Valore o Valori

Posted in Il "Valore" dell'Arte on febbraio 22nd, 2012 by

di Francesco Campoli

Come avrete avuto modo di vedere, Sculturaecultura e un Blog che si articola su tanti temi, che si riferiscono all’Arte in tutte le sue sfaccettature e declinazioni.
Credetemi non è voglia di allungare il brodo, l’Arte è un argomento complesso in se, ma soprattutto è una materia sulla quale regna una grande confusione, senza soluzione di continuità.
Principalmente è per questo mi sono posto il problema di ragionarci su molto attentamente, lo faccio per me, con l’obiettivo di migliorare la mia consapevolezza artistica e dare maggiore solidità progettuale alle mie opere, ma anche perché, per quanto in mio potere, spero di mettere ordine in questa “babele”, e mi auguro che questo sia di grande interesse per chi all’Arte è interessato a vario titolo.
Nella mente di un artista, le utopie, sono sempre un po’ più concrete che nella visione comune  collettiva, nella quale, tra l’altro, queste sono interpretate con una accezione negativa.
Distillare un po’ di questa consapevolezza artistica e, iniettarne il più possibile nella società, potrebbe realmente contribuire a costruire un nuovo “comune senso dell’Arte”.
Sul web tante utopie prendono più facilmente corpo, basti pensare all’elezione di Barak Obama alla presidenza degli Stati Uniti d’America, quindi non me la sento di  escludere a priori, che possa concretizzarsi anche la mia.
Condivido la mia idea con voi con grande piacere, una utopia molto condivisa, diventa più facilmente e più presto un fatto concreto.
Colgo l’occasione per ringraziarvi caldamente, viste le statistiche degli accessi al blog, che vi vede di giorno in giorno crescere sempre di più, ma soprattutto, bontà vostra, la lettura dei dati di accesso rivela un sempre maggiore interesse.
Al momento risulta un aumento vertiginoso del numero di pagine consultate per singolo visitatore.
Chi ha letto il resto del Blog, sa bene che uno degli argomenti che ho sollevato con maggior ardore, è quello del “valore” dell’Arte, una parola che scrivo sempre tra virgolette, perché ritengo che sia un termine usato spesso in modo ambiguo o quantomeno in modo non pienamente consapevole.
Purtroppo ai giorni nostri, l’accezione di “valore” maggiormente condivisa, tanto da risultare praticamente sottintesa, è quella concepita in senso “economico”.
Non voglio aprire qui una succursale dell’ ”Accademia della Crusca”, ma è noto che, la lingua italiana più di altre, prevede un termine maggiormente consono, a seconda del contesto lessicale nel quale lo si va ad articolare.
Il sinonimo più “popolare” per “valore”, è senza dubbio “prezzo”, ma in materia economica si può e si deve essere più precisi.
Il “mood” in questa materia, si percepisce bene leggendo con attenzione la definizione di “Valore” su un famoso vocabolario:

Valore
Caratteristica di un bene che indica il suo rapporto quantitativo di scambio con altri beni o con moneta (Valore di scambio) o l’utilità che esso rappresenta per chi lo possiede (Valore d’uso)

Valore di mercato
Quello effettivo di scambio, desunto statisticamente da contratti di compravendita conclusi sul mercato

Valore nominale (di una moneta, di un titolo di credito)
Quello ufficialmente fissato all’atto dell’ emissione |Valore aggiunto: Maggiore valore di beni o servizi prodotti, rispetto a quello dei beni o servizi impiegati nel processo produttivo.

Risulta quindi evidente che, le definizioni sopra elencate in relazione a questo lemma non sono applicabili ad alcun artefatto artistico, fatta salva, prosaicamente, la prima, quella che comunemente definiamo “Prezzo”, che, nel “mercato dell’Arte” con l’intento di nobilitarla, è definito “Quotazione”.
Vediamo allora la definizione di “Valore” intesa quindi in senso più largo.
Nello stesso vocabolario, viene “enunciata” con una definizione molto più “sbrigativa”.

