Il “Valore” dell’arte

Posted in Il "Valore" dell'Arte on gennaio 18th, 2011 by Francesco

di Francesco Campoli

Con “valore” si può intendere il livello artistico di un’opera  in senso figurato, ma il vocabolo può essere inteso anche in senso letterale, cisa di per se assolutamente lecita, ultimamente però il valore al quale è “quotata”  un’ opera, sembra definire il “Valore” dell’artista.

Henrì Rousseau

Alcune opere di Henrì Rousseau

Questa mia riflessione, ha l’intenzione fin troppo malcelata di scoperchiare il Vaso di Pandora.
Una cosa che mi ha sempre colpito, è che il “mercato dell’arte”,  è sempre stato lontano da ogni più ragionevole valutazione economica, suddividendosi tra opere di valore “zero”, a fronte di opere dal valore immenso e l’universo che c’è in mezzo.
Purtroppo le prime, non rappresentano in senso stretto un “mercato”, (nessuno le vuole comperare), le seconde sono l’estremo limite alto di questo “mercato,” quindi l’espressione “Mercato dell’arte”, si può assimilare proprio con “quello che c’è in mezzo”.

Antonio Ligabue

Ligabue un esempio di artista fuori da logiche di mercato

Questo “Mercato”, da un pò di anni si è delineato come il peggior esempio, della più bassa delle accezioni di questo vocabolo di etimo prettamente economico:
Mercato deriva dal latino “mercāri”, mercanteggiare, acquistare commerciare, trafficare, e spesso e volentieri quest’ultima accezione, è quella che descrive nel modo più aderente, la filosofia con la quale questo commercio è praticato in questo specifico settore.
Per comprendere la mia posizione, non si può prescindere dal confronto con il mercato di frutta e verdura (che per carità ha una sua piena dignità).
Le valutazioni che si vedono tra le varie “bancarelle”, non hanno nessuna coerenza reale, con fattori di influenza esterna, quali la “disponibilità del prodotto o la qualità del medesimo, se proprio volessimo insistere nell’improprio parallelo.

opere di Camille Bombois

Alcune opere di Camille Bombois

Quasi mai  le quotazioni migliori vanno a favore dell’artista, infatti molto spesso, le opere crescono di valore con la morte dell’artista.
Non è affatto un caso, l’assenza dell’autore, lascia spazio ad esegesi fantasiose, allestimenti di mostre antologiche, senza il contraddittorio con l’autore.
Queste condizioni, consentono di realizzare utili “extra” da parte di galleristi e mercanti d’arte.
Tra le casistiche ne esiste anche un’altra molto quallida, nella quale il “valore” sale, a seguito del rilascio di “certificazioni di genio” che i vari “critici”, si sono attribuiti l’onore di rilasciare, con il consenso dell’autore medesimo che si adegua alle esegesi per puro mercimonio (a mio avviso perdendo di fatto lo status d’artista).
Guarda caso le “expertises” sulle opere, da parte di certi noti critici,   rappresentano per loro un’ottima fonte di reddito.
Siamo di fronte ad “esperti”, che si sono assunti il ruolo di “Deus ex machina”, senza che vi fosse nessun “Euripide” a conferirgli il ruolo, ma che semplicemente profittano della “necessità” degli acquirenti, di attestare il “valore” economico dei loro acquisti.
E’ proprio la complessità delle valutazioni che devono essere fatte, in ottica di “mercato” delle vacche, che ha generato la necessità di un ruolo terzo, una specie di “agenzia di rating”, che attribuisse “patenti” rassicuranti per acquirenti con poco “senso critico” personale, o meglio con poca sensibilità artistica.
Una volta esistevano i “mecenati”, o collezionisti e committenti colti e illuminati, opinion leader guidati dalla loro passione e dal loro senso artistico innato.
Non dobbiamo dimenticare che, molti dei più apprezzati musei di tutto il mondo, “discendono” dalla qualità di grandi collezioni private (Peggy Guggenheim un esempio per tutti), donate a fine vita da molti di questi collezionisti.
Fu proprio il disinteresse economico di queste persone, che ha generato e solidificato la nostra cultura (fin dall’antica Grecia), l’arte è senz’altro un “valore”, non certo un investimento economico, come molti galleristi vorrebbero far credere.
La situazione anomala che si è determinata, ha generato le ridicole condizioni attuali:
Vediamo artisti di primo “Valore” (in termini di contenuti), che non sono minimamente considerati, e “grandi critici” intenti pronti ad incensare i loro “beniamini”, meno che insulsi, che spesso e volentieri sono beniamini “ben paganti”.

