall’approccio completamente materialistico del nostro stile di vita. La rinuncia alla ricerca dell’altra metà di noi stessi, che non è da indirizzare solamente verso il  sesso opposto, ma anche e soprattutto nella ricerca della nostra parte spirituale, dispersa nello spazio/tempo cosmico, che  solo guardando dentro di noi possiamo tentare di esplorare. Senza quella parte fondamentale la carenza è troppo importante, perché in noi non si generino dinamiche dirompenti che rappresentano il nostro “inferno” già su questa terra.

Uomo della medicina

L'Uomo della medicina

L’Arte, quella vera ci può salvare, ecco perché è importante saperla riconoscere. L’artista diviene “l’uomo della medicina”, (come spesso lo Sciamano veniva chiamato), quello che con la potenza dei suoi feticci mantiene aperto il tunnell verso la nostra metà astrale, consentendoci almeno il guardare al di la ogni volta che lo vogliamo. L’artista crea “feticci”, “simboli” che hanno il potere di distruggere le nostre ansie, placare la sindrome da astinenza spirituale che senza preavviso sempre più spesso ci assale. Un’opera d’Arte agisce meglio di qualunque ansiolitico, di qualunque stupefacente, semplicemente perché agisce nella nostra sfera più profonda, quella dell’anima. L’anima quell’unica parte di noi che si conserverà per sempre, un alito di universo e l’universo, per definizione contiene tutto (anche noi) che ne siamo una componente essenziale.

simboli vari

simboli vari

Qualcuno obbietterà che un simbolo è solo un simbolo, ma dimentica che la nostra vita è piena di simboli infinitamente potenti, il materialismo che viviamo con sempre maggiore convinzione ci obnubila l’occhio mentale, impedendoci di vederne i profondi significati. Spesso si parla di significati nascosti nei simboli, invece essi sono li per noi, chiari come l’acqua di sorgente, basta aver voglia di sforzarsi di vedere, vedere con gli occhi del trascendente. Un’opera d’Arte è il modo più intuitivo di percepire il “valore” di un simbolo. Non è un caso che, quando ci troviamo al cospetto dell’opera “giusta”, saremmo pronti a “pagarla” qualsiasi somma, proprio perchè ne percepiamo l’enorme “valore”. Ci sarebbe da parlare molto a lungo della forza dei simboli, degli “Archetipi” che sono le fondamenta del pensiero umano, non è escluso che lo farò prima o poi, intanto, è importante almeno prendere coscienza di questa “fenomenologia”. L’ enorme potenza dei simboli, ci dovrebbe risultare ben evidente se, ad esempio, pensiamo alla Santa  Croce, a quali sentimenti essa è in grado di ridestare nei cristiani. Possiamo ragionare sul peso dei simboli nella magia e nell’alchimia, così come potremmo parlare dell’impatto dei simboli sulla psiche umana, come ben riferì Carl Gustav Jung nel suo ultimo saggio “L’Uomo e i Suoi Simboli”), ma questo sarebbe certamente tutto un altro articolo….

Francesco Campoli

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Arte “moderna” e Poesia “Ermetica”

Posted in l'Arte in ogni Arte on marzo 22nd, 2012 by

di Francesco Campoli

Salve a tutti questo nuovo articolo, può essere collocato nel solco di un altro che scrissi qualche tempo fa, nel quale esprimevo il mio parere, sulla distinzione tra arte cosiddetta “moderna” e quella che definiremmo “classica”.
L’intero blog è dedicato all’ identificazione di quel “filo rosso” che lega tutte le opere d’Arte, un “feel” che percepiamo chiaramente qualsiasi forma esse si trovino ad assumere.
Ormai è noto che io non amo fare distinzione tra Arte “moderna” e Arte “classica”, o meglio considero che l’Arte, se è Arte, non necessiti di alcun altro aggettivo.
I valori che include le danno corpo e dignità, le danno contenuto e spessore a prescindere dalla tecnica con la quale è “creata”.
La mia “blasfemia artistica”, mi consente di dire che spesso c’è più Arte nella cosiddetta “Arte moderna”, che in quella che preferisco chiamare “Antica”.
Comprendo che questa sia una affermazione forte, sulla quale ho già speso molte parole, nel cercare di non essere frainteso.
Chi non avesse letto tutti gli articoli precedenti, nei quali ne parlo ampiamente, prima di gridare alla bestemmia abbia la compiacenza di andare a rileggerli.
Con il parallelismo che propongo nel titolo, desidererei fare ancora un po’ più di luce sui miei “oscuri” ragionamenti, che spiritosamente potrei definire “Ermetici”.
Mi rendo conto dell’uso spropositato che faccio delle virgolette, comincio a metterle anche nei titoli, ma purtroppo non riesco a farne a meno, specialmente cercando di spiegare le mie audaci prese di posizione.
Proprio come nella “Poesia Ermetica”, il titolo, più di ogni altro caso, è un “Continuum” (Einsteinianamente parlando) con il resto dell’elaborato.
Anticipo che personalmente vedo chiaramente un rapporto, tra Arte moderna e Arte Classica, simile a quello che si configura nel rapporto tra “Poesia Classica” e “Poesia Ermetica”, anche storicamente parlando.
Parafrasando una Proporzione Matematica, potrei dire che: l’arte “moderna sta all’arte classica, come la Poesia “Ermetica” sta alla Poesia “Classica”, vengo e mi spiego:
Cosi come pittura e scultura, hanno avuto altissimi punti di svolta a livello di “cifra stilistica collettiva”, oltre che di “Poetica”, a cavallo del “Novecento”, anche la Poesia ha seguito una evoluzione paragonabile, cosi come tante altre tecniche artistiche.

Marc Chagall "la passeggiata"

Marc Chagall "la passeggiata"

Marc Chagall

Marc Chagall

Per quanto concerne la pittura, possiamo prendere ad esempio Marc Chagall (con l’abbandono della prospettiva) e Vassilij kandinskij con l’abbandono delle “Forme” nella pittura, tra fine ottocento e il “Novecento”, fu messa in atto una profonda metamorfosi.

Vassily Kandinsky

Vassily Kandinsky

Kandinsky "Composition VIII"

Kandinsky "Composition VIII"

Nella scultura possiamo citare August Rodin, quale precursore dell’abbandono della forma classica nella scultura, realizzava opere, che pur rimanendo fedeli allo stile statuario/monumentale classico,

Auguste Rodin 1891

Auguste Rodin 1891

furono estremamente innovative nei soggetti (talvolta anche trasgressivi per i suoi tempi) oltre che nel “non finito”, valorizzava il materiale nobile con il quale erano realizzate (prevalentemente marmo).

Rodin  tra l’altro sancisce l’abbandono della “Base”, tipica della scultura classica, nella quale talvolta era addirittura integrata nell’opera medesima.

Andromeda Auguste Rodin

Andromeda Auguste Rodin

Medardo Rosso fece il passo successivo. trasfigurando le forme e esplorando materiali “non tradizionali” (ad esempio la cera) che nella scultura “classica” naturalmente erano inconcepibili visto la funzione “monumentale” che le opere spesso ricoprivano.

Medardo Rosso

Medardo Rosso

Medardo Rosso Femme à la voilette 1893

Medardo Rosso Femme à la voilette 1893

Naturalmente non si può dimenticare Marcel Duchamp, che trasformò il concetto di scultura (e di cultura), ampliandolo provocatoriamente proprio per scardinare la “società conformista” tipica dell’epoca.