Valore
Pregio, importanza di qualcosa dal punto di vista estetico, culturale, storico, scientifico, morale ecc.

Ho voluto riportare queste fredde citazioni, in quanto ritengo che parli da sola la “disinvoltura” con al quale è stata redatta la definizione di Valore.
Verrebbe da pensare che, nel comitato scientifico che redasse il noto dizionario di cui sopra, serpeggi una sorta di “razzismo” per le accezioni non a carattere economicistico.
Scherzi a parte, desideravo sottolineare che questa “visione economicistica”, purtroppo, è ormai preponderante nell’inconscio di tutti noi, tanto che, anche gli “esimi estensori” del noto vocabolario, cadono inconsciamente in questo lapsus.
Ovviamente, non desidero fare di questo caso un paradigma, sicuramente ci saranno vocabolari nei quali questo lemma è trattato con minori “pregiudizi”, ma credo comunque che, sia un esempio utile a sostegno della mia tesi.
Nella società di oggi, “Valore”, è un termine del quale si sorvolano troppo facilmente le molte sfaccettature, inconsciamente è sottinteso, sempre a favore della sua accezione “economicistica”.
I motivi sono molti, ma questo non è un saggio di sociologia, vale però la pena di sottolineare l’equivoco, il mondo dell’arte, purtroppo non fa certo eccezione e questo è molto preoccupante.
Parafrasando un vecchio spot commerciale dei miei tempi (i tempi di “Carosello”),

Carosello

Carosello

del quale erano  protagonisti “Titti” e il “gatto Silvestro”:    “He no!!!   Sull’Arte non si può”…..”

Titti e Silvestro

Titti e Silvestro

Il “valore” dell’Arte va ricercato nei Valori che realmente include. deve trattarsi dei più importanti per l’Uomo, qualcosa che “vale” in senso universale, altro che controvalore in “carta moneta”.
L’opera d’Arte non si compra, semmai si ricompensa economicamente l’artista per ciò che fa per la società, si sostiene il suo lavoro come quello di qualsiasi altro tipo di ricercatore.
L’artista ha senso in relazione ai “Valori” sui quali egli stesso è fondato e dai quali distilla i suoi lavori.
Il “Valore” dell’opera d’arte è prima di tutto nei “Valori” di colui che l’ha “data alla luce”.
Non è un errore di pragmatica, l’opera d’arte è visceralmente “figlia” dell’artista, infatti talvolta egli ha grandi difficoltà a separarsene.
“Essere” è un altro di quei lemmi semanticamente controversi, molto più autorevolmente di me ne ha parlato Martin Heidegger,

Martin Heidegger

Il filosofo Martin Heidegger

il famoso filosofo tedesco di “Essere e tempo”.
Heidegger ha fondato la sua filosofia, se vogliamo la sua metafisica, sul concetto di “Essere” cosi  come da lui pensato.
La parola italiana “essere”, in tedesco in effetti è molto più vicina al nostro vocabolo “esserci”, intendendo in pratica, colui che insiste con la propria “presenza” in uno spazio e in un tempo.
Anche Parmenide fondatore della scuola di Elea, centra la sua filosofia intorno all’ “essere” rafforzando la sua tesi con la contrapposizione al “non Essere”, confutandone le prerogative, con un approccio pienamente Razionale.

Parmenide di Elea

Parmenide di Elea

Parmenide paragona ”concettualmente” l’ “essere” ad una sfera perfetta, onnicomprensiva, finita, (che per gli antichi greci rappresentava la perfezione) un “Essere” perfettamente inscritto nel suo spazio e nel suo tempo, al di fuori del quale nulla sussiste.
Questa definizione sembra curiosamente richiamare la famosissima Teoria della Relatività, in particolare il rapporto spazio/tempo, dimostrato da Albert Einstein nel 1900,

secondo il quale, l’universo sarebbe uno spazio ripiegato su se stesso, se messo in relazione al tempo punto per punto.