André Bauchant

André Bauchant non sempre l'"etichetta" Naif viene attribuita correttamente

Personalmente non accetto il concetto di valore zero, come stento ad accettare valutazioni espresse in milioni di dollari (o di euro se preferite).
Ci sono opere senza mercato e opere che ne hanno uno, per semplici dinamiche commerciali.
Il reale valore dell’opera è figlio del percorso creativo intrapreso dall’artista, al quale si può aderire o meno dandogli quindi “personalmente” un valore), come viceversa.
Un opera per avere valore di ricerca, deve essere figlia di un progetto, meglio se dichiarato in anticipo dall’autore.
Questo eviterebbe che in assenza (o in carenza), di “scelte progettuali” dichiarate dall’artista ci si trovi di fronte ad “esegesi” fantasiose, costruite dai critici e dai mercanti d’arte, magari avallati dagli eredi, che ovviamente hanno i loro chiari motivi.
Una eccezione sono pronto a farla per gli artisti “detti” Naif, che della ingenuità (magari chimiamola meglio “inconsapevolezza”), hanno fatto il “contenuto” della loro arte, ma non per dei professionisti che fanno dell’arte il loro mestiere, dopo che magari si sono duramente “formati” per tanti anni.
Sempre di più viene fuori la necessità di distinguere chiaramente tra arte eartigianato, in entrambi le casistiche, si può parlare di “qualità” più o meno alta, ma mai e poi mai si potranno confondere.
Purtroppo la confusione su questi termini è sempre più presente, spesso anche a causa della competenza dei fruitori, che sempre più sono assimilabili a meri spettatori, l’arte invece ha un senso se in essa diventiamo attori.
Ma anche questo probabilmente è tutto un’altro articolo.

Francesco Campoli

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Arte ed Espressione

Posted in Il "Valore" dell'Arte on ottobre 31st, 2010 by Francesco

di Francesco Campoli

L’artista è una persona particolare, questo certamente lo sappiamo tutti, ma come si fa a riconoscerlo?

Arte ed espressione, non sono propriamente la stessa cosa. Tutti possiamo esprimerci nelle modalità che riteniamo consone al nostro modo di essere, ma non necessariamente in forma artistica.
Chi si esprime vestendosi in modo stravagante, chi invece in stile assolutamente conformistico, chi addirittura indossando una divisa (magari da nazista) e praticando il Softair, chi addirittura in modo asociale e denigrante.
Il “serial killer” esprime tutto se stesso attraverso le nefandezze che mette in atto, ma la sua non si può certo definire una forma d’arte, su questo mi piacerebbe cercare di far chiarezza.
Da decenni si è consolidata una certa confusione in questo campo, chiunque si propone cavalcando una qualche forma espressiva, pretende di entrare a pieno titolo nel mondo dell’arte.
Si arriva a chiamare artisti i “graffitari”, gli “istallatori” quelle persone cioè, che fanno le “istallazioni” (perchè non si può chiamarli scultori?), presenti ormai in tutti i più visitati musei d’arte moderna, nelle biennali e triennali d’arti varie.
Chi esprime se stesso con la musica, con la pittura, la scultura, in stile classico, moderno, informale, futurista, manierista, macchiaiolo, impressionista, espressionista, cubista, e chi più ne ha più ne metta, può necessariamente definirsi artista?
La storia dell’arte è piena di “scuole di pensiero”, al tempo di Michelangelo e Raffaello erano definite “botteghe”, al tempo di Vassili Kandinski c’era il Bauhaus, nel XIV secolo la scuola di Giotto, ma ai nostri tempi si può pensare a scuole d’arte che lavorino nel medesimo solco concettuale?
A mio avviso ai nostri giorni, il vero artista si identifica con la “non appartenenza” a scuole di pensiero.
L’artista è un moderno ricercatore che collega etica ed estetica e non è più figlio dell’artigianato ma del pensiero.
Cambiare lo status quo è la missione dell’artista moderno. La non omologazione, la leadership culturale (almeno sul proprio stile espressivo), sono requisiti fondamentali per far evolvere il pensiero collettivo. Gli altri? Gli altri c’entrano anche loro, anzi sono fondamentali per riconoscere l’originalità creativa, la CREAZIONE come io amo definire quella che ancora usiamo chiamare arte.
Accorpare tutto in un unico insieme, è utile a chi dell’arte vuole farne mercato, la disponibilità di una grande varieta di proposte creative, serve ai mercanti per soddisfare le esigenze dei vari “cluster” del mercato.
Chi come me arriva dal mondo della pubblicità e del marketing, sa bene che un nucleo di consumatori, oltre a definirsi per lo stile di vita e dalle schematiche percettive, si auto-definisce per la disponibilità di danaro che è disposto a spendere per un determinato tipo prodotto.
Da qui nasce l’importanza fondamentale per i mercanti, di disporre di “opere” di tutti i “prezzi” e questo indipendentemente dal loro reale valore artistico.
l’Arte come la definisco io ha un immenso valore, ma non può avere prezzo.

E allora visto che le opere si vendono come si fa a stabilirne il prezzo?
bella domanda, ma questo è tutto un altro articolo…..

Francesco Campoli

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