Marcel Duchamp

Marcel Duchamp

Seppure la rivoluzione culturale nell’arte, nella scienza, nella società in genere, sembravano aver rivoltato il comune sentire, egli riuscì a percepire il conformismo “travestito” da anticonformismo integralista.
Riuscì a smontarlo e a ridicolizzarlo attraverso le sue tante provocazioni, a partire da “la Fontaine” il famoso “Orinatoio decontestualizzato”, (del quale ho già parlato ampiamente in un articolo precedente).
Quella de “La Fontaine” è la provocazione certamente più famosa, ma non fu certo l’unica. Lo “Asciuga bottiglie”, fece altrettanto scalpore e, in questo caso Duchamp non lo firmò con lo pseudonimo di “Mutt” (con il quale firmò “La Fontaine”), ma lo firmo chiaramente con il suo nome.

Va detto che tra i vari travestimenti “artistici” di Marcel Duchamp, non figurano solo i suddetti, il più famoso e forse il più “pensato”, fu quello che lo trasformò nel suo “alter ego” femminile: Rrose Sélavy.

Rrose Selavy

Marcel Duchamp nei panni di Rrose Selavy

Per dar forza e credibilità a questa sua “versione femminile”, firmò molte opere e molti scritti con questo nome, sin anche ad intestarle il copyright della sua famosa “Fresh Widow”.

La finestra alla francese che Duchamp realizzò, sostituendo i vetri, con dei pannelli di pelle nera.

Marcel Duchamp Fresh Widow

Marcel Duchamp Fresh Widow

Al riguardo di questa pelle, prescrisse una lucidatura “manuale” giornaliera, che qualche “malalingua” assimilò ad un simulacro della “soddisfazione dei sensi” alternativa, alla quale doveva ricorrere (per conformismo appunto), una signora che recentemente avesse perduto l’amato (Widow significa appunto “Vedova”).

Celebre la sua frase “Mi sono costretto a contraddirmi per evitare di conformarmi ai miei stessi gusti!”, dal significato profondamente e genuinamente anticonformista.
Filippo Tommaso Marinetti e altri “Futuristi” come Umberto Boccioni completarono la “svolta”, contestualizzando la loro arte nell’epoca nella quale si trovavano a vivere, o meglio, nel futuro verso il quale si sentivano proiettati.

Futuristi Russolo Carrà Marinetti Boccioni Severini

Futuristi Russolo Carrà Marinetti Boccioni Severini

Per quanto riguarda l’Arte di tutte le Arti, la Poesia, la svolta del “Novecento la dobbiamo senz’altro a Giuseppe Ungaretti, il “padre nobile” della Poesia Ermetica.

giuseppe ungaretti

Giuseppe Ungaretti

Nacque a fine “Ottocento” ad Alessandria d’Egitto, in quanto suo padre lavorava alla costruzione del Canale di Suez, “casualmente” anche Filippo Tommaso Martinetti, il creatore di tante “Poesie Futuriste” nacque anche lui ad Alessandria d’Egitto (ma sarà proprio un caso?).
Dopo il periodo egiziano, si trasferisce a Parigi dove frequenta il ghota della cultura del tempo: Guillame Apollinaire, Pablo Picasso, Braque, De Chirico, Modiglioni, Soffici, Papini, Palazzeschi,  ritrova Marinetti e per suo tramite entra in contatto con Boccioni e con altri Futuristi.

umberto boccioni

umberto boccioni

Le “parole in libertà” stilisticamente rappresentano la parte letteraria del movimento “Futurista” di Marinetti, che ne seguì varie pubblicazioni, di scritti altrui e personali.

Umberto Boccioni 1913

Umberto Boccioni 1913

I contatti con Marinetti e i vari “Poeti Futuristi”, contribuirono senz’altro alla definizione della Poetica di Ungaretti e di conseguenza di tutti i “Poeti Ermetici”.
Ungaretti ebbe una vita difficile, intersecata con la guerra, esperienza dolorosa che però contribuì molto alla sua poetica, intrisa di sentimenti profondi e di intima sofferenza.

Nella sua opera la poesia perde i “fronzoli”, che storicamente ne erano sempre stati l’elemento distintivo, caratterizzante, condensandosi in una intensa “Concretezza Poetica”.
L’accezione “Poesia Ermetica”, è figlia della difficoltà di comprensione, per chi vi veniva in contatto senza la necessaria apertura mentale e sano desiderio di comprendere.
Tutti conoscono la “sintesi perfetta” della sua poesia più famosa: “Mattina”, scritta nel 1917
“M’illumino d’immenso”
In queste poche lettere, Ungaretti riesce a concentrare mirabilmente, tutte le sensazioni che nella sua anima, fa nascere un’alba su una spiaggia davanti al sole nascente.
Ma non è “Mattina”  necessariamente il più alto esempio della lirica di Giuseppe Ungaretti, anche se ne è la sintesi migliore:
Il suo “cimentarsi” con un tema “classico”, come il ricordo di una madre morta (la sua), ha tutta un’altra forza e tutta un’altra sensibilità:

La madre 1930

E il cuore quando d’un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d’ombra,
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi darai la mano.

In ginocchio, decisa,
sarai una statua davanti all’Eterno,
come già ti vedeva
quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia.
Come quando spirasti
dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando m’avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d’avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.

Utilizzare parole come scalpelli che scavano nelle emozioni, le pause come le ombre di un dipinto, gli aggettivi come i colori, i “Valori” come luci, le emozioni come velature, dov’è la differenza con il migliore dei dipinti o la più raffinata delle sculture?

Salvatore Quasimodo 1953

Salvatore Quasimodo 1953

Ungaretti apre la strada al “Nobel” a Salvatore Quasimodo e da la stura ad una nuova  grande tradizione della Poesia italiana.
Tanti  poeti ne hanno seguito le orme, costruendo la nuova casa della poesia italiana, anche appoggiansosi alle fondamenta create dagli “Ermetici” (Montale e Saba in prima linea ),  fino ai nostri giorni.
Facciamo l’ esempio di Alda Merini (poetessa per nulla “ermetica”), che con la sua vita e la sua arte, conferma che Poesia e sofferenza continuano ad andare a braccetto.

Alda Merini

Alda Merini

La sua esperienza nei manicomi del secolo scorso, ne fa un martire della poesia moderna, provate a cliccare sulla foto per sentirla recitare “Terra Santa” la sintesi migliore di quell’esperienza che le segnò la vita.
Scambiare un poeta per un pazzo potrebbe sembrare una cosa d’altri tempi, ma credetemi non è così.
Che svicola dai conformismi sociali, magari non viene internato, ma viene regolarmente emarginato, rigettato dalla società degli stereotipi.
Ungaretti aprì la via ad una nuova Poesia, ma si appoggiò sull’ Arte, quello zoccolo duro sul quale poggia ogni animo umano che ricerchi i “suoi Talenti”, in ogni settore dell’attività umana.
Come spesso ho fatto prima, mi viene di pensare ad Albert Einstein,  può apparire strana similitudine ma non lo è.
Einstein aprì la strada alla comprensione dell’universo, ricongiunse Spazio e Tempo, cosi come è già da sempre nel cuore dei Poeti.
Può la Fisica mutarsi in forma d’arte, caricarsi di poesia?
Un interrogativo affascinante, ma sicuramente anche questo sarebbe tutto un altro articolo.