Albert Einstein

Albert Einstein

Esser-ci, nel proprio spazio e nel proprio tempo, chi meglio dell’ artista può svolgere il ruolo di testimone di valori transeunti tipici della sua epoca, mediando con i “Valori Eterni” con i quali è “obbligato” per ruolo a confrontarsi.
Un compito immenso, che se svolto bene aiuterebbe a discernere scientemente nel “crogiolo” di sensazioni che “il vivere” ci sottopone. Capire meglio noi stessi e attraverso noi l’universo, la vera culla della nostra “essenza”.
L’arte non è un qualcosa di impalpabile, incomprensibile, stravagante, sregolata, ingiudicabile, come in usa pensare dando vita ad una sorta di “apofatismo sull’arte”.
Questo neologismo che mi pregio di aver coniato in queste righe, lascia trasparire la mia opinione sulla incontestabilità delle scelte artistiche o sull’allargamento senza soluzione di continuità delle forme d’arte:

Marcel Duchamp Man Ray 1930

Marcel Duchamp 1930 foto Man Ray

In nome di un falso “liberalismo artistico”, che già Marcel Duchamp ebbe a suo tempo, modo di contestare in maniera eclatante, ci capita di sentir definire artisti, personaggi di dubbia validità contenutistica e qualitativa.
Collegare il valore dell’opera al “Valore” dell’ ”Essere”/artista, ha una grande importanza per comprendere anche la sua importanza in relazione al suo valore per l’ “Essere”/corpo sociale, un argomento anche questo estremamente interessante, ma certamente anche questo è tutto un altro articolo.

Francesco Campoli

Share and Enjoy:
  • Facebook
  • Google Bookmarks
  • email
  • LinkedIn
  • Twitter
Tags: , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , ,

Il “Valore” dell’arte

Posted in Il "Valore" dell'Arte on gennaio 18th, 2011 by Francesco

di Francesco Campoli

Con “valore” si può intendere il livello artistico di un’opera  in senso figurato, ma il vocabolo può essere inteso anche in senso letterale, cisa di per se assolutamente lecita, ultimamente però il valore al quale è “quotata”  un’ opera, sembra definire il “Valore” dell’artista.

Henrì Rousseau

Alcune opere di Henrì Rousseau

Questa mia riflessione, ha l’intenzione fin troppo malcelata di scoperchiare il Vaso di Pandora.
Una cosa che mi ha sempre colpito, è che il “mercato dell’arte”,  è sempre stato lontano da ogni più ragionevole valutazione economica, suddividendosi tra opere di valore “zero”, a fronte di opere dal valore immenso e l’universo che c’è in mezzo.
Purtroppo le prime, non rappresentano in senso stretto un “mercato”, (nessuno le vuole comperare), le seconde sono l’estremo limite alto di questo “mercato,” quindi l’espressione “Mercato dell’arte”, si può assimilare proprio con “quello che c’è in mezzo”.

Antonio Ligabue

Ligabue un esempio di artista fuori da logiche di mercato

Questo “Mercato”, da un pò di anni si è delineato come il peggior esempio, della più bassa delle accezioni di questo vocabolo di etimo prettamente economico:
Mercato deriva dal latino “mercāri”, mercanteggiare, acquistare commerciare, trafficare, e spesso e volentieri quest’ultima accezione, è quella che descrive nel modo più aderente, la filosofia con la quale questo commercio è praticato in questo specifico settore.
Per comprendere la mia posizione, non si può prescindere dal confronto con il mercato di frutta e verdura (che per carità ha una sua piena dignità).
Le valutazioni che si vedono tra le varie “bancarelle”, non hanno nessuna coerenza reale, con fattori di influenza esterna, quali la “disponibilità del prodotto o la qualità del medesimo, se proprio volessimo insistere nell’improprio parallelo.

opere di Camille Bombois

Alcune opere di Camille Bombois

Quasi mai  le quotazioni migliori vanno a favore dell’artista, infatti molto spesso, le opere crescono di valore con la morte dell’artista.
Non è affatto un caso, l’assenza dell’autore, lascia spazio ad esegesi fantasiose, allestimenti di mostre antologiche, senza il contraddittorio con l’autore.
Queste condizioni, consentono di realizzare utili “extra” da parte di galleristi e mercanti d’arte.
Tra le casistiche ne esiste anche un’altra molto quallida, nella quale il “valore” sale, a seguito del rilascio di “certificazioni di genio” che i vari “critici”, si sono attribuiti l’onore di rilasciare, con il consenso dell’autore medesimo che si adegua alle esegesi per puro mercimonio (a mio avviso perdendo di fatto lo status d’artista).
Guarda caso le “expertises” sulle opere, da parte di certi noti critici,   rappresentano per loro un’ottima fonte di reddito.
Siamo di fronte ad “esperti”, che si sono assunti il ruolo di “Deus ex machina”, senza che vi fosse nessun “Euripide” a conferirgli il ruolo, ma che semplicemente profittano della “necessità” degli acquirenti, di attestare il “valore” economico dei loro acquisti.
E’ proprio la complessità delle valutazioni che devono essere fatte, in ottica di “mercato” delle vacche, che ha generato la necessità di un ruolo terzo, una specie di “agenzia di rating”, che attribuisse “patenti” rassicuranti per acquirenti con poco “senso critico” personale, o meglio con poca sensibilità artistica.
Una volta esistevano i “mecenati”, o collezionisti e committenti colti e illuminati, opinion leader guidati dalla loro passione e dal loro senso artistico innato.
Non dobbiamo dimenticare che, molti dei più apprezzati musei di tutto il mondo, “discendono” dalla qualità di grandi collezioni private (Peggy Guggenheim un esempio per tutti), donate a fine vita da molti di questi collezionisti.
Fu proprio il disinteresse economico di queste persone, che ha generato e solidificato la nostra cultura (fin dall’antica Grecia), l’arte è senz’altro un “valore”, non certo un investimento economico, come molti galleristi vorrebbero far credere.
La situazione anomala che si è determinata, ha generato le ridicole condizioni attuali:
Vediamo artisti di primo “Valore” (in termini di contenuti), che non sono minimamente considerati, e “grandi critici” intenti pronti ad incensare i loro “beniamini”, meno che insulsi, che spesso e volentieri sono beniamini “ben paganti”.

André Bauchant

André Bauchant non sempre l'"etichetta" Naif viene attribuita correttamente

Personalmente non accetto il concetto di valore zero, come stento ad accettare valutazioni espresse in milioni di dollari (o di euro se preferite).
Ci sono opere senza mercato e opere che ne hanno uno, per semplici dinamiche commerciali.
Il reale valore dell’opera è figlio del percorso creativo intrapreso dall’artista, al quale si può aderire o meno dandogli quindi “personalmente” un valore), come viceversa.
Un opera per avere valore di ricerca, deve essere figlia di un progetto, meglio se dichiarato in anticipo dall’autore.
Questo eviterebbe che in assenza (o in carenza), di “scelte progettuali” dichiarate dall’artista ci si trovi di fronte ad “esegesi” fantasiose, costruite dai critici e dai mercanti d’arte, magari avallati dagli eredi, che ovviamente hanno i loro chiari motivi.
Una eccezione sono pronto a farla per gli artisti “detti” Naif, che della ingenuità (magari chimiamola meglio “inconsapevolezza”), hanno fatto il “contenuto” della loro arte, ma non per dei professionisti che fanno dell’arte il loro mestiere, dopo che magari si sono duramente “formati” per tanti anni.
Sempre di più viene fuori la necessità di distinguere chiaramente tra arte eartigianato, in entrambi le casistiche, si può parlare di “qualità” più o meno alta, ma mai e poi mai si potranno confondere.
Purtroppo la confusione su questi termini è sempre più presente, spesso anche a causa della competenza dei fruitori, che sempre più sono assimilabili a meri spettatori, l’arte invece ha un senso se in essa diventiamo attori.
Ma anche questo probabilmente è tutto un’altro articolo.