Francesco Campoli

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Valore o Valori

Posted in Il "Valore" dell'Arte on febbraio 22nd, 2012 by

di Francesco Campoli

Come avrete avuto modo di vedere, Sculturaecultura e un Blog che si articola su tanti temi, che si riferiscono all’Arte in tutte le sue sfaccettature e declinazioni.
Credetemi non è voglia di allungare il brodo, l’Arte è un argomento complesso in se, ma soprattutto è una materia sulla quale regna una grande confusione, senza soluzione di continuità.
Principalmente è per questo mi sono posto il problema di ragionarci su molto attentamente, lo faccio per me, con l’obiettivo di migliorare la mia consapevolezza artistica e dare maggiore solidità progettuale alle mie opere, ma anche perché, per quanto in mio potere, spero di mettere ordine in questa “babele”, e mi auguro che questo sia di grande interesse per chi all’Arte è interessato a vario titolo.
Nella mente di un artista, le utopie, sono sempre un po’ più concrete che nella visione comune  collettiva, nella quale, tra l’altro, queste sono interpretate con una accezione negativa.
Distillare un po’ di questa consapevolezza artistica e, iniettarne il più possibile nella società, potrebbe realmente contribuire a costruire un nuovo “comune senso dell’Arte”.
Sul web tante utopie prendono più facilmente corpo, basti pensare all’elezione di Barak Obama alla presidenza degli Stati Uniti d’America, quindi non me la sento di  escludere a priori, che possa concretizzarsi anche la mia.
Condivido la mia idea con voi con grande piacere, una utopia molto condivisa, diventa più facilmente e più presto un fatto concreto.
Colgo l’occasione per ringraziarvi caldamente, viste le statistiche degli accessi al blog, che vi vede di giorno in giorno crescere sempre di più, ma soprattutto, bontà vostra, la lettura dei dati di accesso rivela un sempre maggiore interesse.
Al momento risulta un aumento vertiginoso del numero di pagine consultate per singolo visitatore.
Chi ha letto il resto del Blog, sa bene che uno degli argomenti che ho sollevato con maggior ardore, è quello del “valore” dell’Arte, una parola che scrivo sempre tra virgolette, perché ritengo che sia un termine usato spesso in modo ambiguo o quantomeno in modo non pienamente consapevole.
Purtroppo ai giorni nostri, l’accezione di “valore” maggiormente condivisa, tanto da risultare praticamente sottintesa, è quella concepita in senso “economico”.
Non voglio aprire qui una succursale dell’ ”Accademia della Crusca”, ma è noto che, la lingua italiana più di altre, prevede un termine maggiormente consono, a seconda del contesto lessicale nel quale lo si va ad articolare.
Il sinonimo più “popolare” per “valore”, è senza dubbio “prezzo”, ma in materia economica si può e si deve essere più precisi.
Il “mood” in questa materia, si percepisce bene leggendo con attenzione la definizione di “Valore” su un famoso vocabolario:

Valore
Caratteristica di un bene che indica il suo rapporto quantitativo di scambio con altri beni o con moneta (Valore di scambio) o l’utilità che esso rappresenta per chi lo possiede (Valore d’uso)

Valore di mercato
Quello effettivo di scambio, desunto statisticamente da contratti di compravendita conclusi sul mercato

Valore nominale (di una moneta, di un titolo di credito)
Quello ufficialmente fissato all’atto dell’ emissione |Valore aggiunto: Maggiore valore di beni o servizi prodotti, rispetto a quello dei beni o servizi impiegati nel processo produttivo.

Risulta quindi evidente che, le definizioni sopra elencate in relazione a questo lemma non sono applicabili ad alcun artefatto artistico, fatta salva, prosaicamente, la prima, quella che comunemente definiamo “Prezzo”, che, nel “mercato dell’Arte” con l’intento di nobilitarla, è definito “Quotazione”.
Vediamo allora la definizione di “Valore” intesa quindi in senso più largo.
Nello stesso vocabolario, viene “enunciata” con una definizione molto più “sbrigativa”.

Valore
Pregio, importanza di qualcosa dal punto di vista estetico, culturale, storico, scientifico, morale ecc.

Ho voluto riportare queste fredde citazioni, in quanto ritengo che parli da sola la “disinvoltura” con al quale è stata redatta la definizione di Valore.
Verrebbe da pensare che, nel comitato scientifico che redasse il noto dizionario di cui sopra, serpeggi una sorta di “razzismo” per le accezioni non a carattere economicistico.
Scherzi a parte, desideravo sottolineare che questa “visione economicistica”, purtroppo, è ormai preponderante nell’inconscio di tutti noi, tanto che, anche gli “esimi estensori” del noto vocabolario, cadono inconsciamente in questo lapsus.
Ovviamente, non desidero fare di questo caso un paradigma, sicuramente ci saranno vocabolari nei quali questo lemma è trattato con minori “pregiudizi”, ma credo comunque che, sia un esempio utile a sostegno della mia tesi.
Nella società di oggi, “Valore”, è un termine del quale si sorvolano troppo facilmente le molte sfaccettature, inconsciamente è sottinteso, sempre a favore della sua accezione “economicistica”.
I motivi sono molti, ma questo non è un saggio di sociologia, vale però la pena di sottolineare l’equivoco, il mondo dell’arte, purtroppo non fa certo eccezione e questo è molto preoccupante.
Parafrasando un vecchio spot commerciale dei miei tempi (i tempi di “Carosello”),

Carosello

Carosello

del quale erano  protagonisti “Titti” e il “gatto Silvestro”:    “He no!!!   Sull’Arte non si può”…..”

Titti e Silvestro

Titti e Silvestro

Il “valore” dell’Arte va ricercato nei Valori che realmente include. deve trattarsi dei più importanti per l’Uomo, qualcosa che “vale” in senso universale, altro che controvalore in “carta moneta”.
L’opera d’Arte non si compra, semmai si ricompensa economicamente l’artista per ciò che fa per la società, si sostiene il suo lavoro come quello di qualsiasi altro tipo di ricercatore.
L’artista ha senso in relazione ai “Valori” sui quali egli stesso è fondato e dai quali distilla i suoi lavori.
Il “Valore” dell’opera d’arte è prima di tutto nei “Valori” di colui che l’ha “data alla luce”.
Non è un errore di pragmatica, l’opera d’arte è visceralmente “figlia” dell’artista, infatti talvolta egli ha grandi difficoltà a separarsene.
“Essere” è un altro di quei lemmi semanticamente controversi, molto più autorevolmente di me ne ha parlato Martin Heidegger,

Martin Heidegger

Il filosofo Martin Heidegger

il famoso filosofo tedesco di “Essere e tempo”.
Heidegger ha fondato la sua filosofia, se vogliamo la sua metafisica, sul concetto di “Essere” cosi  come da lui pensato.
La parola italiana “essere”, in tedesco in effetti è molto più vicina al nostro vocabolo “esserci”, intendendo in pratica, colui che insiste con la propria “presenza” in uno spazio e in un tempo.
Anche Parmenide fondatore della scuola di Elea, centra la sua filosofia intorno all’ “essere” rafforzando la sua tesi con la contrapposizione al “non Essere”, confutandone le prerogative, con un approccio pienamente Razionale.

Parmenide di Elea

Parmenide di Elea

Parmenide paragona ”concettualmente” l’ “essere” ad una sfera perfetta, onnicomprensiva, finita, (che per gli antichi greci rappresentava la perfezione) un “Essere” perfettamente inscritto nel suo spazio e nel suo tempo, al di fuori del quale nulla sussiste.
Questa definizione sembra curiosamente richiamare la famosissima Teoria della Relatività, in particolare il rapporto spazio/tempo, dimostrato da Albert Einstein nel 1900,

secondo il quale, l’universo sarebbe uno spazio ripiegato su se stesso, se messo in relazione al tempo punto per punto.

Albert Einstein

Albert Einstein

Esser-ci, nel proprio spazio e nel proprio tempo, chi meglio dell’ artista può svolgere il ruolo di testimone di valori transeunti tipici della sua epoca, mediando con i “Valori Eterni” con i quali è “obbligato” per ruolo a confrontarsi.
Un compito immenso, che se svolto bene aiuterebbe a discernere scientemente nel “crogiolo” di sensazioni che “il vivere” ci sottopone. Capire meglio noi stessi e attraverso noi l’universo, la vera culla della nostra “essenza”.
L’arte non è un qualcosa di impalpabile, incomprensibile, stravagante, sregolata, ingiudicabile, come in usa pensare dando vita ad una sorta di “apofatismo sull’arte”.
Questo neologismo che mi pregio di aver coniato in queste righe, lascia trasparire la mia opinione sulla incontestabilità delle scelte artistiche o sull’allargamento senza soluzione di continuità delle forme d’arte:

Marcel Duchamp Man Ray 1930

Marcel Duchamp 1930 foto Man Ray

In nome di un falso “liberalismo artistico”, che già Marcel Duchamp ebbe a suo tempo, modo di contestare in maniera eclatante, ci capita di sentir definire artisti, personaggi di dubbia validità contenutistica e qualitativa.
Collegare il valore dell’opera al “Valore” dell’ ”Essere”/artista, ha una grande importanza per comprendere anche la sua importanza in relazione al suo valore per l’ “Essere”/corpo sociale, un argomento anche questo estremamente interessante, ma certamente anche questo è tutto un altro articolo.

Francesco Campoli

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Ridefinire l’Arte: Qualcuno le deve pur fare!!!

Posted in Estetica e Bellezza, Filosofia dell'arte on febbraio 6th, 2012 by

di Francesco Campoli

La “Main Question” di questo blog, è ormai nota e dichiarata: “Cos’è l’Arte?”, un obiettivo ambizioso: Fare un po’ di chiarezza nell’odierno “mondo dell’arte”.
Non è una mia forma estrema di presunzione, come si potrebbe pensare, dato che non sono certo il primo a cercare questa risposta, é un interrogativo che ci può aiutare a contribuire alla sopra citata chiarezza.
Devo chiarire, a scanso di equivoci e prima che qualcuno salti sulla sedia, che non è che mi ritengo più competente di altri ben più illustri predecessori, che prima di me si sono posti la stessa domanda.
In realtà quindi, questa “spropositata” domanda è un mero “esercizio speculativo”, che personalmente mi sono imposto, per dare dei “Valori” alla mia “Ricerca artistica”.
Ho lasciato che per anni la “vocazione” artistica si consolidasse in me, per evitare di disperdermi in attività “artistoidi”, completamente fuori tema, come purtroppo ho visto fare, da molti cosiddetti artisti che mi è capitato di incontrare.
Professionalmente io arrivo dal tanto decantato mondo della comunicazione, in particolare negli ultimi anni (otto), ho lavorato nella pubblicità, un mondo che autoreferenzialmente di definisce “Creativo”.
Questo aggettivo aveva attratto anche me, che della creatività avevo sempre fatto un punto di forza.
Alla fine la pietosa bugia che vivevo tutti i giorni (con la quale si consolano ancora molti grafici ed “Art director”), ha mostrato la corda, non foss’altro per manifesta incoerenza con l’ “Environment sociologico”, che ci accerchia ineluttabilmente
Quando un vocabolo è tanto articolatamente abusato, è fondamentale ritrovarne il significato reale, o magari definirne uno nuovo, non costituire un nuovo “ismo”, come da sempre usa fare, ma riuscire ad arrivare all’essenza.
Sarebbe ora di uscire dagli stereotipi di arte, “interpretata” da “esegeti” spesso non richiesti di artisti ai più vari livelli, è ora farsene una coscienza propria, servirebbe all’umanità.
Non è una affermazione retorica, è piena coscienza della profonda funzione dell’arte, per chi come me vuole vivere d’arte, dargli una connotazione meditata, equivale a trovare la propria identità d’artista, consentendosi di lavorare a ragion veduta.
Nel mondo di oggi, spesso l’arte è confinata nella sua funzione estetica, l’ Estetica è una importante branca della filosofia, che si relaziona col “bello” e talvolta entra in contatto con l’arte.
Spesso molti sembrano non avere coscienza, che l’ “Estetica” non basta di certo per definire l’arte.
E’ senz’altro una riflessione interessante da fare insieme, ma non ora, ovviamente perchè anche questo è tutto un altro articolo.

Francesco Campoli

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Il Brutto dell’arte

Posted in Estetica e Bellezza, Filosofia dell'arte on febbraio 2nd, 2012 by

di Francesco Campoli

Il gioco di parole nel titolo , vuole essere uno stimolo a riflettere circa le mie affermazioni sull’arte, una piccola provocazione per spingere i lettori a comprendere meglio le mie convinzioni.
Bellezza e suo contrario, come insistono nel mondo dell’arte? come sono percepite dai fruitori? Non si può non farsi questa domanda, riflettendo sul mondo dell’arte e la sua evoluzione nei secoli.
Parlando superficialmente di arte, è molto facile sentir “sproloquiare” di bellezza, quale essenza fondante in un’opera d’arte, ma allora si può parlare di arte se viene rappresentato qualcosa di oggettivamente brutto?
Tra l’altro tra le pieghe di questa domanda, si inserisce anche il trito e “ritrito” confronto, tra arte figurativa e arte informale, diatriba che si collega al quesito esposto sopra, in quanto esiste ancora qualcuno che sostiene che la “cosiddetta” arte moderna, sia troppo brutta per essere arte.
Ci sono stati grandi artisti del passato, che spesso hanno rappresentato anche cose “esteticamente” non particolarmente gradevoli, magari con grande maestria tecnica e andando all’essenza della loro rappresentazione.
Pablo Picasso lo fece in Guernica, un’opera che desta l’interesse di almeno un milione di visitatori l’anno, ma che per varie ragioni, non può essere presa ad esempio di opera d’arte che si fonda sulla rapresentazione del bello.
Picasso concependo il “Cubismo”, probabilmente intendeva proprio superare  il tabù della bellezza nell’arte, a favore dell’essenza del messaggio, attraverso l’utilizzo di un simbolismo meno “velato”, che magari esisteva anche nell’arte classica.

Guernica Picasso

Guernica Picasso

Quest’opera è un manifesto contro gli orrori di tutte le guerre, prende spunto dal tragico bombardamento della città basca di Guernica, durante la guerra civile spagnola.
Tirare in ballo la “bellezza” in quest’opera d’arte,  non è certo automatico, la bellezza del colore altrettanto, avendo Picasso a scelto di non usarne.
C’è da dire che è difficile, immaginare una scelta migliore, per esaltare la drammaticità della situazione e il prevalere della violenza, su tratti umani più edificanti.
L’essenzialità del tratto, non toglie nulla al ventaglio di emozioni terribili che Picasso desiderava rappresentare, alla faccia degli esercizi di tecnica che magari possiamo trovare in Rembrandt,

La Ronda di Notte Rembrandt

La Ronda di Notte Rembrandt

troviamo invece simboli e simbolismo ai più alti livelli, forza espressiva e certezze nella composizione, skill certo non deficitarie tra le prerogative “tecniche” di Pablo Picasso.
Rimanendo comunque nel solco della riflessione iniziale, voglio portare un esempio al di fuori della poetica cubista, di disinteresse verso la “rappresentazione del bello” : Hyeronimus Bosh.
Un esempio a mio avviso particolarmente calzante.  Hyeronimus Bosh seppure ispirato da tematiche molto diverse da quelle viste sopra, si esprimeva prevalentemente su contenuti a sfondo religioso/filosofico ed esoterico, che andavano per la maggiore all’epoca dello scisma luterano.
Con grandissima tecnica e manualità, Bosh non si può certo dire che cerchi il bello, anzi, magari si può pensare ad una compiacenza nell’indugiare sulla sua bravura.

Hieronymus Bosch La Tentazione

Hieronymus Bosch La Tentazione

Il famoso pittore fiammingo, che con i suoi lavori ispirò al connazionale Erasmo da Rotterdamm, il famoso “Elogio della Follia”, a prima vista sembra mostrare un mood visionario.
In realtà andrebbe evidenziata la sua enorme creatività, oltre alla disponibilità di maestria pittorica di altissimo livello, una creatività strettamente compressa nella “forma”, infatti è ancora piuttosto lontano l’avvento dell’arte informale.

Erasmo da Rotterdam

Erasmo da Rotterdamm

Sembra incredibile che il riconoscimento della “follia creativa”, quale esercizio necessario all’evoluzione dell’umanità intera, resti tutt’ora argomento praticamente ignorato.
Come è noto nel 1.450 fu  Erasmo da Rotterdamm con “Elogio della follia” a porre scientemente la questione, ma giorni nostri, è ancora necessario un “reminder” continuo, per cercare di scardinare le “trappole antropologiche” e gli equivoci sociologici.
Molti di noi ricorderanno il famoso discorso di Steves Jobs (Fondatore della Apple Computer e della Pixar Animation), con il quale si rivolse agli studenti neolaureandi dell’ universita di Standford, negli Stati Uniti.
Quel discorso, che purtroppo può essere inteso come il testamento “spirituale” del geniale Steve, dopo che recentemente il cancro, ha vinto la “battaglia” che  Jobs aveva intrapreso ormai da diversi anni.
“Stay hungry, stay fulish”, “Siate affamati (di conoscenza), Siate folli (più che semplicemente creativi), cosi concludeva il suo mitico discorso (click sull’immagine sotto)

Steve jobs a Stanford

Steve jobs a Stanford

Questa ormai storica affermazione, sembra un vero “Deja Vu”, un “repetita” su un insegnamento, che l’umanità non ha ancora recepito a pieno.
Se si guarda bene sembra che le “migliori menti”, vogliano indicarci la strada giusta, in pochi riusciamo a comprendere.

Albert Einstein

Albert Einstein

Albert Einstein, non ci ha lasciato solo la “Teoria della relatività Generale” (una delle chiavi dell’universo), la “Teoria dei Quanti di luce”, la “teoria delle lenti gravitazionali” e tante altre “magie” della fisica.
Einstein (neanche tanto velatamente), ci lasciò il “solito” messaggio sulla “follia”.
La famosissima foto che vedete qui a fianco, è un messaggio per chiunque lo sappia capire.
Un genio universale che si consente uno sberleffo, non è una caduta di stile che il conformismo di maniera gli ha sempre voluto appioppare, ma è invece il solito “reminder” per l’umanità.
Non so se tutti lo hanno già percepito, nel caso non fosse, spero con queste mie righe di aver fatto la mia modesta parte.
Il grande genio Albert Einstein, oltre alla fisica aveva anche molti interessi spirituali, soprattutto va detto che non considerava le due “sfere” disgiunte.
Non per elevarmi al rango dei geni su menzionati, ma un passetto alla mia portata lo vorrei tentare, proponendo una delle mie solite provocazioni:
E’ possibile che nel mondo dell’arte, questo messaggio venga sempre più ignorato? che venga ignorato il compito per il quale un Artista (vero) assume pienamente senso?
Rompere il giogo dei conformismi e lavorare per l’evoluzione, è un compito fondamentale per un “Essere” umano, che cerchi di essere realmente tale.
Segnalo prima che lo facciano altri, che mi riconosco in questa teoria ma che non è mia, per sostenere una trattazione filosofica su questo argomento, andrebbero tirati in ballo Heidegger (e il suo “Essere e tempo”) oltre Nietzsche con il suo  “Superuomo”.
Il mio obiettivo però è “solo” smontare il “Conformismo dilagante nell’arte”, non rivoluzionare il mondo, anche se personalmente lo ritengo una sorta di sinonimo.
Questa piaga è sempre più imperante, in primis quale conseguenza delle mostre “stereotipate” partorite per convenienza dal critico di turno, che snatura i veri messaggi degli  artisti, intrappolandoli in mostre a tema, inventando un “linking” tra le opere esposte per puri scopi commerciali e sfruttarne la disponibilità.
Si và creando una sorta di “Junk Culture”, che usa l’arte (o pseudo tale), per far da cornice ai ristoranti nei musei, un’arte facile, un’arte “per tutti” nel senso peggiore del temine.
Mi fermo qui, ma mi permetto di ricordare a me e ai lettori, che  rompere gli schemi culturali, è uno dei “carismi” che competono ad un artista.
Reputo molti interrogativi estremamente interessanti, ma per discutere del bello e del brutto nell’arte, bisognerà parlare anche di “Estetica”, intese nella più profonda accezione filosofica, ma sicuramente anche questo è tutto un’altro articolo.

Francesco Campoli

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Arte e Antropologia

Posted in Estetica e Bellezza on gennaio 29th, 2012 by

di Francesco Campoli

In questo nuovo articolo, mi piace ricordare le mie intenzioni nella stesura di questo blog: lasciare all’interlocutore una risposta propria ma consapevole all’ interrogativo di fondante di questo blog: cos’è l’arte?
In ognuno di noi esiste il piacere “para-narcisistico”, di veder condivise le nostre idee, desidero andare oltre questo obiettivo autoreferenziale, procedendo però in modo raffinato, nella migliore accezione dell’aggettivo retorico.
In sintesi, nelle mie intenzioni, c’è la volontà di proporre una congrua quantità di argomenti a sostegno della mia tesi sull’Arte, per fare in modo che gli interlocutori, giungano consapevolmente a conclusioni in accordo con la tesi medesima.
Considero questo un compendio dell’attività di artista, in quanto, un’Opera d’Arte, nella mia convinzione, è una forma alternativa più diretta e sintetica di altre, di proporre contenuti ed emozioni.
L’artista pubblica la sua opera, con l’intenzione che sia condivisa nei contenuti o nelle emozioni che desidera provocare, in piena similitudine con il processo che descrivo sopra.
Ho esordito con questa lunga premessa per non essere machiavellico, intendo da subito richiamare l’attenzione su un fattore fondamentale della dinamica che desidero instaurare nel blog, per mio principio essa non può che essere pienamente bidirezionale.
L’importanza del fruitore è fondamentale soprattutto perché “influenza“ l’Opera con la sua personale schematica percettiva.
L’Opera d’Arte assume un suo significato in funzione del fruitore medesimo, in particolare in relazione alla sua cultura. E’ lo specifico “cluster” antropologico, che definisce i “valori” percepiti in un’Opera d’Arte, in correlazione al “panel” valoriale, comune tipici del nucleo culturale nel quale il fruitore si è formato .

Non è difficile intuire che, intendo mettere sul tavolo un altro parametro che personalmente ritengo utile per rispondere alla “key question” di questo articolo: L’Arte ha una stretta identità antropologica.
Specifiche tematiche estetiche, definite dall’artista all’atto della creazione dell’Opera, vengono riconosciute per specifiche caratteristiche – una di queste, è ad esempio può essere l’assenza di un utilizzo pratico (Che definisce invece l’Artigianato) – per le quali l’Opera assume lo “status” di Opera d’Arte.
E’ pienamente intuitivo che questa sensibilità è diversa tra i diversi popoli, quindi un’Opera può essere intesa come artistica in una specifica area antropologica, come può essere assolutamente incomprensibile in un’altra, anche per questioni di tipo sociale.

Arte Aborigena australiana

esempio di Arte Aborigena australiana

Questo legame tra l’antropologia e l’arte, è stato a lungo indagato dall’antropologo inglese Alfred Gell. Gell lavorò caparbiamente per produrre una definizione “scientifica” di “Opera d’Arte”.

l'antropologo Alfred Gell

l'antropologo inglese Alfred Gell

Utilizzo in particolare confronti antropologici piuttosto interessanti, come ad esempio la distanza geografica e culturale tra le etnie che prese in considerazione.
Gell propone una distinzione molto accurata (che vi risparmio), fra considerazioni di natura filosofica (in particolare di Estetica), ma fondamentalmente analizza l’iterazione dell’Opera con il contesto antropologico nel quale è nata ed insiste.
In particolare, lo stimolava la ricerca di un denominatore comune che collegasse l’Opera pletoricamente riconosciuta nella nostra cultura, messa a confronto con alcune Opere Aborigene, che nei rispettivi luoghi di origine, godono della definizione di Opera d’Arte (massivamente riconosciute come tali).
L’idea di ricercare un denominatore comune tra le casistiche individuate ha piena dignità scientifica, ma certamente non un fattore facile da individuare.
Questo carattere comune, probabilmente è collocato molto in alto, nella scala valoriale e percettiva dei rispettivi nuclei antropologici, probabilmente in ambito spirituale.
Io personalmente posso raccontare un aneddoto che reputo estremamente calzante  di questo fenomeno antropologico: Qualche anno fa un amico ravennate, sposò una ragazza brasiliana di Manaus (Amazzonia Brasiliana).

Manaus ponte sul rio delle Amazzoni

Manaus ponte sul rio delle Amazzoni

Quando questa ragazza lo raggiunse definitivamente in Italia, lui si affannò molto per fargli conoscere il nostro Paese in modo che si ambientasse rapidamente.
Io ero presente durante la sua visita a Roma e in quella a Venezia.
Notai la sua faccia di fronte alle bellezze di questi due gioielli figli della nostra storia, così ricchi d’arte e di architettura.
Alle insistenti richieste di lui, “Ti piace?” con gli occhi che a lui stesso brillavano dalla meraviglia, la risposta di lei si limitò ad  una laconica: “Linda….” (bella), pronunciata con uno smarrimento e un’assenza che tradiva i suoi pensieri:
“Che avrà di bello stò posto, mi sembrano tutti matti a rimirare queste case vecchie, tutte allagate intorno”…. Si vedeva chiaramente che proprio non comprendeva la nostra ammirazione.
Nella sua Cultura, intesa appunto in senso antropologico – in quanto tra l’altro ce ne era anche una accademica, visto che nel suo Paese era anche laureata e lavorava in una grande banca brasiliana – la “nostra” Arte, era totalmente lontana dalle sue corde emozionali, magari sarebbe stata più pronta ad ammirare un particolare bosco italiano (venendo dall’ Amazzonia cuore verde del Brasile), sicuramente più vicino alla sua realtà socio-culturale.
Ho sempre pensato che la bellezza delle nostre città d’Arte (come vengono chiamate), fossero un punto indiscutibile, uno stereotipo universalmente riconosciuto, come lo è il mare al tramonto o il sole sulle “tre cime di Lavaredo” o l’alba sul Monte Bianco.

Alba sul monte Bianco

Alba sul monte Bianco

tramonto sulle Tre cime di Lavaredo

tramonto sulle Tre cime di Lavaredo

Evidentemente invece esiste una differenza sostanziale tra bellezza ed Estetica, un discrimine strettamente legato anche alla propria origine antropologica, una differenza fondamentale tra il “bello percepito” e il “bello assoluto”, ma questo, come dico sempre, è tutto un’altro articolo.

Francesco Campoli

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Illuminismo nell’arte

Posted in Filosofia dell'arte on gennaio 5th, 2012 by

di Francesco Campoli

Non è questo il terreno per approfondimenti di filosofia, ma al contrario ritengo che sia il posto giusto per ribadire il collegamento tra filosofia e arte.
Non può essere che un artista, nel suo mood personale, nella sua concezione artistica, non si colleghi in qualche modo ad uno o più concetti filosofici.
Certo è lecito affermare che questo non debba necessariamente avvenire in modo coscente, ma allora in coerenza con il l’interrogativo di fondo del blog, viene da chiedersi: Nel caso di “incoscenza filosofica”, possiamo realmente parlare di un artista?
Per argomentare una risposta a questa ferale domanda,  ci viene in aiuto Immanuel Kant, filosofo fondamentale, del quale non sono certo io il primo a scoprire la qualità e l’importanza dell’opera.

Immanuel Kant

La cosa caratterizzante di Kant è la sua visione rivoluzionaria, come la chiama lui stesso “rivoluzione copernicana” del modo di concepire  e soprattutto di applicare la filosofia.
La visione kantiana ribalta completamente, le modalità con le quali definire la conoscenza e i “Valori” con i quali interiorizzare le cose del mondo.
Sicuramente Kant è definibile un  illuminista, non foss’altro per la maniera in cui valorizza l’uso de “la Ragione” (il Pensiero), addirittura estendendone i margini rispetto all’illuminismo settecentesco.
Le specifiche del pensiero kantiano, a mio avviso, lo rendono molto utile a comprendere l’essenza della creazione artistica, soprattutto per chi come me da moltissima importanza  alla fase di ideazione.
Egli non rinuncia ad aprire “razionalmente” anche ad un approccio empirico.
L’empirismo da sempre è stato visto come l’unico approccio possibile, per la comprensione del “creato” artistico.
La rivoluzione kantiana, a mio avviso allarga l’uso della Ragione nel verso giusto, con l’obiettivo di costruire un nuovo approccio di “pensiero integrato”, sicuramente più adatto, alla comprensione del messaggio artistico, in barba alla sterile contrapposizione Razionalismo/Empirismo.
Kant si distacca chiaramente anche da quest’ultimo, che vede possibile l’acquisizione di conoscenza, solo passando attraverso l’esperienza diretta, l’Arte è la riprova che questo non è assolutamente vero: Chiunque può percepire la bellezza di un’opera di Mozart, senza saper suonare o comporre.
Secondo Kant “la Ragione”, non consente a nessun essere umano, la percezione dell’assoluto di ciò che gli appare, ognuno ha una percezione propria, in genere filtrata dalle personali capacità di giudizio.
Da questo sembrerebbero possibili, infinite percezioni di una medesima rappresentazione (in particolare artisticamente parlando”, ma Kant individua l’universalità della percezione, deducendola dall’universalità del “processo” di percezione, che ritiene identico in ogni essere umano, a prescindere dal suo livello di conoscenza.
Ecco secondo Kant  il motivo dell’universalità del bello: Ci sono cose che in ogni essere umano, trovano collocazione nella “categoria del “Bello”.
Il tramonto, i fiori e i loro colori, la Luna piena di notte sul mare, sono stereotipi assoluti della percezione del bello, percezione alla portata di tutti.
Questo  filosoficamente parlando, ci porta dritti dritti alla necessità di arrivare ad una definizione di “Estetica”, in generale e, secondo la visione di Immanuel Kant.
Kant tratta di Estetica in accordo che i valori sui quali fonda la sua filosofia, in “Critica della ragion pura”, ma questo è tutto un’altro articolo.

Francesco Campoli

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Arte Vs Tecnica

Posted in Tecnica Vs Concetto on aprile 15th, 2011 by

di Francesco Campoli

Identificare l’arte con virtuosismi nell’uso delle tecniche espressive, è un errore che sussiste praticamente da sempre, questo in effetti non valeva neanche quando un opera era talmente fedele alla realta da risultare un efficace surrogato della fotografia che non era ancora stata inventata.

Eleonora da Toledo e Giovanni de' Medici

Eleonora di Toledo e Giovanni de' Medici

Qui a fiaco vediamo un’opera del Bronzino che ne evidenzia la maestria tecnica, realista al punto da eguagliare sostanzialmente una fotografia, ma concettualmente si può mettere sullo stesso piano un artista e una macchina fotografica, fossanche una Hasselblad.
Bronzino in questa opera, non ha fatto molto per distanziarsi dalla definizione di ottimo artigiano (so già che si griderà all’eresia), ma per quanto tecnicamente di altissimo livello, quest’opera in pratica è una fotografia, infatti Agnolo Bronzino poteva essere definito il fotografo di Cosimo de’ Medici.
Spesso si sente definire l’Italia come quel paese che detiene il 70% del patrimonio artistico mondiale, non sono daccordo con questa definizione.
Il nostro è un patrimonio di enorme valore storico, semmai un enciclopedia “a cielo
Aperto” della storia dell’arte, come è noto da quanto ho scritto sinora il mio concetto di arte, “immodestamente” è molto diverso.

Agnolo Bronzino Nano Morgante

Agnolo Bronzino ritratto del Nano Morgante

Bronzino nel 2010 è stato protagonista di una frequentatissima mostra, ed è stato celebrato in pompa magna da notissimi critici mostra pubblicizzata stavolta si veramente ad arte.
Che fosse il “fotografo” di corte è indiscutibile, basti vedere che Cosimo de’ Medici, gli commissionò il ritratto del suo nano preferito (ne teneva 5 a corte), per carità realizzato in modo tecnicamente superbo, e visto che di certo il soggetto non può essere definito dei più ispiranti, realizzato con una professionalità incontestabile, ma  di artistico ha ben poco, almeno secondo il mio impudente punto di vista.
C’e stato un periodo nel quale si è incorsi nell’errore opposto, considerando arte il modo più sconclusionato di mettere insieme colori e forme, senza soluzione di continuità.

Marcel Duchamp

Marcel Duchamp

Il mitico Marcel Duchamp, sotto questo profilo seppe (artisticamente) ben sottolineare questa ridicola tendenza.
Dadaista della prima ora, genio multi disciplinare, fece un gesto clamoroso presentando ad una mostra nel 1917, sotto lo pseudonimo di R. Mutt, la famosa “Fontana”, un orinatoio “decontestualizzato”, nella migliore tradizione dadaista.
Gli stessi dadaisti, che davano di se stessi la definizione di fautori dell’arte non arte, in effetti avevano l’obiettivo di ridefinire, ampliare il concetto di arte:
Ccercavano di interrompere l’escalation di stravaganze “pseudoartistiche”, che ormai sovrastavano una produzione artistica, fatta di contenuti più che di forme e di colori in libertà.

Marcel Duchamp La fontaine1917

Marcel Duchamp La fontaine1917

Duchamp desiderava sottolineare che l’opera, non prende corpo dalla manualità dell’artista, ma nel suo pensiero, elevandola da opera materiale ad opera spirituale.
L’opera prende significato (e quindi valore), per quello che l’artista gli conferisce con la sua visione personale, spesso alternativa rispetto al comune “sentire”  dell’ epoca nella quale essa nasce.

La confusione che ancora sussiste sull’arte è anche frutto dello scarsa propensione alla concretezza di chi si aggira a vario titolo nel mondo dell’arte.
Quelli che vengono etichettati quali artisti solo perché escono dalle scuole d’arte, spesso è volentieri sono talmente prigionieri dei propri anni di studio, che al massimo diventano degli ottimi artigiani.
Un’altro modo per prendere la “patente” di artista, è attendere che sia rilasciata da un critico di grido, ma spesso è rilasciata più per meriti commerciali che per meriti artistici.
I licei artistici le scuole d’arte e le accademie di belle arti, anche per conformarsi nelle tempistiche ad altri corsi di studio legalmente riconosciuti, mettono in atto l’errore più madornale che si possa commettere nell’arte:
Mano a mano che si evolve negli studi, si è costretti a scegliere delle specializzazioni, queste sono quelle incluse nell’offerta formativa dell’accademia di belle arti di Roma:

  • Pittura
  • Decorazione
  • Scenografia
  • Scultura
  • Grafica d’Arte
  • Grafica editoriale
  • Didattica e comunicazione dell’arte
  • Comunicazione e valorizzazione del patrimonio artistico contemporaneo
  • Teorie e Tecniche dell’Audiovisivo

Come se si potesse essere artisti a compartimenti stagni, come se si potesse confinare un genio in una singola tecnica espressiva, semmai è vero esattamente il contrario.
Leonardo da vinci e Michelangelo Buonarroti, sono degli esempi sin troppo lampanti che questo non ha proprio alcun senso, visto quello che hanno espresso dentro e fuori il mondo dell’arte.
L’artista vero è l’incarnazione della creatività, crea dunque è, con una parafrasi di cartesiana memoria.
Il vero artista crea sempre e in qualunque modo ritenga di esprimersi, altrimenti sente di non esistere,  come artista ne men che meno come essere umano.
Imbrigliare l’arte in categorie, è come ergere cancelli sul mare.
Non è per fare sempre confronti, ma parlando del periodo ellenistico e romano, un artista era uso cercare ispirazione evocando una delle ben note muse.

le muse ispiratrici

le muse ispiratrici

Entrando nell’aura spirituale di queste divinità, si svolgeva attraverso la forma di espressione di “specifica competenza”, la funzione di mediatore tra umano e trascendente, che per me è il compito reale di ogni artista.
L’artista canalizza la “conoscenza” mostrandola nella più piena delle forme di coscienza.
Rileggendo certi personaggi alla luce di questa constatazione, si capisce l’essenza della loro opera Essi non hanno mai confini, ne geografici ne di tecnica, men che meno di contenuti.
Quello che l’artista rappresenta, è sempre prevalentemente simbolico.

Dosso Dossi Giove che dipinge farfalle

Dosso Dossi Giove che dipinge farfalle

Rappresentando una farfalla non si fa un’ opera di entomologia, ma si rappresenta la leggiadria con la quale vola il nostro pensiero.
Ali brillanti di colore che nel volgere del volo apparentemente senza meta, si fondono con l’ambiente in cui esistono.
Nella dinamica del battito, i colori sfumano gli uni negli altri cosi come fanno i pensieri,  si diluiscono gli uni negli altri, collegati da fili sottili che ne travalicano i limiti generando un “pensiero primordiale”, senza soluzione di continuità, il pensiero emancipato dal nostro libero arbitrio, vicinissimo a quello del nostro creatore.
L’arte non è confinabile in nessuna tecnica, l’arte prevalentemente è puro simbolismo, talvolta magari anche inconsapevole, ma anche questo è tutto un altro articolo.

Francesco Campoli

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Artista o Ricercatore

Posted in Filosofia dell'arte on marzo 30th, 2011 by Francesco

di Francesco Campoli

Ricercare è il compito di chiunque si cimenti in qualsiasi disciplina, non ne discutiamo neanche se si tratta di una delle sette arti.
Ed ecco che siamo qui di nuovo a ragionare sull’interrogativo di fondo di questo blog: Cosa definisce un vero artista?
So bene che qui partirà il coro delle solite ovvietà a sfondo “eroico-romantico”.
“L’arte non vuole definizioni ne confini”, “l’arte consiste nel rappresentare ciò che non esiste”,“L’arte è la forma più alta della speranza”, e così via.
Vi sono poi altri filoni quali quello a sfondo introspettivo-psicanalitico, anch’essi non certo da accettare superficialmente.

Karl Popper

Il filosofo Karl Popper

Per dirla con Karl Popper: “l’arte è l’espressione della personalità” , “io sono importante nell’arte”, “io mi devo esprimere”, “io devo comunicare”, “Questo è tutto quello che è importante nell’arte. Questo è ciò che ha rovinato l’arte.”
Il Razionalismo Critico come lo definisce Popper, può senza tema di smentita, essere definito come, una delle armi, che guidano l’uomo verso la propria evoluzione (e non è un caso se non dico “l’Umanità”), così come il Razionalismo Acritico (radicale), è quello che lo porta verso l’autodistruzione (e non necessariamente quella “fisica”).
Razionalizzare sulle proprie percezioni e sulle proprie azioni (e conseguenti reazioni), è un fatto molto positivo, così come negare aprioristicamente altre “Vie”, è assolutamente negativo.
Se una distinzione, che può sembrare semplicemente retorica, pare poter definire la linea di confine tra il bene e il male, è evidente che stiamo trattando un argomento cogente, la cui trattazione non è differibile.
Karl Popper non fa distinzione tra Razionalismo ed Empirismo, si “muove” solo nell’area razionalistica, lascia però aperta la porta dell’intelletto, che può conseguire conquiste sempre nuove.
Essere disposti ad andare oltre alla “conoscenza” (spesso erroneamente considerata uno “status quo”, oltre il quale non si può andare), è l’unica via possibile per puntare ad una possibile evoluzione.
Negare la possibilità di un cambiamento (inteso in senso evolutivo), è una concezione tipica di un oscurantismo retrivo, che lo assimila automaticamente al peccato.

Galileo Galilei

Galileo Galilei

La storia di Galileo Galilei è sempre un buon esempio, anche se facilmente si può allargare a Giordano Bruno e come prototipo massimo alla storia di Cristo stesso.
Non è un caso che certe religioni, o meglio specifiche “Gerarchie Religiose”, fondino la loro primazia, sull’ esegesi di antichi e sacri testi (e non parlo certo del solo cattolicesimo).
Il fatto che siano antichi sembra essere sinonimo di “saggi”, l’aggettivo “sacri” invece, sottintende che non possono essere discussi, da qui l’importanza di chi ne possiede la suddetta primazia interpretativa e applicativa.

Giordano Bruno

Il 29 gennaio del 1600 il Tribunale del S. Uffizio condanna a morte per eresia Giordano Bruno

Il Razionalismo ottuso è legato all’oscurantismo da profonde radici comuni, forse parlando di arte sarebbe utile coniare il neologismo “Razionalismo Empirico”, forse un passo avanti rispetto allo stesso Razionalismo Critico.
Una cosa è certa, Arte è anche sinonimo di pensiero e per definizione, il pensiero deve andare avanti.
Ho una visione illuminista dell’arte? Una cosa è certa:questo è sicuramente un altro articolo.

Francesco Campoli

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L’Artista o la sua tecnica

Posted in Filosofia dell'arte, Tecnica Vs Concetto on gennaio 27th, 2011 by Francesco

di Francesco Campoli

Nell’eterno bisogno di appiccicare etichette (tag se volete), ad ogni artista si cerca di appioppare un ruolo definito, un “confine” nel quale gli si concede di muoversi, gli si assegna il suo spazio.
Dalla necessità filologica e storica di “far ordine”, nella grande produzione dell’intelletto dell’uomo,  come al solito si è sconfinato nella solita distribuzione di patenti, con attribuzioni in pieno “conflitto di competenza”, sconfinati di ruolo che definirei razziste.
All’interno di quello spazio “assegnato”, al massimo si concede una “corrente”, nella quale incasellare un modo di comunicare, di concepire le proprie opere.
Iperrealismo, costruttivismo, cubismo, surrealismo, astrattismo, dadaismo e via discorrendo, non bastano come definizioni, si vuole rinchiudere l’artista nel ghetto di una Tecnica, Scultore, Pittore, Fotografo, Musicista, ecc. e poi si scopre che Michelangelo era scultore, si ma anche pittore, che Joan Mirò era un pittore ma anche uno splendido ceramista e scultore,

ceramiche di mirò

ceramiche di mirò

che Picasso noto perchè era cubista, ma guarda caso aveva una padronanza “del mezzo” paragonabile a Francisco Goya.

Picasso

Prima di essere Cubista

Tralasciamo Salvator Dalì, che “addirittura si permise” uno sconfinamento nel cinema, oltre alla fotografia, alla scrittura, alla scultura ecc.
L’esperienza nella “Settima arte”, avenne affiancando nientemeno che Walt Disney nel “corto” (come si direbbe ora), dal titolo “Destino”

Disney Dalì Destino

Una scena di "Destino"

nel quale non si può non riconoscere, la poetica e i “simboli” frutto della ricerca artistica del genio di Figueras.
Il fatto che il cinema sia chiamato la “settima” arte, presume addirittura un “ordine di apparizione”, delle tecniche espressive e non voglio neanche pensare,  che questa scala magari,  sia anche da intendere come scala di valori.
A mio modesto avviso solo un “ismo”, fu degno di essere menzionato nella storia dell’arte: il “Futurismo”.
Il Futurismo fù realmente  “Concepito”, meditato e poi declinato in tutte le tecniche possibili e immaginabili.
Ma questo è tutto un’altro articolo……..

Francesco Campoli

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