Francesco Campoli

Share and Enjoy:
  • Facebook
  • Google Bookmarks
  • email
  • LinkedIn
  • Twitter
Tags: , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , ,

Arte ed Espressione

Posted in Il "Valore" dell'Arte on ottobre 31st, 2010 by Francesco

di Francesco Campoli

L’artista è una persona particolare, questo certamente lo sappiamo tutti, ma come si fa a riconoscerlo?

Arte ed espressione, non sono propriamente la stessa cosa. Tutti possiamo esprimerci nelle modalità che riteniamo consone al nostro modo di essere, ma non necessariamente in forma artistica.
Chi si esprime vestendosi in modo stravagante, chi invece in stile assolutamente conformistico, chi addirittura indossando una divisa (magari da nazista) e praticando il Softair, chi addirittura in modo asociale e denigrante.
Il “serial killer” esprime tutto se stesso attraverso le nefandezze che mette in atto, ma la sua non si può certo definire una forma d’arte, su questo mi piacerebbe cercare di far chiarezza.
Da decenni si è consolidata una certa confusione in questo campo, chiunque si propone cavalcando una qualche forma espressiva, pretende di entrare a pieno titolo nel mondo dell’arte.
Si arriva a chiamare artisti i “graffitari”, gli “istallatori” quelle persone cioè, che fanno le “istallazioni” (perchè non si può chiamarli scultori?), presenti ormai in tutti i più visitati musei d’arte moderna, nelle biennali e triennali d’arti varie.
Chi esprime se stesso con la musica, con la pittura, la scultura, in stile classico, moderno, informale, futurista, manierista, macchiaiolo, impressionista, espressionista, cubista, e chi più ne ha più ne metta, può necessariamente definirsi artista?
La storia dell’arte è piena di “scuole di pensiero”, al tempo di Michelangelo e Raffaello erano definite “botteghe”, al tempo di Vassili Kandinski c’era il Bauhaus, nel XIV secolo la scuola di Giotto, ma ai nostri tempi si può pensare a scuole d’arte che lavorino nel medesimo solco concettuale?
A mio avviso ai nostri giorni, il vero artista si identifica con la “non appartenenza” a scuole di pensiero.
L’artista è un moderno ricercatore che collega etica ed estetica e non è più figlio dell’artigianato ma del pensiero.
Cambiare lo status quo è la missione dell’artista moderno. La non omologazione, la leadership culturale (almeno sul proprio stile espressivo), sono requisiti fondamentali per far evolvere il pensiero collettivo. Gli altri? Gli altri c’entrano anche loro, anzi sono fondamentali per riconoscere l’originalità creativa, la CREAZIONE come io amo definire quella che ancora usiamo chiamare arte.
Accorpare tutto in un unico insieme, è utile a chi dell’arte vuole farne mercato, la disponibilità di una grande varieta di proposte creative, serve ai mercanti per soddisfare le esigenze dei vari “cluster” del mercato.
Chi come me arriva dal mondo della pubblicità e del marketing, sa bene che un nucleo di consumatori, oltre a definirsi per lo stile di vita e dalle schematiche percettive, si auto-definisce per la disponibilità di danaro che è disposto a spendere per un determinato tipo prodotto.
Da qui nasce l’importanza fondamentale per i mercanti, di disporre di “opere” di tutti i “prezzi” e questo indipendentemente dal loro reale valore artistico.
l’Arte come la definisco io ha un immenso valore, ma non può avere prezzo.

E allora visto che le opere si vendono come si fa a stabilirne il prezzo?
bella domanda, ma questo è tutto un altro articolo…..

Francesco Campoli

Share and Enjoy:
  • Facebook
  • Google Bookmarks
  • email
  • LinkedIn
  • Twitter
Tags: , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , ,